Maria Serena Natale, Corriere della Sera 27/10/2013, 27 ottobre 2013
MILIARDARI E POST-SOVIETICI LA NUOVA «CASTA POLITICA» ALLA CONQUISTA DELL’EST
«Non sono mai stato un comunista convinto, entrare nel partito era un modo per realizzare desideri professionali e di vita. Non ne sono fiero ma noi iscritti eravamo 1,7 milioni, pochi avevano il coraggio dei dissidenti». Dal comunismo agli affari, dagli affari alla politica. La parabola di Andrej Babis — 736esimo nella classifica Forbes dei più ricchi del mondo e secondo in Repubblica Ceca, espressione di un’aristocrazia rossa definitivamente sdoganata dalle elezioni politiche di ieri — segue una traiettoria comune a molte figure di spicco del panorama politico dell’Est Europa. Personaggi che hanno raccolto le sfide della transizione al libero mercato in contesti spesso privi di regole e dominati dalla legge del più forte, consolidando patrimoni e rapporti personali di fedeltà che hanno poi favorito il grande salto. Una commistione frequente nelle democrazie post-sovietiche, nei sistemi più stabili come nei Paesi della corsa all’oro selvaggia, dove si fa opaco il confine tra difesa di interessi privati e genuino impegno per la cosa pubblica.
In Repubblica Ceca come in Russia, dove la contiguità tra potere politico e oligarchia economico-finanziaria è un elemento strutturale di un sistema che vede magnati regolarmente coinvolti, spesso vittime, di faide e lotte intestine come l’ex patron del colosso petrolifero Yukos Mikhail Khodorkovsky. Si è presentato contro Vladimir Putin alle elezioni presidenziali del 2012, ed è arrivato terzo, Mikhail Prokhorov, 48 anni, una fortuna fondata sui metalli e stimata in 13,2 miliardi di dollari, il settimo uomo più ricco di Russia. Già iscritto alla lega giovanile del Komsomol e al Partito comunista, dopo la fine della Guerra fredda ha scoperto naturali affinità con la patria del capitalismo — oggi è proprietario della squadra di basket americana dei Brooklyn Nets. Dagli affari alla politica anche Yulia Tymoshenko, l’ex premier ucraina oggi in carcere per abuso di potere e al centro di un contenzioso diplomatico tra Kiev e Bruxelles monitorato con attenzione da Mosca. Prima di diventare l’icona della Rivoluzione arancione del 2004, Yulia aveva accumulato un’enorme ricchezza nel settore energetico. Presidente della principale società d’importazione dalla Russia tra 1995 e 1997, era soprannominata «la principessa del gas». Un passato di intrecci e conflitti che ritorna: all’origine della sua condanna c’è l’accordo energetico stipulato con Mosca nel 2009 in qualità di primo ministro.
In Ungheria è il caso dell’ex premier socialdemocratico Ferenc Gyurcsany, ex comunista prestato agli affari e diventato il 50esimo più ricco del Paese: nel 2002 è tornato in politica e nel 2004 ha assunto la guida del governo, fino alle dimissioni per l’ennesimo scandalo. In Georgia è premier dal 2012 il ricchissimo Bidzina Ivanishvili, in 153esima posizione nella classifica Forbes . L’ombra del conflitto d’interessi ha fermato lo sloveno Zoran Jankovic, sindaco imprenditore di Lubiana e quasi-premier nel 2011 quando il suo partito di centro sinistra, oggi al governo, ha vinto le elezioni. Una lotta di veti incrociati in Parlamento ha capovolto il risultato e affidato l’esecutivo a Janez Jansa, un ex comunista.