Ilaria Danieli, Ladies 26/10/2013, 26 ottobre 2013
THE DIAMOND’S BEST FRIENDS
Il campanello suona, la porta di sicurezza si apre e sulla soglia della gioielleria Boivin di Parigi, in un giorno del 1939, appare Daisy Fellowes, ricchissima nipote del magnate delle macchine per cucire, Isaac Singer, e moglie di un banchiere. Subito Io staff della boutique sfodera il sorriso delle feste e si fa in quattro per farla accomodare, prepararle un tè e chiamare Suzanne Belperron, allora designer di Boivin e grande amica di Daisy.
Mrs. Fellowes non è bella, ma molto elegante e decisa: chiede infatti «un’orchidea, un anello a forma di giunchiglia, un camaleonte, un paio di orecchini, una margherita, una freccia e due foglie di tormaline». Non specifica se l’orchidea e il camaleonte debbano essere una spilla, un bracciale o un dondolo, ne chiede preventivi, Le interessa solo che sia tutto pronto in tempo per la crociera sul suo yacht assieme al marito Reginald, ad alcuni amici e al cugino acquisito Winston Churchill, con il quale aveva avuto una love story prima di sposarsi. Appassionata di gioielli, che acquistava con la disinvoltura con cui Carrie Bradshaw di Sex and the city compra un paio di scarpe, madame Daisy ebbe l’idea di commissionare a Cartier un collier che impiegasse la manciata di smeraldi, zaffiri, rubini e diamanti recuperati da una serie di vecchi gioielli di cui si era stancata. Cartier aggiunse 250 pietre e le porse il collier Hindou, ribattezzato Tuttifrutti per il colore e la quantità delle gemme utilizzate. Il più famoso acquisto di Daisy chez Cartier però resta il diamante rosa Testa d’ariete, di 17,47 carati, appartenuto all’imperatrice Caterina la Grande. Per esaltare lo straordinario colore della pietra, si dice, Elsa Schiaparelli creò il primo abito rosa shocking.
Non da meno l’amore per i brilli di Elizabeth Taylor, che da tutti e sette i suoi mariti ottenne doni leggendari. Il consorte più splendido però fu Richard Burton, che per il San Valentino del ’69 le comprò, all’asta, la perla Peregrina: di straordinaria dimensione e forma a pera, era appartenuta nel 1500 a Maria Tudor (un ritratto lo testimonia). La pagò 37mila sterline (oggi quasi 3 milioni di euro), ma quando gliela consegnò, data l’euforia e il tasso alcolico della serata, la perla fu smarrita e ritrovata poi tra i denti del cagnolino di Liz, fortunatamente illesa. Nello stesso modo teatrale, ma senza cani di mezzo, Burton le aveva regalato due anni prima il diamante ribattezzato Taylor-Burton, di 70 carati, seguito da moltissimi altri cadeaux milionari. Anche Franca Florio, dama della Belle époque palermitana, riceveva doni scintillanti dal marito Ignazio, soprattutto se quest’ultimo doveva farsi perdonare qualcosa. Il che accadeva molto spesso, perché l’imprenditore vivace e bon vivant che gestì trasporti marittimi, tonnare, produzioni di Marsala, fondò L’Ora di Palermo e costruì Villa Igiea, amava molto le donne. E poi tornava dalla moglie con un filo di perle, diventate una collana lunga più di 2 metri già quando Giovanni Boldini, a inizio secolo, le fece il famoso ritratto. Purtroppo, velocemente come era salito, Ignazio crollò e del suo impero non rimase nulla, se non il premio automobilistico Targa Florio. Anche i gioielli di donna Franca furono venduti per far fronte ai debiti.
Nessun debito ma tanti crediti d’affetto invece per Barbara Hutton, l’ereditiera più triste ma anche più ricca d’America, grazie al nonno, fondatore della catena di negozi al dettaglio Woolworth. Presto orfana di madre, tu sballottata da un parente ali altro, con il padre sempre assente che ogni tanto le staccava un assegno. Un giorno, da ragazzina, la portò da Cartier permettendole di scegliere un anello. Lei ne indicò uno di rubini che costava 50mila dollari, e fu solo l’inizio. Infatti, al matrimonio con il principe georgiano Alexis Mdivani, il padre le regalò il giro di perle, ovviamente naturali, che pare sia appartenuto a Maria Antonietta. Barbara ebbe poi altri sei mariti, tra cui Cary Grant e il latin lover Porfirio Rubirosa, ma, una volta morto papà, i gioielli dovette comprarseli da sola. Come la collana di smeraldi appartenuta ai Romanov, propostale da Cartier a più di 1 milione di dollari, o il famoso diamante Pascià (considerato la pietra più bella del tesoro d’Egitto), acquistato da Bulgari e montato ad anello. Alla morte della Hutton, secondo la leggenda il maggiordomo Bill Robertson le sfilò il Pascià dal dito e lo nascose in un sacchetto di carta, portandolo poi in una banca delle Bermuda.
Non correva di questi rischi la duchessa di Windsor, Wallis Simpson, che seppe mettere al sicuro da qualsiasi furto le soddisfazioni in carati tratte dalla sua spigolosa bellezza (o bruttezza, secondo alcuni) e dal suo ancora più affilato arrivismo. Riuscì infatti, lei pluri-divorziata americana, a farsi sposare da un re d’Inghilterra, Edoardo VIII, poi duca di Windsor, diventando la protagonista di una storia d’amore privata e molto pubblica che attraversò con grande scandalo la prima metà del secolo scorso. L’elegantissima socialite coltivò i doni preziosi come la propria autostima, solo ai massimi livelli. Van Cleef inventò per lei il serti mixterieuse (cioè l’incastonatura nascosta, in cui le gemme vengono inserite su un microbinario senza mostrare griffi) nella spilla a foglie di rubini e diamanti regalatale da Edoardo per il Natale del 1936. E fu lei la prima, nel 1948, a ricevere un gioiello a forma di pantera, capostipite della famiglia di grandi felini firmata Cartier. Chiacchieratissimi dalla stampa, invidiatissimi da tutte le lettrici, i gioielli della duchessa fecero una buona fine. Dopo la sua morte, infatti, per sua espressa volontà, furono messi all’asta a favore dell’Institut Pasteur di Parigi: 30 milioni di sterline del 1987 che brillano ancora, mai abbastanza purtroppo, nella ricerca contro il cancro e l’Aids.