la Repubblica 26/10/2013, 26 ottobre 2013
NON SPIAMO, INSEGUIAMO I TERRORISTI ADESSO BISOGNA FERMARE LA STAMPA
Il direttore della National Security Agency Keith Alexander ha dato la sua versione in un’intervista al sito “Armed with science”, un blog del Dipartimento della Difesa americana.
Eccone alcuni stralci
CHE vuol dire essere a capo del comando cibernetico degli Stati Uniti d’America e direttore della Nsa?
«Dal mio punto di vista, abbiamo due grandi missioni: lavorare con l’Intelligence straniera per il nostro Paese e fornire informazioni di sicurezza per i sistemi della Nsa. Tutto questo ci fornisce straordinarie possibilità. Fra di noi ci sono oltre mille ricercatori, altrettanti matematici, più di 4.000 scienziati del computer. E continuiamo a domandarci: cosa sta facendo il nostro avversario, di che mezzi dispone, cosa dobbiamo scoprire e come farlo. Questo ci permette di valutare le vulnerabilità delle nostre reti, e perciò proteggerci».
Lei, sostanzialmente, dice: dobbiamo spiare ma per un nobile fine, cioè difendere il nostro Paese
«Sì, è esatto. Il nostro compito è raccogliere comunicazioni dei terroristi a livello globale. Nel 2011 la Nsa aveva intercettato buona parte delle comunicazioni che venivano dallo Yemen, però le leggi ci impedivano di fare altrettanto in America, eppure uno dei leader terroristi era a San Diego, in California. Ora possiamo “vedere” anche l’altra parte, avvertire l’Fbi che deve seguire un caso in America, e questo è fondamentale per il nostro Paese. Si tratta di fermare gli attacchi terroristici».
Però i Paesi alleati protestano...
«Ma così aiutiamo anche i nostri alleati. Abbiamo rilevato 54 eventi chiave legati al terrorismo: complotti, transazioni finanziare e così via. Noi ne abbiamo scoperti 13 negli Stati Uniti, e altri 41 all’estero, di cui 25 in Europa. Insomma noi vediamo quel che sta accadendo e allertiamo le forze dell’ordine perché intervengano».
Perché la cybersicurezza è tanto importante per la sicurezza degli americani?
«L’America intera funziona con la cibernetica. Tutti sono online, ci sono iPhone, iPad, l’intera industria finanziaria funziona in base a una rete di computer, senza dire dei sistemi che fanno funzionare l’energia. In un anno e tre mesi ci sono stati più di 150 attacchi contro Wall Street e l’Aramco in Arabia Saudita, che hanno distrutto i dati di 3.000 sistemi di computer. E ancora in Corea del Sud, c’è il furto della proprietà intellettuale, dei dati delle carte di credito e molto altro ancora. Ecco dove entra in campo la sicurezza cibernetica. E ci resta ancora molto da fare. Prendiamo gli iPhone: non sono sicuri quanto il telefono fisso, però vogliamo usarli anche per i conti bancari. Perciò dobbiamo muoverci. Ci sono anche cose che gli avversari cercheranno di fare: interrompere le nostre comunicazioni, oppure distruggerle. E anche in questo campo l’occhio della Nsa è quello capace di vedere e anticipare i rischi, gli attacchi».
Oggi, però, i vostri sistemi di spionaggio sono sotto accusa...
«Beh, innanzitutto non si tratta di spionaggio. Parliamo di due programmi, “Business record” o Faisa o Metadata, e Prism. Servono a difendere il Paese dal terrorismo e altre cose. Il Faisa o Metadata è forse il programma più equivocato. Noi non registriamo le comunicazioni. Lei sarebbe stato d’accordo se avessimo potuto fermare il leader dei terroristi dell’11 settembre in base a nient’altro che un numero di telefono del destinatario, la data e la durata della chiamata? Ecco, non abbiamo altro: né nomi né contenuti. Mettiamo tutto questo in un database. Così, quando chiama il terrorista dallo Yemen, vediamo che numero contatta, e diamo quel numero all’Fbi, e loro seguono il giusto procedimento per capire chi è il tipo a San Diego. Prism, invece, è diverso. Quello sì, che riguarda i contenuti. Deve riguardare forestieri, non americani. Per esempio, cerchiamo un terrorista e sappiamo che lui comunica attraverso un certo provider. Lo individuiamo da qualche parte in Afghanistan o Pakistan, e siamo autorizzati ad andare dal provider con un mandato giudiziario per ottenere i contenuti di quelle comunicazioni. Così abbiamo trovato Najibul Azazi. Senza quel programma, non ne saremmo stati capaci».
Però, cercando terroristi, spiate anche la gente normale...
«No, noi non spiamo proprio nessuno, e certo non gli americani: noi inseguiamo i terroristi. Il programma ha avuto ottimi risultati. E la vera domanda è questa: qualcuno conosce un programma migliore di questo? Nessuno finora ha proposto qualcosa di meglio. La mia preoccupazione è che rivelare i mezzi di cui disponiamo informerà anche i terroristi e ci provocherà un danno irreversibile. Ora la nostra abilità di fermarli si è ridotta. Perciò, quando la gente muore, chi ha rivelato quei dati dev’essere ritenuto responsabile».
Sta parlando del vostro ex analista Edward Snowden?
«In questo momento i giornalisti hanno in loro possesso qualcosa come 50 mila documenti e li stanno vendendo e distribuendo, insomma tutto questo non ha alcun senso. Dobbiamo trovare un modo per fermarli, non so quale, spetta ai tribunali e ai politici ma dal mio punto di vista non si può permettere che questo continui».
Signor Alexander, settanta milioni di telefonate intercettate in un solo mese a Parigi le sembrano un dato “normale”?
«I giornali scrivono: 70 milioni di telefonate intercettate a Parigi in un solo mese. Pensateci: 70 milioni. Io non so quante telefonate ricevete in un giorno, forse 30. E lì parlano quasi tutti il francese, una lingua per noi straniera. Servirebbero linguisti, ma quanti? Per trascrivere e tradurre 2 milioni di telefonate al giorno? Un analista sa farne una ogni 15 minuti. A conti fatti dovremmo avere circa 100mila linguisti soltanto per la Francia. È impossibile! La stampa arriva alla conclusione sbagliata, e così recherà danno non soltanto a noi ma anche ai nostri alleati».