Michele Smargiassi, la Repubblica 26/10/2013, 26 ottobre 2013
MANDA “I SOLITI IDIOTI” A RITIRARE IL PREMIO BUFERA SULL’ULTIMA BEFFA DI CATTELAN
«Lo cancello dal mio repertorio! Lo giuro, non nominerò mai più Maurizio Cattelan! Mi vergogno di tutto quel che ho detto finora su di lui!». Il settantottenne decano bolognese della critica d’arte è fuori di sé. Renato Barilli si sbraccia, si alza, si risiede, non si dà pace. Il ragazzo terribile dell’arte italiana gliel’ha fatta grossa. Non è venuto a Bologna a ritirare il premio Alinovi-Daolio, e questo passi. Ma ha mandato al suo posto «due guitti pietosi!», due attori comici televisivi, al secolo Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio, in arte “I soliti idioti” di Mtv, nei panni di padre Giorgio e padre Boi, finti preti, ma veri beffardi profanatori di quest’aula magna dell’Accademia di Belle Arti, dove improvvisano una lectio magistralis a due voci in laudatio di «don Maurizio, inventore della corrente artistica del bestemmismo». Il colto pubblico si piega in due dal ridere sulle poltroncine vellutate, i professori restano interdetti fra le austere colonne bianche. Una catastrofe. O una performance d’autore, dipende dai gusti.
Certo, se inviti l’artista che nove anni fa impiccò fantocci di bambini agli alberi dei giardini di Porta Ticinese, non ti puoi aspettare che venga in smoking a recitare la parte del premiato commosso, «sono onorato per questo riconoscimento», in posa con la pergamena davanti ai fotografi. E infatti, a metà mattina, l’atmosfera nella sala è di trepidante attesa di qualcosa. «Ci ha detto che ha preparato un’azione, non sappiamo cosa», bisbigliano gli organizzatori eccitati ma anche inquieti. «Siamo qui come banderilleros in attesa del toro», s’azzarda euforico un Barilli ancora ignaro delle cornate in arrivo.
Il premio è solenne. Intitolato per anni a Francesca Alinovi, promessa della critica d’arte morta trent’anni fa in circostanze tragiche, primo vincitore Luigi Ontani, da quest’anno è dedicato anche a Roberto Daolio, storico dell’arte scomparso pochi mesi fa, che proprio in queste aule scolastiche avvistò un astro nascente in quel suo bizzarro allievo padovano-milanese che studiava a Bologna, e gli scrisse le prime recensioni già nel 1988. È un premio “a staffetta”, dove il premiato precedente passa il testimone al susseguente: è Davide Bertocchi che attende Cattelan, con una sua opera in mano.
Ma il più quotato al mondo fra i creatori italiani non si vede ancora. È in ritardo? Bene, Barilli ne approfitta per esaltarne la figura d’artista. Immagini, video, un crescendo di gloria che culmina in una diapositiva finale assai profetica: «E dopo tutto questo, cosa può rimanergli ancora da fare per continuare a stupirci?». Pronti. Serviti. Da una porta laterale fanno irruzione i due comici in tonaca, ed è uno show travolgente di un quarto d’ora che spazia dalla vita del premiando all’analisi dell’opera artistica di Gesù, «l’installazione dei pani e dei pesci... La performance della camminata sull’acqua...». Barilli prova inutilmente a interromperli, «questa cosa non mi piace, è una pagliacciata offensiva per la memoria di Roberto Daolio!». Lo sdegno per la beffa è soprattutto qui, nell’oltraggio agli eponimi. Il premio è intitolato a defunti, come tutti i premi, ma dopo tutto è un premio e non un funerale. Da chissà dove, Cattelan non replica per «non offendere qualcun altro », ma manda un sms: «Sono sicuro che Roberto sta ancora ridendo...».
E forse qualcuno in sala riflette che il tema della morte, preso sotto l’angolo della beffa e del paradosso, è precisamente un cardine della poetica di Cattelan artista: i fantocci impiccati, lo scoiattolo suicida, il meteorite che abbatte papa Wojtyla, le sue opere oltre il limite sono note per questo. Ma soprattutto è noto lui, Cattelan, incarnazione perfetta di un’epoca in cui l’artista non fa arte, ma è l’arte, e lo è in ogni momento della vita, in ogni sua azione, anche e soprattutto quando, come è riuscito a fare oggi, buca le pagine dei giornali. Qualcuno fra i critici che hanno consacrato questo modello di artista pensava di poter accarezzare la tigre senza farsi mordere la mano?
Svaniti i finti preti, resta l’imbarazzo autentico. «Il dadaismo può raggiungere livelli insopportabili », scuote il capo Mauro Mazzali, direttore dell’Accademia. Ma non tutti sono scandalizzati. «Sta nella parte e nella personalità di Cattelan», abbozza Silvia Evangelisti, a lungo direttrice di Arte Fiera. Sfumata l’ira calda, a Barilli resta quella fredda: «Proporrò di ritirare il premio a Cattelan. Si è comportato in modo osceno, incomprensibile, idiota». Ma Paolo Granata, critico di una generazione più giovane, avanza un’ipotesi non del tutto eccentrica: «Ognuno ha il suo ruolo. Barilli ha avuto coraggio a fare da spalla alla performance di Cattelan...». L’arte, scriveva Adorno, è magia liberata dalla menzogna di essere verità.