Alessandro Penati, la Repubblica 26/10/2013, 26 ottobre 2013
LA DURA LEGGE DEL PIL IN ITALIA PEGGIO DEL ’29
QUANTE volte abbiamo visto il grafico con l’andamento dello spread? Troppe. Per capire problemi e futuro dell’economia italiana, meglio guardare a quello con l’andamento relativo del Pil (a prezzi costanti), come mostrato nella figura.
1. Nel secondo trimestre di quest’anno, il livello del Pil italiano era tornato ai livelli del 2000. Tredici anni perduti.
2. Se si tiene conto che nel frattempo la popolazione è cresciuta, ovvero del Pil pro capite, siamo tornati ai livelli del 1998.
3. Dal massimo raggiunto nel secondo trimestre 2007, il Pil è caduto del 9%; pro capite, quasi dell’11%.
4. Un simile crollo del reddito nazionale non si è mai registrato in tempo di pace da quando l’Italia esiste come nazione. La caduta complessiva del Pil negli anni della depressione, dal 1929 al 1934, raggiunse infatti il 5%; il 7,8% dopo la recessione del 1866 (quella delle grandi emigrazioni); e l’8,8% tra il 1913 e 1915, con l’arrivo della guerra mondiale.
5. Ammesso che dal 2015 l’Italia ricominci a crescere al tasso medio degli anni ’90 (1,7%), ci vorranno 6,5 anni per recuperare il livello del reddito del 2007; uno in più per quello pro capite. Per poter dichiarare, forse, che la crisi è alle spalle, bisognerà dunque aspettare il 2021. Stiamo facendo la storia.
6. Legittimo però dubitare di questo scenario: dal 1992 al 2007 abbiamo tenuto il passo dell’Europa anche grazie alla svalutazione della lira con cui siamo entrati nell’Euro; al credito facile delle banche; e alla montagna di debito pubblico collocato all’estero a basso costo, con cui abbiamo potuto finanziare la crescita di spesa pubblica improduttiva.
7. Mentre adesso dobbiamo: svalutare “internamente” (ovvero ridurre il costo del lavoro rispetto ai nostri concorrenti) per esportare; aumentare le imposte per pagare la spesa pubblica, che non vogliamo e sappiamo tagliare; convivere con il credit crunch perché regolamentazione e mercati impongono alle banche di ridurre la leva.
8. Di fronte a questi dati, i dibattiti sull’Imu, il miliardo in più o in meno di sgravi fiscali, il controllo di Telecom e Rcs, gli stipendi Rai, la rivalutazione delle quote Bankitalia o la detassazione delle sofferenze bancarie appaiono, ad essere generosi, irrilevanti.
9. Per invertire stabilmente il declino della crescita del Paese bisogna che il capitale privato italiano e straniero torni a investire massicciamente; ma non succederà fino a che da noi il profitto verrà penalizzato e mortificato; e lo straniero respinto. Siamo ancora un’economia di mercato.
10. Le politiche di redistribuzione (tasso i ricchi per sostenere la domanda dei poveri) riducono le tensioni sociali, ma non cambiano gli incentivi a investire e quindi la crescita potenziale. Né si può aumentare la crescita alla lunga con la spesa pubblica: il vincolo del 3% non aiuta certo, ma lo scenario per l’Italia non cambierebbe se il deficit fosse 5%.
11. Sperare in un piano di sostegno tedesco per l’Eurozona (Euro Bonds, trasferimenti unilaterali, Esm) è fantascienza. Ma temere che prima o poi arrivi la Troika in Italia, è realistico.
12. Avranno pure avuto due crisi finanziarie e una distribuzione del reddito iniqua, ma alla fine gli Stati Uniti sono ancora un’economia più dinamica di quella tedesca. Vero che la Germania ha tenuto il passo degli Usa se si guarda alla crescita del Pil pro capite. Ma la popolazione è cresciuta molto più rapidamente negli Stati Uniti, che sono stati così capaci di dare più reddito a un numero sempre più grande di persone. Le tante previsioni sulla fine del capitalismo ai tempi di Lehman appaiono decisamente premature. E leciti i dubbi della sostenibilità del “modello sociale europeo”.