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 2013  ottobre 27 Domenica calendario

LA VERITÀ DI BAZOLI SU RCS E DELLA VALLE “NON HO MAI FATTO PARTE DEL CDA E HO DIFESO IL CORRIERE DALLA POLITICA”


MILANO — Nello stato d’animo di Giovanni Bazoli, in questo momento, è difficile capire se prevalga la sorpresa, l’amarezza o l’indignazione. A botta calda, dopo aver letto le parole espresse sul suo conto da Diego Della Valle, in un’intervista a Repubblica di martedì scorso («Bazoli è il maggior responsabile, anche se non l’unico, della crisi aziendale di Rcs»), avrebbe voluto replicare in termini sferzanti, non potendo accettare che quelle parole, da lui definite incredibili, restassero senza risposta. Poi, a mente fredda e stando attento a non alimentare nuove polemiche, accetta comunque di rievocare alcuni fatti che sono stati al centro di molti dissidi nella storia della Rizzoli.
«Per smentire l’affermazione di Della Valle, che ha davvero dell’incredibile, basterà ricordare che io non sono mai stato consigliere di Rcs Media Group. Ho fatto solo parte del patto di sindacato, come rappresentante di una piccola quota (circa l’1%) posseduta dalla Mittel». Si tratta comunque di una posizione importante nella stanza dei bottoni, che poi si è andata rafforzando con l’incorporazione della Comit, che possedeva il 5% di Rcs, nel gruppo Intesa. Da quel momento Bazoli ha potuto contare su una seconda sponda nel patto di sindacato, fornita da Corrado Passera, il manager che ha governato la Ca’ de Sass per un decennio.
Bazoli mette in relazione la sua presenza in Rcs anche con il rapporto instaurato con l’avvocato Agnelli a partire dall’intervento della Fiat nel lontano 1985. «Come presidente del Nuovo Banco Ambrosiano, che era nello stesso tempo proprietario del 40% della Rizzoli e il suo principale creditore, io mi impegnai a fondo per evitare il fallimento della società, che si trovava in amministrazione controllata. Ed ero riuscito a convincere Agnelli a intervenire ». Tuttavia, già allora Bazoli si trovò a toccare con mano le pressioni della politica sulla Rizzoli. Si scontrò infatti duramente con Craxi, a quel tempo presidente del Consiglio, che pretendeva di interferire nell’operazione. La difesa dell’indipendenza del Corriere dalla politica, racconta, ha rappresentato il faro che l’ha motivato e guidato nel percorso di tutti questi anni nella casa editrice. E che l’ha portato, in tempi più recenti, a opporsi per ben due volte alla nomina a direttore del Corriere, caldeggiata da grandi azionisti del patto, di giornalisti vicini all’entourage berlusconiano.
A suo giudizio, la svolta mancata, che avrebbe potuto rivelarsi decisiva nella vita della Rizzoli, avvenne nel 2004, allorché la guida operativa della Rcs venne affidata a Vittorio Colao, giovane e brillante manager bresciano, proveniente da Vodafone. «Mi adoperai con altri azionisti per convincere Vittorio a venire in Rcs e poi lo difesi a oltranza». Ma, pressato e impedito ad operare da chi a vario titolo interferiva con il business editoriale, Colao fu costretto dopo meno di due anni a passare la mano. «Ebbene, chieda a Colao — dice Bazoli — chi lo difese e chi lo osteggiò! La perdita di Colao è stata una vera disgrazia per Rcs, perché sono convinto che con lui la Rizzoli avrebbe conosciuto una storia completamente diversa». In un recente articolo sulla carriera manageriale di Colao il quotidiano francese Les Echo ha indicato in Tronchetti Provera, Della Valle e Geronzi coloro che nel 2006 si sono coalizzati per la sua estromissione.
Al posto di Colao arrivò Perricone, manager suggerito da Montezemolo, e in quel periodo si verificò, nel ricordo di Bazoli, un altro dei fatti decisivi che sono all’origine delle difficoltà successive della Rizzoli: l’acquisto della spagnola Recoletos, realizzato appena prima dello scoppio della grande crisi finanziaria. Come noto alle cronache fu un acquisto tutto per cassa (e con ampio ricorso alla leva finanziaria, con Intesa nella doppia veste di azionista e banca creditrice), per 1,1 miliardi di euro, deliberato nel febbraio 2007 dal consiglio di amministrazione di allora (che comprendeva anche Della Valle).
In tempi più recenti, nella fase di piena crisi dell’editoria, Fiat e Mediobanca decisero nella primavera 2012 che occorreva imprimere una svolta: passo indietro degli azionisti dal consiglio di amministrazione e spazio agli indipendenti (per modo di dire, visto che ogni azionista indicava il suo). Della Valle protestò e ottenne di poter uscire dal patto anticipatamente, senza sottostare a tutti i vincoli che ne sarebbero derivati. Bazoli aveva mediato a suo favore e di questo, sottolinea oggi, il fondatore della Tod’s gliene fu grato. Il risultato fu che alla guida della casa editrice, nel maggio 2012, arrivò da Microsoft un giovane manager, Pietro Scott Jovane, scelto da cacciatori di teste ma con l’imprimatur di John Elkann. Il cda, su proposta del nuovo ad, approvò un piano che comportava un aumento di capitale di 400 milioni. Un’operazione che Della Valle ha contrastato sino in fondo, sostenendo che la società avrebbe dovuto ottenere in via preliminare uno stralcio dei debiti e chiedere solo successivamente agli azionisti nuove risorse da destinare allo sviluppo.
«A parte il fatto — replica Bazoli — che è un principio basilare del diritto che, quando una società è in crisi, i primi sacrifici devono essere a carico degli azionisti e solo seconda battuta dei creditori, una ristrutturazione del debito era già stata negoziata e concordata, assai faticosamente, tra la società e il gruppo di banche creditrici. Se non fosse stato approvato l’aumento di capitale, sarebbe saltata anche la ristrutturazione del debito, e ciò avrebbe impedito la continuità aziendale». L’aumento di capitale è stato approvato, poi, dall’assemblea grazie al voto decisivo di Giuseppe Rotelli, che in quel momento era il primo azionista della società. «Fu l’ultima decisione che Rotelli prese, pur avendo già deciso di non sottoscrivere e quindi di accettare una forte diluizione, negli ultimi giorni di vita. Se solo si fosse astenuto, la capitalizzazione sarebbe naufragata e Rcs sarebbe inevitabilmente finita in procedura concorsuale, con tutti gli effetti disastrosi che ne sarebbero derivati».
Della Valle, prima di decidere se sottoscrivere o meno la sua quota, chiamò Bazoli. «Se mi chiedi cosa fare, ti rispondo che non sono in grado di darti alcun consiglio», racconta Bazoli. «E lui mi rispose: “No, non te lo chiedo”. Poi non ci siamo più visti né sentiti. E la verità è che da quel momento — Francesco Merloni mi è testimone — io mi sono adoperato affinché nessuno degli azionisti, compresi quelli fuori patto, fosse emarginato».
A luglio il blitz della Fiat sui diritti inoptati Rcs comporta il raddoppio della quota di Torino, fino al 20,5%. Della Valle, colto alla sprovvista, accusa il colpo ma non vuole lasciare campo libero agli Agnelli, e mette sul piatto altri 40 milioni per conservare il suo 9%. «Prima di conoscere l’iniziativa della Fiat, arrivata inattesa sia per me che per Mediobanca, mi ero esercitato a verificare se al di fuori dell’azionariato si potesse individuare in Italia un soggetto imprenditoriale dotato delle risorse patrimoniali e delle qualità professionali e di indipendenza necessarie per assumere il ruolo di azionista di riferimento di Rcs. Non avendolo individuato, avevo maturato l’idea che forse l’uomo giusto avrebbe potuto essere Giuseppe Rotelli, che aveva un genuino e fortissimo interesse per l’editoria; ma la malattia ha preso il sopravvento. Ciò detto, giudico positivamente il gesto della Fiat, quale elemento di stabilizzazione dell’azienda».
A settembre Elkann cerca di riannodare i fili del patto di sindacato, lo vuole rendere più leggero, solo di consultazione e non di voto, ma si scontra con l’intransigenza di Mediobanca e Unipol. Il vecchio patto si scioglie e Della Valle canta vittoria annunciando che l’era Bazoli al Corriere è finita. «Per quanto mi riguarda, avrei visto con favore un patto leggero che servisse a offrire a tutti gli azionisti — come giustamente raccomandava Giampiero Pesenti — la possibilità di continuare a dare un apporto costruttivo alla vita dell’azienda. Tuttavia, avendo preso atto di alcune indisponibilità dichiarate, ho condiviso l’idea dello scioglimento, tenendo anche in considerazione il fatto che il mercato oggi apprezza il ripudio dei patti, che sono considerati espressione del cosiddetto e deprecato “capitalismo di relazione”. Su questo tema avrei molto da dire, ma non è questa la sede adatta». Solo con il tempo si capirà se l’era Bazoli al Corriere è veramente terminata.