Francesco Borgonovo, Libero 26/10/2013, 26 ottobre 2013
E SCALFARI RACCONTA IL SUO BUNGA BUNGA
La grande domanda è: per quale motivo uno dovrebbe prendersi la briga di acquistare e, soprattutto, di leggere un libro di Eugenio Scalfari? La risposta è semplice: perché è assolutamente esilarante. Prendiamo l’ultima fatica, uscita ieri. Già dal titolo si capisce tutto: L’amore, la sfida, il destino (Einaudi). Francesco Alberoni si mangerà le mani per non averci pensato prima lui: sarebbe stato un fantastico seguito di Innamoramento e amore. La tecnica di scrittura scalfariana consiste nell’estrarre parole a caso dal dizionario e giustapporle sulla pagina. Non per nulla, lo stesso Eugenio spiega che una delle forze che regolano la vita degli individui è il Caso. Infatti il suo libro avrebbe anche potuto chiamarsi, per dire: L’invida, l’indigestione, la tauromachia. Ma il Caso - e il dizionario Zanichelli - ha voluto che si intitolasse L’amore, la sfida, il destino. Oltre all’elenco di parole a capocchia, la tecnica compositiva scalfariana prevede l’uso abnorme della massima, in pratica è una produzione di massa di Baci Perugina. Il più delle volte la frase a effetto è sottratta a qualche grande classico della letteratura e delle filosofia. Per esempio questa, a pagina 49: «Amare è rilucere con olio inesauribile. Essere amati è svanire. Amore è durare». Ecco: amore è durare, munitevi di Viagra.
LA METAFISICA
Poi ci sono i passaggi metafisici. Pagina 15: «La notte sentivo il respiro del mare e mi sembrava il respiro dell’Universo che si espande e si restringe, e le stelle cambiavano posto, alcune sono già spente ma la loro luce arriva ancora perché viaggia per conto proprio e lo spazio è lunghissimo da percorrere». Oppure, pagina 5: «Il tempo scorreva dentro di me molto più velocemente ed io lo percepivo come una cascata che mi trasportava a valla, verso un fiume, verso una foce». In questi brani, la forma si fa sostanza. Nel senso di sostanza stupefacente, tipo la cannabis.
Una particolare attenzione meritano i titoli dei capitoli. Ci sono quelli musicali: «Quella notte al suono delle zampogne» e «La Vergine e san Giuseppe hanno perduto le nacchere». Quelli erotici: «La sgualdrina di Abelardo »; «Il Narcismo innamorato». Infine quelli biblici: «E Lucifero creò la scimmia pensante»; «Mio nonno con la barba di Mosè»; «La colpa del figlio dell’uomo». A Repubblica hanno imparato l’arte e ieri intitolavano la recensione del tomo: «Guardare a 90 anni la curvatura dell’essere». La famosa Supercazzola a curvatura.
Ma concentriamoci ora sul contenuto. Spiega Eugenio che «si conclude con questo libro una ricerca cominciata diciotto anni fa». La ricerca in questione è quella iniziata col volume Incontro con Io. Insomma, sono diciotto anni che Scalfari cerca Io, il quale Io comprensibilmente si guarda bene dal farsi trovare. «Aggiungo come seconda avvertenza», spiega l’autore nel prologo, «che una parte del libro è autobiografica, anche quando la voce parlante non è necessariamente quella dell’autore ma magari di un suo “doppio” non meglio identificato». O, perché no, la voce di un passante, tanto è uguale.
I passaggi autobiografici, tuttavia, sono i migliori. Sentite questo fulminante incipit: «Ti ricordi come piangevi in quel bar senza avventori vicino alla Sinagoga, in piazza delle Cinque Scole? (...) Fu allora che pensai di chiamarti Abelone». Prima la chiama Abelone e poi si stupisce se la sua fidanzata piange. Per forza, sembra il nome di un San Bernardo: il mio fido Abelone. Straordinaria è la descrizione del pranzo a casa del nonno di Scalfari, soprannominato dagli amici «Lucifero». «In casa, quando la famiglia si riuniva attorno al tavolo da pranzo e in attesa che le pietanze arrivassero, c’era il rito del baccano: ciascuno dei presenti intonava una canzone a piacimento o si limitava a lanciare grida (...). Il baccano serviva ad aprire polmoni e stomaci in preparazione del cibo in arrivo». Il lettore resta allibito, ma poi Eugenio riporta la definizione che suo padre dava degli appartenenti alla famiglia: «Dolicocefali bruni con pigmenti nocciola della pupilla». Tutto si spiega. Addirittura, Scalfari usava la definizione per far colpo sulle ragazze. Le quali, immaginiamo, fuggivano terrorizzate pensando che il dolicocefalo Eugenio se le sarebb mangiate.
I momenti culminanti, però, sono proprio quelli in cui fa capolino Eros, vera ossessione di Scalfari. Il quale, nonostante la veneranda età, ci tiene a precisare di non aver perso il vizio: «Ho raggiunto la pace dei sensi, dicono i vecchi con un pizzico di civetteria », scrive. «Che frase insensata! Non esiste la pace dei sensi per la specie umana perché quando i sensi languono si moltiplicano i desideri che diventano tanto più intensi quanto piú sono immaginari».
Quando è preda di Eros, Eugenio perde la ragione. Lo evinciamo da un racconto che fa. Dopo essersi lasciato col suo grande amore di Roma, si precipita a Milano e comincia a vagare per le strade inebetito. In zona San Babila attraversa la strada senza guardare e una donna in auto quasi lo travolge. La signora prima lo insulta, poi lo vede barcollante e lo carica in auto. Lui si siede e, zitto, si fa condurre a casa di lei, che chiede: «Io abito qui. Vuole salire da me?». E lui: «Per che fare?». Risposta: «Quello che vuole. Non si preoccupi, venga con me». A questo punto, a Scalfari dovrebbero sorgere dei sospetti. Una lo rimorchia in macchina, lo porta a casa e gli dice: sali, facciamo quel che ti pare.
FUORI I SOLDI
E infatti salgono, lui si siede sul divano, lei prepara un caffè e poi si spoglia. Poi, tranquilla, gli domanda: «Vuoi fare l’amore? Faccio tutto io, non preoccuparti, tu non devi far niente. Oppure dormi. Mi fai un regalino? ». In pratica Scalfari si è fatto rimorchiare da una prostituta. A quel punto, mica si può rifiutare. Dice Barbapapà: «Tirai fuori dal portafogli una manciata di soldi e senza contarli glieli diedi. Lei mi buttò le braccia al collo». Purtroppo per la signora, il bunga bunga scalfariano consiste nel sesso orale. Nel senso che lui non consuma, vuole solo parlare. E l’avverte: «Ti annoierai. Ti addormenterai mentre ti racconto».
Una vera ingiustizia. Questa donna per sentire la solfa di Scalfari si è presa un mucchio di soldi. Per essere sottoposti allo stesso supplizio i lettori del libro spendono ben 17,5 euro.
Così non vale. Eugenio potrebbe avvertirlo, il povero lettore, proprio come avvertì la prezzolata signora. All’inizio di ogni pezzo su Repubblica dovrebbe premettere: «Ti annoierai. Ti addormenterai». Almeno uno saprebbe cosa lo aspetta.