Pier Bergonzi, La Gazzetta dello Sport 28/10/2013, 28 ottobre 2013
OLDANI, DIECI ANNI D’OC
Ferran Adria, guru della gastronomia mondiale, racconta meraviglie dei ristoranti «Pret a porter» aperti col fratello Albert a Barcellona e anche il Italia gli chef stellati o stellari si stanno convertendo al credo della «Bistronomia».
Davide Oldani lo aveva capito già 10 anni fa. E’ dall’ottobre del 2003 che nel suo «D’O» di Cornaredo (alle porte di Milano) si fa cucina di alto livello a prezzi accessibili. Oldani ha messo i jeans a una cucina istituzionale. Con l’obiettivo della qualità ha cercato di essere Pop (e ci è riuscito) senza perdere il filo della classicità. Questa sera festeggerà con gli amici (tanti) e i clienti più fedeli (tantissimi) il decennale del suo D’O.
Cosa ricorda del primo giorno di apertura?
«La felicità di mio papà Bruno, scomparso 4 anni fa, che mi aveva aiutato a rilevare la trattoria Sironi per trasformarla nel D’O. E ricordo i primi 3 commensali: il mio commercialista e due amici...».
Da allora è passata tanta gente e le prenotazioni si sono moltiplicate.
«Difficile fare il conto di quanti ospiti abbiamo avuto ma se vi dico che riempiremmo due stadi di San Siro non ci vado lontano. La soddisfazione è che il 95% per cento di loro riprenota dopo aver pagato il conto».
C’è un piatto del debutto che avete ancora nel menu?
«Abbiamo cambiato tutto, ma nella carta della prima sera c’era già un “tarocco” della mia cipolla caramellata. Allora ci mettevo una grattata di tartufo che dava nobiltà, ma anche una falsa identità».
Lei giocava a calcio...
«Attaccante nella Rhodense. E segnavo tanto! Sono arrivato fino alla C2. Con la Berretti e la Primavera mi è capitato di sfidare il Milan di Paolo Maldini. Lo sport mi ha dato il senso della sfida e la predisposizione a fare squadra».
Con quale schema gioca il suo gruppo.
«In cucina noi siamo per calcio totale. Squadra corta e compatta. Tutti avanti e tutti indietro. Ho la fortuna di contare su uomini di straordinaria qualità, Vladimiro Nava è il mio Cambiasso e Alessandro Procopio il mio Messi. Alessandro, che mi fa da secondo è con me dall’inizio, ma per 6 anni è stato farsi le ossa da Ducasse e al Troisgros di Roanne per poi tornare nel nostro gruppo. Ogni risultato dipende dalla qualità dei rapporti umani. Per questo al D’O abbiamo il “terzo tempo”. Ogni giorno tutti i miei collaboratori si stringono la mano al mattino, appena arrivano e alla sera quando tornano a casa».
Chi sono i Maradona e Pelè della cucina, i più grandi di sempre?
«Storicamente Auguste Escoffier, ma io dico Alain Ducasse per come interpreta a 360 gradi il ruolo dello chef, Ferran Adrià per visione artistica e poetica, e Gualtiero Marchesi per come ha saputo azzardare con eleganza e umanità. Un vero Signore!».
Marchesi è quello da cui ha imparato di più?
«Ho lavorato nella cucina di Ducasse e per qualche mese, nel 1999 anche da Adrià. Ma con Marchesi, tra stop e ripartenze, sono stato 10 anni. Nella “cantera” di Gualtiero c’erano anche il mio amico Berton, Cracco, Crippa... Una grande scuola. Per me è stato un secondo padre. Ha carisma e sa insegnare. Se devo scegliere un suo piatto dico il «raviolo aperto», per la bontà assoluta e per quello che concettualmente rappresenta».
Chi metterebbe nella Nazionale degli chef?
«Cannavacciuolo in porta. Poi Perbellini, Cuttaia, Alajmo, Scabin, Ciccio Sultano, Esposito, Santini e un super attacco con Cracco, Bottura numero 10 e Berton. Ma nel turn over vedo anche Beck, Crippa, Stabile, Assenza, Besuschio e ogni tanto farei entrare in prima squadra anche dei Primavera come Procopio, Nava e Cogo. Allenatore, naturalmente, Marchesi che è come il Trap...».
Ha una sera libera è può prenotare un ristorante nel mondo. Cosa sceglie?
«Andrei dai fratelli Roca, a Gerona»
Un piatto e un vino per essere felici?
«Gelato alla stracciatella, quello tradizionale col cioccolato stracciato e una bottiglia di bollicine: champagne o un Franciacorta Coupè»
L’ossessione in cucina?
«La ricerca dall’equilibrio dei contrasti che sono in tutti i miei piatti: caldo e freddo, morbido e croccante, acido e basico, dolce e salato».
Il cliente che vorrebbe avere?
«Francesco! Non Totti, ma il Papa. Lui dà lezioni di semplicità ed equilibrio tutti i giorni. E’ un personaggio straordinario. Ecco mi piacerebbe davvero cucinare per lui».
Vinta la sfida del D’O dove porta i suoi sogni? Si parla di uno sbarco a Milano...
«I sogni sono gratis... come dice quel grande interista del Liga. Io a Milano sono nato e un progetto ci sarebbe, ma devo trovare l’occasione e il luogo giusti».
A proposito di Inter, conosce lla cucina indonesiana?
«Poco... E poi sono molto legato alla famiglia Moratti. Loro ci hanno dato il “triplete”!».