Werther Rossini, Lettera43 27/10/2013, 27 ottobre 2013
DOPING, LA NUOVA PIAGA DEL TENNIS
Una volta era considerato lo sport dell’elite. Oltre un secolo dopo, le cose sono cambiate. E come il ciclismo - ma non solo - anche il tennis s’è ritrovato funestato dal problema doping. Negli ultimi anni, infatti, sono stati svariati i casi di atleti che, sostengono i maligni, hanno inscenato finti infortuni per nascondere il reale motivo della loro lontananza dai campi: evitare il controllo contro le sostanze proibite.
Nel mirino però non sono finiti solo i tennisti, ma soprattutto la Federazione internazionale di tennis (Itf), guidata dal 1999 dall’italiano Francesco Ricci Bitti, come ha svelato il sito francese Rue 89, acquistato a fine 2011 dal settimanale Nouvel Observateur. L’accusa principale mossa nei confronti del massimo organismo del mondo della racchetta, da parte di media ed ex atleti, è di aver fatto poco per portare alla luce i casi di giocatori che hanno assunto sostanze sospette. Un’ombra pesante, che però il presidente rimanda al mittente.
«Le regole sul doping», spiega a Lettera43.it Ricci Bitti, sono molto chiare, «il nostro codice è stato approvato dalla Wada (l’agenzia mondiale anti-doping, ndr)». E poi il presidente della Itf precisa che le accuse pubblicate da Rue 89, sono in realtà «inventate».
Eppure i casi sospetti nel tennis non sono così rari. L’ultimo per esempio riguarda il croato Marin Cilic, che il 16 settembre è stato sospeso per nove mesi dopo essere stato trovato positivo nel torneo di Monaco di Baviera. Essendo però la squalifica retroattiva, partendo cioè dal momento in cui è stato beccato (1 maggio), Cilic - che nel frattempo ha anche già presentato ricorso al tribunale arbitrale dello sport - può tornare a gareggiare il 1 febbraio 2014, ma tutti i punti e i trofei che ha conquistato nel periodo incriminato gli sono stati tolti.
Il tribunale indipendente che lo ha giudicato ha deciso di non usare la mano pesante perché, pur avendolo ritenuto colpevole, ha accettato la giustificazione addotta dall’atleta che ha riferito in aula di aver assunto in modo inconsapevole il nikethamide, un supplemento di glucosio proibito dalla Wada.
In pratica, nel comminare la sanzione, l’organo giudicante ha tenuto conto della presunta buonafede del tennista e deciso di non infliggergli una punizione molto severa.
La voce che la prolungata assenza di Cilic, che si è ritirato all’improvviso a giugno dal torneo di Wimbledon per un presunto infortunio al ginocchio e non è più tornato, fosse legata all’assunzione di sostanze vietate circolava però da tempo. E ha suscitato parecchie polemiche la lentezza da parte degli organi preposti nell’appurare la verità, visto che sono passati ben cinque mesi tra il primo controllo a cui si è sottoposto l’atleta e la comunicazione della sospensione della sua attività da parte della Itf.
«Non ci sono infortuni ad hoc», spiega Ricci Bitti, «e ogni giocatore decide come comportarsi una volta che riceve una notifica per sospetto uso di sostanze vietate».
Cilic, però, non è rimasto un caso isolato. Una procedura simile era stata adottata anche nei confronti del serbo Victor Troicki, fermato solo dopo un’attesa di 90 giorni dopo che si era rifiutato di sottoporsi a un controllo antidoping a Montecarlo. E la vicenda non è ancora conclusa, visto che il giocatore ha annunciato venerdì 4 ottobre la decisione di fare ricorso per dimostrare la propria innocenza.
I casi di Cilic e Troicki appaiono quanto meno singolari, visto che sono gli atleti stessi a chiedere maggiore trasparenza e celerità nei controlli. Non a caso Andy Murray il 12 settembre, cioè quattro giorni prima che il croato venisse ufficialmente squalificato, a proposito proprio di questo episodio aveva dichiarato che «sarebbe ora che si sappia ciò che gli è capitato», perché, ha spiegato che «tutti sanno ciò che succede»: «Non ha superato un test antidoping, non capisco perché ciò non emerga». «I regolamenti parlano chiaro», continua il presidente dell’Itf, «i tempi di giudizio dipendono da fattori non tutti controllabili. Noi ci atteniamo a quanto scritto dalla Wada».
Ma gli attacchi non sono finiti. Il 25 settembre un ex tennista come Daniel Koellerer sul sito austriaco Sportwoke aveva lanciato pesanti accuse addirittura contro l’attuale leader della classifica mondiale Rafa Nadal. «Sta sette mesi fuori per un infortunio, torna e vince 10 tornei su 12. È impossibile, impossibile», ha attaccato l’ex atleta. Che poi ha aggiunto: «Questo dice già tutto, e si combina con le voci che parlano di infortuni finti per scontare dei silent ban (squalifiche silenziose, ndr). Guardatelo, nessuno crede al fatto che lui non prenda niente». Fino alla stoccata finale: «Immaginate cosa significherebbe per il tennis la notizia di un suo controllo antidoping positivo». Accuse pesanti, anche se i sospetti sono tutti da dimostrare. E Koellerer non è proprio la persona più adatta per muovere certe accuse, visto che in passato è stato radiato dalla federazione per aver tentato di combinare alcuni incontri.
Le sue accuse si sommano però a quelle dell’ex presidente del tennis spagnolo Pedro Muñoz, che a Bloomberg ha raccontato di aver accompagnato alla fine del 1990 un atleta a Parigi per un controllo dopo un test positivo e che la federazione internazionale aveva poi inflitto a quel giocatore una multa di 5 mila euro. Di quell’episodio tuttavia ufficialmente non si è mai saputo nulla.
Anche in questo caso non c’è la prova che quanto detto da Muñoz corrisponda al vero, ma di certo la scarsa trasparenza che caratterizza il mondo del tennis non aiuta a chiarire le cose e non ha fatto altro che alimentare i sospetti.