Serena Tibaldi, D Repubblica 26/10/2013, 26 ottobre 2013
NEGLI ABITI DI ELSA
Le stanze al quinto piano del 21 di place Vendôme sono vuote, le pareti spoglie e l’odore di vernice fresca ancora forte. «La mia scrivania è arrivata ieri, qui tutto è una pagina bianca», dice sorridendo Marco Zanini. Il suo insediamento come stilista di Schiaparelli sarà ufficializzato tre giorni dopo questo incontro, ma ormai tutti sanno che sarà il 42enne milanese a guidare la leggendaria maison. «La cosa che mi ha più stupito è quanto Elsa Schiaparelli fosse celebre ai suoi tempi: nel secondo dopoguerra, il suo era il marchio più conosciuto. Era illuminata, coraggiosa, sincera e intelligente, e il pubblico lo percepiva». Sono giorni densi per Zanini, formatosi da Lawrence Steele, Versace e poi Halston: solo due giorni fa ha presentato la sua ultima collezione per Rochas, e adesso lo aspetta un compito ancora più complesso, l’haute couture, con il debutto fissato per gennaio. «Fare alta moda per me è come vincere alla lotteria. Lavoriamo negli spazi dove Schiaparelli lavorava, negli stessi saloni, allo stesso indirizzo: un aspetto essenziale del progetto, perché abbiamo un luogo identificabile con la nostra moda. Tutto sarà realizzato qui: potrò seguire ogni fase, dai prototipi alla vendita, e per un creativo è un privilegio unico. Anche per questo - perlomeno all’inizio - non avremo una distribuzione esterna, né per la couture né per il “prêt-à-couture”, la nostra versione di ready-to-wear. Passo dopo passo, con calma, costruiremo una Schiaparelli contemporanea. Della Valle ha dimostrato un grande coraggio nel puntare tutto sull’eccellenza, senza compromessi». Già, dietro tutto questo c’è Diego Della Valle, proprietario del marchio sin dal 2007: il rilancio c’è stato nel 2012, ma c’è voluto tempo per definire il progetto. Un percorso atipico: prima è arrivata la musa/testimonial Farida Khelfa, poi la sede ufficiale, con l’acquisto dei saloni dove “la Schiap” creava e riceveva i suoi amici, Sartre e Dalí compresi. Restava uno scoglio: chi sarebbe stato in grado di raccogliere una simile eredità? L’attesa con i mesi è diventata spasmodica, e ora tutti gli occhi sono inevitabilmente puntati su Marco Zanini. «Se sono spaventato? Se mi fermassi a pensarci, mi chiuderei in una stanza e non ne uscirei più. Preferisco godermi ogni istante: quando sono stato contattato era tutto molto misterioso, mi era stato detto solo che si trattava di una grossa opportunità a Parigi. Sapevo che il seggio qui era vacante, e un po’ ci speravo».
Ha avuto ragione, il posto è suo. Il fatto che questo fosse il suo destino lo ha capito più avanti, anche da un altro episodio. «Lo choc più sconvolgente che abbia mai avuto è stato nel 1987, quando vidi in tv una sfilata di Christian Lacroix. La sua moda era sontuosa, unica, zeppa di citazioni e riferimenti. Cominciai a scrivergli col fervore che solo un sedicenne può avere, e lui mi rispose incoraggiandomi e dandomi una sicurezza che mai avrei potuto conquistare altrimenti. Ci siamo rincontrati durante la haute couture dello scorso luglio, quando ha presentato la sua reinterpretazione dei modelli simbolo di Elsa (il progetto prevede che ogni anno un diverso artista renda omaggio al genio della stilista attraverso le proprie opere). Lui, incredibilmente, si ricordava di me: non sono superstizioso ma credo nelle coincidenze, e ritrovare il mio idolo proprio qui mi ha fatto capire di essere nel posto giusto». Zanini è un sognatore, ma consapevole di ciò che lo circonda: il mix ideale per dare linfa a un nome cristallizzato in un’altra epoca. «Il compito di un creativo è raccontare una storia, accompagnando il pubblico lungo un percorso. Voglio creare un nuovo desiderio attorno a Elsa Schiaparelli svelando la sua personalità, perché c’è ancora tanto da dire. Tutti conoscono la sua fase surrealista con i disegni delle aragoste e il cappello a scarpa, o la collezione dedicata al circo. Sono però in pochi ad avere chiare la semplicità delle sue creazioni e la sua capacità di sintesi. La grandezza della “Schiap” stava nel modo di pensare: i vestiti erano lo strumento dei suoi ragionamenti».
Marco Zanini alza lo sguardo verso il ritratto della stilista, incollato al muro con il nastro adesivo (non c’è stato tempo per altre decorazioni). «La guardo e mi sembra incredibile essere qui, a portare avanti l’eredità di questa donna eccentrica, colta e ironica. A 16 anni ho trovato, a Londra, la prima edizione della sua autobiografia, Shocking Life: l’ho letta in una notte, sono stato risucchiato dalla sua mente. Dovessi descrivere il suo stile con una parola sarebbe tough, tosto: non faceva mai boutade a caso, era spontanea ma mai inutilmente sopra le righe, e partirò da questo per ridare forza alla sua identità». Adesso c’è da creare il team, sarte comprese, che darà vita a tutto questo. «Quello dello stilista non è l’assolo di una star sul palcoscenico», prosegue Zanini, «ma l’esecuzione di un’orchestra bene affiatata». Intanto, al suo fianco c’è la sorella Miki, suo fidato braccio destro da sempre e “portavoce” di tutte le donne per cui lui crea.