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 2013  ottobre 26 Sabato calendario

TARTUFI, VENTI E CONTADINI ARTISTI «I SEGRETI DELLA MIA LANGA»


Oscar Farinetti, il suo libro «Storie di coraggio. 12 incontri con i grandi italiani del vino» ha scavalcato in classifica Khaled Hosseini. Com’è potuto accadere?
«Intanto grazie a Fabio Fazio: un fuoriclasse. Come Arbore. Come Giordano Bruno. Non a caso ce l’hanno con lui; meno male che è stato abolito il rogo. E poi grazie al mio coautore, Shigeru Hayashi, grande sommelier».
Quello che sente nel vino cuoio, mollica e pietra lavica. Dice di lui Beppe Rinaldi, il re del barolo tradizionale: «A me ‘sto giapponese mi sembra un po’ fuori di testa».
«In effetti Shigeru è fuori di testa. Come il mio amico Matteo Renzi, del resto».
C’è un oste che si vanta di avere in cucina «mac langhet e gnun giapuneis»: solo langhetti, nessun giapponese.
«Rinaldi dice anche, vedendo due tedeschi entrare nella sua cantina: “Una volta qui, quando sentivano parlare tedesco, scappavano”. Il langhetto purosangue teme ciò che è straniero. Retaggio della guerra. Ora siamo andati nel mondo a vendere la Langa».
La Langa è un mistero. Il successo di Eataly è l’ultimo anello di una catena. La Ferrero e Cesare Pavese. La Mondo Rubber, che ha fatto le piste di atletica delle ultime dieci Olimpiadi, e Beppe Fenoglio. La Miroglio e Pinot Gallizio, il padre dell’Internazionale situazionista. I vini e i tartufi. Pure Roberto Longhi, il grande critico d’arte, è nato qui. Qual è il segreto della Langa?
«I segreti sono molti. Intanto, una combinazione irripetibile di fattori chimici, fisici, meteorologici. Il cabernet o il sangiovese attecchiscono da molte parti; il nebbiolo viene bene solo qui. Qui avviene l’incontro di venti buoni: la brezza marina, il “marin”, e l’aria fredda delle Langhe. I tartufi crescono un po’ dappertutto; solo in questo angolo però sono così profumati».
Ma questo è stato anche l’angolo della Malora. Ricorda l’attacco di Fenoglio? «Pioveva su tutte le Langhe. Lassù, a San Benedetto, mio padre si pigliava la sua prima acqua sottoterra».
«È vero. Alba e la Langa erano poverissime. Il barolo è nato nelle cantine di Bra. Poi è arrivato Giacomo Morra: l’inventore del tartufo. L’ha fatto conoscere ovunque. Lo regalava a Truman, non a De Gasperi. Aveva capito che il mercato è il mondo. È la stessa logica di Carlin Petrini, che pensa locale e agisce globale. Poi ci sono i grandi vignaioli. Gaja e Ceretto, i Coppi e Bartali del barbaresco. I tradizionalisti come Bartolo Mascarello, l’uomo dell’etichetta “No barrique no Berlusconi”. I modernisti, chiamati dalle nostre parti “i monfortini”, che invece affinano il barolo in barrique: Elio Altare, Roberto Voerzio, Giovanni Clerico».
Però non è solo questione di tecnica.
«Il segreto della Langa è il contadino artista. È l’artigiano della creatività. Un pasticciere come Pietro Ferrero, che con la melassa e la nocciola, succedanei dello zucchero e del cacao, alla fine della guerra inventa dolci che lasciava in conto vendita ai droghieri di Torino. Ora si trovano nei supermercati americani e asiatici».
I torinesi sono inquadrati: militari, operai, comunisti, preti sociali. I langaroli sono irregolari: vignaioli, scrittori, suicidi, giocatori d’azzardo.
«Non dimentichi i cantautori, come Gian Maria Testa, mio cognato. E i goliardi. Donne e vino. Pinot Gallizio ha inventato anche l’altalena dell’amore: lui e lei si dovevano afferrare al volo…».
Le donne di Langa, lei scrive, «a l’an goj d’ruse», hanno piacere di bisticciare.
«La tradizione dice che le donne da noi appaiono poco ma contano molto. Beppe Rinaldi sostiene che intervengono spesso in questioni di interessi: eredità, rapporti tra fratelli. Ora si sono evolute».
Il piemontese è quasi incomprensibile per i forestieri. Resto però convinto che noi italiani, dalla Langa al Belice, ci assomigliamo più di quanto pensiamo.
«Tutto il mondo contadino si assomiglia. Il rapporto del contadino con la terra madre è così sincero, vero e potente che prevale su tutti gli altri rapporti, dove c’è timidezza, malizia e spesso finzione».
Secondo Angelo Gaja, la malizia è una qualità. «Etre malin» in senso francese: accorti.
«Il langhetto ha l’accortezza, ma anche la malizia, in senso italiano. Come quando ai funerali all’inizio tutti tessono le lodi del morto, poi uno a caso attacca con il fatidico “parlandone da vivo…”, e quello è il segnale; da quel momento in poi viene fuori tutto il brutto. Possiamo essere gramet: cattivelli. E un po’ lamentosi. Però siamo onesti».
Anche i politici?
«Sì. Qui la Dc non rubava. Infatti prendeva più del 50%».
Perché secondo lei Renzi è fuori di testa?
«Ci vuole una bella dose di incoscienza a voler cambiare l’Italia».
L’ha portato in Langa?
«Sì. Apprezza il buon cibo e il buon vino. Deve fare un grande sforzo per controllarsi. Altrimenti sarebbe capace di mangiare otto piatti di carne cruda».
Perché l’ha definito «fantozziano»?
«Perché fa gaffes. Sbaglia i nomi, finge di ricordarsi persone che non ha mai conosciuto. Per questo lo apprezzo. Non amo i perfettini che esagerano con l’autostima. Preferiscono coloro che si trovano un po’ antipatici, che non sempre si piacciono. Per un langhetto, l’autostima conta molto meno dell’orgoglio».
Cos’è l’orgoglio per lei?
«Il legame con la nostra terra e la nostra storia. A cominciare dalla Resistenza».
Lei sostiene che l’Italia tra dieci anni può essere il Paese più ricco d’Europa. Come fa a dirlo?
«Perché abbiamo un patrimonio di cultura e bellezza senza pari, e un mercato potenzialmente sconfinato. Dovremmo prendere esempio tutti dai romagnoli, che hanno il mare più brutto del Mediterraneo e hanno il record di turismo, perché sanno venderlo. In Langa stiamo imparando. Quest’anno la Fiera del tartufo ha fatto più 30%».
Ma il tartufo migliore arriva ora, a novembre. Quali sono i grandi chef della zona?
«Massimo Camia a Barolo. Renzo e Gian Piero Vivalda dell’Antica Corona Reale di Cervere. Il giovane Davide Palluda dell’Enoteca di Canale. Il grande vecchio, Cesare Giaccone. Enrico Crippa del Duomo di Alba, il ristorante dei Ceretto. E Ugo Alciati».
Quello che lavora per lei.
«Il ristorante è suo, mica mio. Io gli do solo gli spazi. E in fondo preferisco le osterie. L’Unione di Treiso, Gemma a Roddino. E poi Felicin a Monforte, il terrazzo sulle Langhe di Bovio a La Morra…».