Paolo Mauri, la Repubblica 27/10/2013, 27 ottobre 2013
MURAKAMI JAZZ BAND
Si potrebbe dire che in principio era il jazz, ma anche che in principio c’era un gatto: a dire la verità le due cose, gatto e jazz o per meglio dire gatto e musica, nella vita di Murakami Haruki si sono sempre mescolate. Quando nel ’74 il giovane Murakami apre un caffè a Tokyo dove la sera si ascolta jazz, lo chiama Peter Cat e quando tre anni dopo si sposta in una zona più centrale della città il nuovo locale è sormontato da un grande Stregatto. Possiamo dire che prima di scrivere i suoi libri, Murakami Haruki si è dato da fare intorno alla colonna sonora della sua vita e dunque questi sono l’inevitabile corollario della melomania del loro autore.
In una intervista del novembre 2011 a Dario Olivero per questo giornale, Murakami raccontava di avere nel suo studio grandi casse Jbl comprate oltre trent’anni fa che servono per ascoltare i vecchi Lp che riempiono tutte le pareti. «Credo di averne diecimila» aveva aggiunto lo scrittore, «a destra c’è il jazz, a sinistra la musica classica».
Comunque, nel 1981, Murakami vende il suo jazz bar, cosa che ricorderà in A sud del confine, a ovest del sole (1992) quando il protagonista Hajime diventa ricco grazie a due jazz club. Scorrendo l’elenco dei ritratti in jazz ci si accorge che Murakami Haruki ha rivissuto e amato la storia del jazz come un americano nato nei primi decenni del Novecento. La tromba di Louis Armstrong suona ancora per le strade, ma poi il jazz impazza nei locali notturni: Chet Baker, Benny Goodman, Charlie Parker, ma anche Duke Ellington, Nat King Cole e perfino Glenn Miller… Quando Miller richiamato alle armi moriva sul canale della Manica durante la Seconda guerra mondiale Murakami Haruki non era ancora nato: è del ’49, ma per sua fortuna le registrazioni dell’orchestra diretta da Miller sono molte e in questo modo è riuscito ad assaporare un’atmosfera che non avrebbe mai potuto vivere.
Così come si è appropriato della musica occidentale, classica e jazz, Murakami ha fatto con la letteratura: ha esplicitamente ammesso il proprio debito con Raymond Carver (da lui tradotto in giapponese) con Orwell, Scott Fitzgerald e naturalmente con classici come Dickens. Ma l’elenco sarebbe lungo. La nostra letteratura trapiantata in Giappone ha attecchito senza problemi, come capita anche agli alberi che nel corso del tempo hanno viaggiato moltissimo mettendo solide radici. D’altra parte il processo di rapida (e non sempre indolore) occidentalizzazione del Giappone nel Novecento è un fenomeno sotto gli occhi di tutti. Murakami ha inserito nelle sue trame il gusto per il fantastico e per i mondi paralleli (cosa che alcuni gli rimproverano). Ma bisogna a mio avviso tenere presente che con grande abilità lo scrittore giapponese opera una sintesi in cui entrano anche graphic novel e cinema, sicché non c’è da stupire se i suoi romanzi hanno una colonna sonora. Proprio come i film. D’altra parte non è fortemente cinematografico l’inizio della trilogia 1Q84?
Il lettore incontra la giovane Aomame su un taxi bloccato dal traffico mentre la radio trasmette la Sinfonietta di Janácek. Una scelta raffinata. Restando ai classici, nell’Uccello che girava le viti del mondo (1994-95), uno dei più bei libri di Murakami, avevamo incontrato Il flauto magico di Mozart e in Kafka sulla spiaggia Beethoven. Ma già in Norwegian Wood. Tokyo Blues (1987) la musica è presente in molte pagine ed è in particolare, ma non solo, quella dell’universo giovanile del ’68, con in testa i Beatles.
E i gatti? Beh, davvero non mancano. In Kafka sulla spiaggia c’è un personaggio demoniaco che cattura i gatti, nell’Uccello che girava le viti del mondo tutto comincia con la sparizione di un gatto cui segue la scomparsa della moglie del protagonista, in 1Q84 Tengo, il protagonista maschile, parla di un “Paese dei gatti”. E nella raccolta di racconti I salici ciechi e la donna addormentata un racconto si intitola I gatti antropofagi.
Insomma Murakami Haruki, scrittore “post”, si porta dietro predilezioni e ossessioni di libro in libro e mentre l’Occidente si sente da tempo al tramonto lui lo reinterpreta con la freschezza del neofita, come se tutto ciò che è già accaduto potesse ancora e per la prima volta accadere.