Michele Brambilla, la Stampa 26/10/2013, 26 ottobre 2013
LA RIVINCITA DEL TALENTO SUI DOGMI
«Il dottor Augusto Vanghetta, pretore in sottordine con quasi 15 anni di carriera alle spalle, arrivò a Cuvio, dov’era stato destinato in qualità di titolare, nel pomeriggio del 26 ottobre 1930». Comincia così il romanzo Il pretore di Cuvio: con l’entrata in scena del dottor Augusto Vanghetta, uno dei tanti personaggi che affollano il piccolo esilarante boccaccesco e commovente mondo di Piero Chiara: come il Temistocle Mario Orimbelli de La stanza del vescovo, l’Emerenziano Paronzini de La spartizione, il patrocinatore legale Mansueto Tettamanzi «detto comunemente il Tetta», originario di Cogliano Inferiore, che con Cogliano Superiore «formava un unico comune chiamato Due Cogliani»; e, ancora, come l’albergatore Sberzi, il giocatore Coduri, il Tibiletti, il Càmola, il Tolini detto Tetàn.
Figure e figuri di un dolcissimo e malinconico luogo della memoria, e di una provincia compresa fra il Lago Maggiore e le sue valli, dove si gioca a carte o si consumano adulteri per vincere la noia, perché solo «chi ha passato anche un solo inverno sul lago - scrive Chiara ne La stanza del vescovo - sa quanta pace e quanta noia è possibile distillare ogni giorno».
Ma quanta magia possa essere generata da tanta noia, e dal lento scorrere di giornate apparentemente tutte uguali, lo si vede dal successo diremmo ormai imperituro dei romanzi e dei racconti del loro cantore. Quando, nel 1973, pubblicò Il pretore di Cuvio, Chiara il successo lo aveva già conosciuto, grazie a Il piatto piange e La spartizione. Successo di pubblico, però, e assai meno di critica. Erano gli anni in cui resisteva forte il pregiudizio secondo cui la quantità (di copie vendute) è incompatibile con la qualità, e ciò che piace «al popolo» - specie se si tratta di un popolo borghese - non può piacere all’élite intellettuale. Tanto più che Chiara, iscritto e perfino dirigente del Partito Liberale, in quell’élite - allora particolarmente engagé e tutta presa dal sottoscrivere proclami rivoluzionari - pareva, anzi era, un intruso. Se poté diventare uno scrittore, e uscire dal piccolo mondo dei bar con biliardo, fu per l’intuizione e il coraggio del suo concittadino Vittorio Sereni, allora direttore editoriale della Mondadori, che vide in quel suo amico che aveva ormai cinquant’anni (e una brillante carriera di nullafacente alle spalle) una sorta di Maupassant del Verbano.
Chiara che torna oggi sugli schermi, a trent’anni e anche più di distanza dai film mirabilmente interpretati soprattutto da quell’altro grande padano che fu Ugo Tognazzi, è l’ennesima rivincita che il talento si prende sui dogmatismi, sulle grettezze delle caste, sulle invidie dei salotti. I romanzi e i racconti dello scrittore luinese hanno continuato, in questi decenni, a circolare, a essere letti e amati da un pubblico che ha scorto in essi quell’universalità della condizione umana che solo la provincia sa rendere in modo tanto appropriato e affascinante.