Morya Longo, Il Sole 24 Ore 26/10/2013, 26 ottobre 2013
SUPER-EURO, L’ITALIA SOFFRE PIÙ DI TUTTI
Il super-euro inizia a fare male davvero. Nell’ultimo anno la moneta unica è infatti rincarata su tutte le principali valute del mondo: in media – calcola la Bce – il rafforzamento è stato del 7% nei confronti delle valute dei principali partner commerciali del Vecchio continente. L’euro ha guadagnato da gennaio l’11,8% contro il real brasiliano, il 17,3% contro la rupia indiana, il 15,6% sulla lira turca. Ed è sui massimi da due anni nei confronti del dollaro. Questo movimento, secondo le stime degli economisti di UniCredit, potrebbe "rubare" circa lo 0,5% del Pil all’Europa nei prossimi 12 mesi. Non poco, per un continente che sta cercando di uscire dalla palude della crisi.
Il problema è che i dolori non sono uguali per tutti: l’Italia soffre infatti più degli altri principali Paesi, perché le nostre esportazioni hanno una soglia di "tolleranza" al caro-euro più bassa rispetto a quelle altrui. Calcolava Morgan Stanley qualche mese fa che le imprese tedesche sarebbero in grado di sopportare un cambio euro-dollaro fino a 1,53, mentre le italiane già annaspano sopra quota 1,19. Livello ben inferiore all’attuale cambio di 1,38. Per la Francia la soglia del "dolore" è a 1,24 e per la Spagna a 1,26. Secondo alcuni, questi numeri sono opinabili. Ma, pur con molte approssimazioni, mettono il coltello nella solita piaga: l’Italia è meno competitiva degli altri Paesi. Dunque ora rischia di perdere il treno della ripresa (ammesso che passi davvero).
I prezzi del made in Italy
Quando le imprese italiane vanno sui mercati internazionali a vendere i propri prodotti, sono infatti costrette a offrire prezzi troppo alti. Per il made in Italy il tasso di cambio effettivo (cioè quello nei confronti di tutti i nostri partner commerciali non di una sola valuta), reale (cioè che esclude l’inflazione) e comprensivo del costo del lavoro, negli ultimi anni non ha fatto altro che salire: dal 1998 – secondo i dati Bce – il made in Italy è rincarato nel resto del mondo del 2,1%. È sceso un po’ dall’inizio della crisi, ma non abbastanza. Si pensi che nello stesso arco di tempo i tedeschi sono riusciti a ridurre il costo effettivo delle loro merci all’estero del 20%, gli spagnoli del 2,9%, mentre i francesi sono rimasti stabili. Questo significa che il made in Italy ha perso competitività.
Dato che tutti i Paesi dell’area euro hanno la stessa valuta, quello che fa la differenza è il costo per produrre le merci. Questo è il nostro handicap: schiacciate da un fisco senza eguali, che mantiene alto il costo del lavoro, le nostre aziende faticano a vendere all’estero a prezzi appetibili. Si pensi che la Spagna dal 2009 ad oggi – secondo i dati Ocse – ha ridotto il costo unitario del lavoro dell’11%, mentre l’Italia l’ha aumentato del 3,5%. Se oggi Madrid riesce ad uscire dalla recessione, grazie all’export, è anche per questo: ha fatto un massacro sociale (la disoccupazione è altissima), ma ha recuperato competitività. L’Italia potrebbe provare a raggiungere gli stessi risultati tagliando di più il cuneo fiscale, evitando impatti sui lavoratori.
Sta di fatto che il super-euro oggi diventa la zavorra che si somma a tante altre zavorre per il made in Italy. Pesa il rincaro della moneta unica sul dollaro, perché negli Stati Uniti – secondo i dati dell’intero 2012 forniti da Sace – finisce il 6,8% delle esportazioni italiane. Ma pesa anche il rincaro dell’euro nei confronti del real brasiliano (+11,8% da inizio anno), che attira l’1,3% del nostro export. E non meno male fa il rincaro sul rublo (su cui l’euro ha guadagnato l’8,1% quest’anno) e sulla lira turca (+15,6%): in Russia e in Turchia finisce infatti il 5,3% del nostro export. Per fortuna buona parte del made in Italy viene venduto nell’area euro, ma questa è solo una magra consolazione.
La qualità fa la differenza
Eppure, nonostante tutto, le esportazioni italiane tengono bene. Meno di quanto potrebbero, certo, ma date le circostanze riescono a fare il miracolo. Perchè? «L’Italia resta un Paese esportatore, nonostante la perdita di competitività sui prezzi, perché le imprese hanno puntato sulla qualità dei prodotti», osserva Alessandro Terzulli, economista di Sace. È lo stesso Fondo monetario a certificarlo, in un rapporto di settembre: «Le ricerche più recenti – si legge – confermano che l’Italia sta mantenendo alta la qualità dei suoi prodotti». Insomma: ci arrangiamo così. Facendo buoni prodotti. E se un giorno riuscissimo anche a migliorare la competitività sui prezzi, potremmo smetterla di soffrire più di tutti per il super-euro.
m.longo@ilsole24ore.com