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 2013  ottobre 26 Sabato calendario

Notizie tratte da: Edgarda Ferri, Il cuoco e i suoi re, Skira 2013, pp. 176, 15 euro.Marie-Antoine Marie-Antoine Carême nasce in una baracca di legno, a Parigi, ai tempi della Rivoluzione

Notizie tratte da: Edgarda Ferri, Il cuoco e i suoi re, Skira 2013, pp. 176, 15 euro.

Marie-Antoine Marie-Antoine Carême nasce in una baracca di legno, a Parigi, ai tempi della Rivoluzione. Padre manovale al porto sulla Senna (dalle dieci alle quattordici ore di lavoro), madre con dieci e forse anche più figli, e fratellastri di tutte le età.

Antonin Battezzato nella chiesa di San Tommaso d’Aquino con il nome di in onore della regina Marie-Antoinette, da grande si farà chiamare Antonin.

Lavoro «Non appena riescono a reggersi in piedi, i bambini francesi devono occuparsi dei fratelli più piccoli, lavare i pavimenti, far commissioni a pagamento per conto dei vicini. A sei anni, aiutano il padre: dai sei ai dieci, anche Antonin Carême segue il suo, giù nel porto lungo la Senna, dove incessantemente si scaricano i legni, i mattoni e le pietre per allargare le strade, innalzare di un piano le case, costruire nuovi palazzi. Passati i dieci anni, vanno a fare i garzoni nella bottega di un artigiano, i facchini, i manovali di un carpentiere, gli stallieri, gli sguatteri, i giardinieri».

Scuola «I bambini francesi frequentano la scuola solo se possono pagare un maestro privato. La Rivoluzione ha promesso che l’istruzione sarà libera a tutti: per il momento, soltanto parole. Mancano i soldi. Mancano anche i maestri. Quando si trova, l’istitutore deve fare anche un altro mestiere: il ciabattino, il taverniere; oppure, sotto il Vecchio Regime e ora vietatissimo, il prete. La tariffa è un franco per imparare a leggere, un franco e cinquanta centesimi per leggere e scrivere. A scuola, Antonin Carême non ci è mai andato, la sua famiglia non se lo poteva permettere».

Giocattoli «Antonin non ha mai avuto un vero giocattolo: si faceva da solo
una palla di stracci, intagliava un ramo di platano per far volar via, con un colpo ben assestato, una sorta di spolettina ricavata da un rametto di legno di tiglio».

Fuori di casa «Antonin Carême non ha ancora compiuto dieci anni quando suo padre lo porta in una taverna oltre la Barrière du Maine, divora un piatto di fricassea di coniglio, specialità della zona, preceduta da un pot-au-feu molto più saporito e ricco di quello che gli prepara la mamma: contro quindici qualità di legumi e verdure, solo due parti di carne; ma anche una sola, talvolta. […] il manovale Carême aspetta che Antonin si ingozzi fino a non poterne veramente più, fra il patetico e il burbero gli molla uno scappellotto da fargli girare la testa, e senza tirare il fiato recita una litania sperimentata già tante altre volte: “Ragazzo mio, mon garçon, è arrivata l’ora. Non pensare più a tua madre, a me, alle tue sorelle. La nostra sorte è stata la miseria, e così moriremo. Vai per la tua strada”. Non è un padre snaturato, la gente povera faceva sempre così. Dai dieci anni in avanti, i figli maschi: tutti fuori di casa».

Ristoranti «Nonostante la povera gente sia rimasta povera, come era povera sotto il Vecchio Regime, i ristoranti di Parigi sono sempre affollati. Antoine Beauvilliers ne ha aperto uno, lussuoso, sotto le arcate del Palais Royal: camerieri vestiti di nero con la camicia bianca, cantina eccellente, piatti esclusivamente di sua creazione, tovaglie candide su tavoli singoli, menu con l’elenco dei cibi e dei prezzi. “Maître Antoine”, già capo cuciniere del conte di Provenza, fratello del re ghigliottinato, riceve sulla porta i clienti cingendo al fianco un lungo spadone: ricordo del rito medievale, quando i cavalieri lo usavano per cuocere le carni allo spiedo, e indossando la gloriosa uniforme di officier de bouche de réserve: il più alto rango nell’immutabile e rigorosa gerarchia dei cuochi. Premuroso, ospitale, guida personalmente i clienti, dei quali ricorda i nomi e il volto, nella scelta dei vini e delle sue famose creazioni: il fricandò di spinaci, una speciale choucroute, l’anatra alla rapa, lo sformato al latte di capra, il pasticcio caldo di beccaccia, le animelle di agnello à la Dauphine, il filetto di capretto lardellato».

Napoleone Napoleone Buonaparte, habituè del ristorante “Chez les Frères Provençaux” dove consuma bouillabaisse, brandade di baccalà e aglio arrostito alla parigina mangiando «con la testa nel piatto a una velocità impressionante e usando spesso le mani per fare ancora più in fretta».

Ostriche In attesa della ghigliottina, ogni giorno alle dodici in punto il duca di Lauzun si era fatto servire nella sua cella alla Conciergerie vino bianco e ostriche. «A scanso di inutili eccessi, ai condannati a morte è stato vietato di farsi portare da fuori la galantina di pollo e di anguilla. In compenso, in ogni galera è stato ingaggiato un ottimo cuoco, al quale i prigionieri possono ordinare un pasto eccellente, fatta eccezione per il vino che devono far arrivare da una taverna».

Brodo «La taverna più famosa è “Boulanger”, vicinissima al Louvre, che sull’insegna porta la scritta “Venite ad me omnes qui stomacho
laboratis et ego restaurabo vos”, che infatti prepara brodi di carne buonissimi».

Spiedi L’oste della “Fricassée de Lapin” in una sera d’inverno vede Antonin Carême, all’epoca un bambino scalzo, solo, sfinito, e dopo avergli
fatto mangiare una zuppa in cambio di vitto e alloggio lo metto agli spiedi. «E’ un lavoro durissimo. Bisogna girare dal mattino alla sera una ruota di ferro carica di quarti di montoni e vitelli; regolare il calore del fuoco muovendo di continuo con una pala più alta di lui i carboni roventi; tastare le carni con un forchettone senza rompere la pelle e il sottostante tessuto. Riempiendosi i polmoni di fumo, ustionandosi le ciglia, la punta delle dita, le guance. Poi, quando tutti gli avventori se ne sono andati, comincia la pulizia degli spiedi: staccare la carne bruciata senza graffiarli, lavarli con acqua e cenere strofinandoli fino a quando non brillano, appenderli ai loro ganci senza sbagliare la disposizione stabilita dall’oste. La cena arriva dopo: brandelli, cotenne, ossi, interiora scartate. Ma è già qualcosa, per Antonin Carême. A dieci anni. Da solo».

Pasticceria Qualche tempo dopo Antonin, ancora bambino, si fa ingaggiare dal pasticciere Bailly. «Antonin si muove leggero, ha modi eleganti, nessuno direbbe che è uscito da una baracca dove viveva con quindici tra sorelle, fratelli, fratellastri. Ha una bella testa rotonda ricoperta da riccioli neri, occhi scuri e vivaci, naso diritto, mani agilissime. È intelligente, intraprendente, curioso. Lavora tanto, si fa voler bene».

Uova al tartufo Luigi XV si cucinava da solo le uova al tartufo e discuteva con il suo maestro di cucina sul modo migliore di preparare una nuova vivanda.

Stesso piatto Il duca di Nivernais arrivava a farsi servire per otto giorni di seguito sempre lo stesso piatto, finché non arrivava alla sua perfezione.

Maionese Dicono che sia stato Richelieu a portare a Parigi la salsa a base di uova crude e olio assaggiata durante l’assedio di Port Mahon nell’isola di Minorca, appunto chiamata mahonnaise dall’antico nome catalano del porto: Maho.

Louvre «Ogni martedì e venerdì, giorni di ingresso libero al Louvre, Antonin Carême va a leggere le storie dei romani di Giulio Cesare, che durante la campagna della Gallia avevano trovato i “barbari” sapientissimi nel produrre succulenti formaggi, ingrassare i porci e le oche, arrostire le carni nelle maniere più varie e con vari sapori per dare loro un gusto migliore. Legge il De re coquinaria, ritenuto il primo manuale di cucina e attribuito ad Apicio, sotto il cui nome si celano molti protagonisti della gastronomia romana. E la storia di Taillevent, capocuoco dei re Carlo V e Carlo VI di Francia, che nel 1390 aveva preso a bollire le carni prima di arrostirle, e a rendere più dense le salse con pane, zucchero, spezie. Della regina Caterina de’ Medici, che nel Rinascimento, oltre ai cuochi italiani e una cucina spettacolare e fastosa, aveva importato in Francia l’uso della forchetta. Dell’agronomo Olivier de Serres, che nel 1600 aveva scritto una serie di ricette per coltivare le verdure, e la patata, allora quasi sconosciuta e coltivata con grandissimi sforzi, che di lì a poco avrebbe rivoluzionato la cucina francese. Mentre, nel fondamentale Portrait de la santé, Joseph Duchesne aveva spiegato come cuocere i prodotti naturali senza aggiungere spezie fissando, addirittura, l’ora del pranzo e della cena».

Piece montée Nella pasticceria di Bailly Antonin Carême diventa famoso per i suoi pièce montée, elaborate preparazioni spesso alte oltre un metro che riproducono templi, piramidi eccetera: «Disegna e ritaglia le sagome di cartone che riproducono anche i più piccoli particolari del modello prescelto. Prepara la pasta: quella chiamata d’office, da costruzione, quella di mandorle e il pastillage. Sceglie di preferenza la prima, perché è pronta in due giorni, si conserva meglio, soprattutto si può mangiare senza pericolo di avvelenamenti. Il giorno precedente, mescola farina bianca finissima, zucchero passato al setaccio di seta, albumi d’uovo, qualche goccia di gomma adragante, una collosa mucillagine estratta dalla corteccia di alcune piante esotiche sciolta in un poco d’acqua. La sbatte, la impasta, la lavora a lungo, fino a quando non diventa soda e di un bel colore bianco. La divide in tre parti che colora di rosa vivo, lilla tenero, violetto. Stende con un mattarello la pasta violetta su un basamento di marmo. Con quella rosa, forma delle colonne e con quella lilla le decorazioni. Cuoce i pezzi nel forno a fuoco lentissimo. Induriti e raffreddati, li assembla con una colla arabica sciolta nell’acqua e distesa con un pennellino piatto di peli di puzzola. Perché non sbavi, la mano diventa più lieve di una carezza. I colori sono naturali. Variano di volta in volta, e per rispetto dei canoni dell’eleganza classica non sono più di tre, al massimo quattro. Per ottenere il rosa, usa l’infusione di cocciniglia, per il giallo lo zafferano, l’essenza di spinacio oppure il blu indigo mescolato a zafferano per il verde. Mescola l’indaco con acqua in un mortaio di marmo per ottenere il blu cielo, poco blu mescolato a molto rosso vegetale per ottenere il lilla e viceversa per il violetto; mescolando lo zafferano e il rosso vegetale ottiene l’arancio, mischiando il rosso e lo zafferano e calcando la mano sullo zafferano ricava il colore “aurora”».

Talleyrand Il barone Charles Maurice de Talleyrand-Périgord «è celebre per i suoi ricevimenti: […] prima che si serva la cena, appare avanzando con il suo passo pesante, malfermo. Nonostante la testa ricordi la mascella di un rettile, il sorriso ipnotizzatore sulle labbra carnose, la voce legnosa, l’età non più florida, la zoppia, il ripugnante cinismo – “per fare fortuna, non occorre avere spirito, è la delicatezza che non bisogna avere” – è sempre circondato da donne belle, intelligenti, ricchissime. “Si tira sempre dietro delle isteriche che litigano fra di loro per conquistare i suoi favori”, diceva di lui Marie-Antoinette. Grande cerimoniere di Talleyrand è Bouche sèche, “Boccasecca”, come la servitù di palazzo Galliffet chiama il famoso Boucher per via delle labbra costantemente arrossate e arse. Abbigliato come ai tempi del Vecchio Regime, imparruccato e con la spada al fianco, rappresenta in maniera impeccabile la figura dello “scalco” addetto alle cucine aristocratiche: tiene i cordoni della borsa, si rifornisce personalmente al mercato delle Halles, seleziona i cuochi e la servitù, dispone i posti a tavola, prepara il menu».

Fecola di patate «Nel 1802, mentre Napoleone è nominato console a vita e si avvia ormai a essere proclamato imperatore, Antonin Carême lascia Bailly per il pasticciere Gendron, al numero 11 della rue Neuve des Petits-Champs: venti passi a piedi da rue Vivienne. Impastando il burro e le uova con la fecola di patate, mai usata finora e diventata subito indispensabile, Gendron ha demolito il primato dei “biscotti di Savoia”, che i palati degli esigenti e schizzinosi parigini definiscono, di colpo, immangiabili».

Indipendente Dopo una breve esperienza con Gendron, «Antonin compera ogni sorta di attrezzo che serva al suo lavoro. È indipendente, senza padroni, balza da una cucina all’altra della grande mischia di cui è formata la nuova “alta società” della capitale: aristocratici scampati alla ghigliottina e riabilitati, alti funzionari e militari dell’Impero, banchieri, ambigui affaristi e parvenus, corruttori di professione, artisti al servizio permanente di Napoleone, che nel giro di pochissimo tempo ha nominato 31 duchi, 452 conti, 1500 baroni, 475 cavalieri. Tutti puntano sulle feste e sui pranzi per elevare il loro grado sociale, distinguersi, farsi desiderare, ottenere favori».

Napoleone «La Francia sta vivendo un momento entusiasmante. Napoleone ha istituito un Consiglio della salubrità per incrementare le ispezioni igieniche, ripulire le strade e le fogne, obbligare i medici e il personale degli ospedali a indossare camici puliti, lavarsi le mani più spesso, disinfettare i letti e i pavimenti. Ha quasi raddoppiato il numero dei collegi e le scuole per l’istruzione. Seduti ai banchi pensati sulle loro misure, gli allievi studiano a orari fissi. Ha fondato la Scuola militare di Saint-Cyr e creato la Banca di Francia. Ha incaricato gli scienziati di seguire ogni genere di scoperta nel mondo. Mentre Malthus perfeziona i suoi studi sul controllo delle nascite, ha istituito premi che arrivano fino a 5000 franchi per le novità nei campi scientifici, letterari e artistici».

Parigi «In un anno Parigi divora 15 mila buoi, 103 mila vitelli, 558 mila maiali, 100 mila quintali di pesce di mare, 106 milioni di libbre di pane, e spende più di 400 mila franchi per rifornirsi di ostriche. All’estero, la cucina francese è ritenuta la più elegante e raffinata d’Europa».

Carolina Bonaparte «I re d’Inghilterra pretendono soltanto cuochi francesi. Antonin Carême non sa più come rigirarsi, tanto ha da fare. Carolina Bonaparte e suo marito Joachim Murat, vivono fra i fastosissimi agi del palazzo dell’Élysée. Degli avidi e numerosi parenti di Napoleone, sono i più spendaccioni e brillanti. Ambiziosa e golosa, mangia come tre lupi e ingrassa al punto da lanciare una moda che vezzosamente maschera l’ampiezza dei fianchi – tuniche con la vita stretta sotto il seno e gran scollatura – la sorella dell’imperatore ha deciso che la sua tavola sia la più elegante, la più ricercata, la più succulenta di Francia. Passa le mattinate a confabulare con Albert, controllore dei suoi banchetti, e con Laguipierre, chef della sua cucina, a sfogliare i disegni che le ha fatto avere Carême per scegliere quelli più adatti alla sue cene a tema e ai balli mascherati».

Sette piani Per una cena offerta in onore di Napoleone, Carolina Bonaparte ordina a Carême una pièce montée a sette piani. I tre primi gradini hanno una base di cialda “all’italiana”. Il primo è decorato con pasticcini croccanti. La guarnizione del secondo è composta di praline alla frutta. Ai lati del terzo, circondato da piccole madeleines, sono disposti due elmi. È la prima volta che Carême prepara il “casque alla francese”. È a grandezza naturale, in pasta d’office ottenuta con farina, zucchero e bianco d’uovo resa brillante da una leggera passata di marmellata di albicocche. La criniera è di zucchero filato d’oro, le piume di zucchero filato bianco, la corona d’alloro in pasta “biscuit” verde. Il successo è tale che la pièce viene ripresentata più volte nel corso della serata. Nell’euforia degli applausi, una signora stacca l’elmo di destra e lo depone, cantando, sulla testa di un generale».

Test Un giorno, Antonin Carême viene convocato con la massima urgenza da Maurice de Talleyrand-Périgord. “Per gli importantissimi ospiti che riceverò in questo castello”, dice a Carême, “non ci siete che Voi.” Carême affronta e supera il test dal quale dipendono la sua assunzione e l’adeguato contratto: 365 menu, uno per ogni giorno dell’anno senza mai ripetere una pietanza e usando esclusivamente ingredienti di stagione, erbe aromatiche fresche, verdure, salse leggere.

Cucine Nelle cucine di Talleyrand, che occupano l’intero seminterrato: sterminate pareti tappezzate di batterie di rame con le maniglie d’argento cesellato e incastonato di gemme, coltelli, forchettoni e mestoli di porcellana bianca con i manici di legno pregiato o di avorio, pestelli di marmo scolpito come un’opera d’arte, credenze colme di vasellame, cristalleria e argenteria per mettere a tavola fino a centocinquanta persone. Sterminate varietà di olio, di aceto, di sale, di pepe. Una stanza adibita alla conservazione del latte e del burro. Un’altra per i formaggi. Un’altra per le spezie e gli aromi. Tutti i tipi di pepe. Le essenze per intensificare i sapori e gli aromi di alcuni piatti salati: un concentrato di essenza di limone, arancia, cannella, cipolla; tartufo macerato per champignons, pomodori, selvaggina e pesce. Les quatre épices: zenzero macinato insieme a chiodi di garofano, noce moscata, pepe bianco. Una scorta dell’oramai indispensabile farina di patate estratta dal rizoma di alcune piante dell’India e dell’America per legare un brodo, un sugo, una salsa. Le garde-manger per conservare le derrate deperibili, dove si compiono anche i lavori preliminari sugli alimenti prima di portarli in cucina. La macelleria, la serra fornita di ogni qualità di frutta e verdura.

Dispense Da Talleyrand, «per evitare disturbi alla pancia degli ospiti, e per non essere costretto a gettare via niente, Carême riordina le dispense etichettando le vivande con le date entro le quali devono essere consumate.
Seleziona le primizie che raccoglie personalmente tutte le mattine nell’orto o nelle serre del castello. Obbliga i lavoranti a lavarsi le mani dopo aver riportato indietro gli avanzi. Manda in tavola le grosses pièces, enormi
piatti di portata carichi di manzo, vitello, montone, agnello, prosciutto, maiale, maialino da latte, selvaggina e pollame bolliti, arrostiti, brasati, accompagnati da legumi, radici, broccoli, cavolfiori e patate. Il suo gusto,
il suo infallibile senso delle proporzioni, la sua cultura e la sua fantasia trasformano ogni piatto in un capolavoro».

Reumatismi, parrucche e profumi Terrorizzato dai reumatismi, Talleyrand si veste con due paia di mutande e di calze, due maglie, due camicie, due paia di calzoni, quattro o cinque cuffie sotto la parrucca. La mattina, quando si alza davanti a tre cameriere, impiega mezz’ora per srotolare dalla testa una lunga, morbida e caldissima fascia di lana di cachemire. [...] L’ultimo atto della vestizione del principe di Benevento è la profumazione della sua parrucca. Un profumo intenso, persistente, pesante. Una volta, chiamato ad assistere, in qualità di Gran Ciambellano, al parto della regina Hortense, l’aveva fatta svenire».

Soldi Carême ormai è così famoso che i ricchi sono disposti a pagarlo molto di più della cantante Grassini e l’attore Talma, presenze preziose e immancabili ai festeggiamenti in onore dell’imperatore.

Prima opera Prima opera di Antonin Carême, Le Pâtissier Royal Parisien, dove propone un’estetica rivoluzionaria fondata su un principio architettonico della presentazione delle vivande. «Due volumi accompagnati da centoventi disegni esplicativi eseguiti con una precisione meticolosa e un prodigioso senso delle proporzioni. È la prima volta che appaiono in un libro di cucina. Prima di lui, salvo qualche eccezione, gli autori si limitavano ad accompagnare i testi con illustrazioni di piatti e zuppiere di porcellana, o argenteria preziosa».

Banchetto Il 5 febbraio 1816 Antonin Carême partecipa alla preparazione di un banchetto offerto dalle truppe reali alla “Guardia Nazionale” che li aveva appoggiati quando Napoleone, fuggito dall’Elba, era tornato trionfalmente
a Parigi. «Dodici lunghissime tavole per cento coperti sono state allineate lungo la Galleria vetrata del Louvre. Ogni tavola porta il nome di un eroe francese. Scalco e sovrintendente massimo della cucina è il celebre
Lasne. Carême, che aveva già lavorato con lui per i banchetti di Talleyrand, preparerà i piatti freddi. Un fornello lungo cinquanta piedi e largo sei occupa il centro di un salone con l’alto soffitto preziosamente affrescato. Lungo le pareti, dieci tavoli da lavoro. Carême lavora in una saletta attigua con il soffitto di legno intagliato. La confusione è tanta che non riesce a trovare la colla di pesce per fissare le sue creazioni. Non arriva al punto di suicidarsi come Vatel, è troppo freddo e presente a se stesso; ma quando vede passare le sue grosses pièces traballanti e molli come una gelatina grigiastra, vorrebbe essere morto».

Cappello da cuoco Careme, inventore del cappello da cuoco che si usa ancora oggi: «Conosceva già quello spagnolo, di lana bianca simile al padellino dei toreri; e quello tedesco, una sorta di minaccioso copricapo militare. L’idea gli è venuta vedendo in testa a un inserviente delle cucine di Carlton House una cuffia scozzese: una fascia rigida cucita lungo un tondo leggermente arricciato. Ha alzato quattro volte tanto la fascia e l’ha fissata a un tondo ancora più largo. L’effetto è quello di un soufflé che si gonfia e deborda».

Palazzo d’Inverno Ingaggiato come Capo cuciniere dello Zar, Carême, in Russia, resta senza parole alla vista del Palazzo d’Inverno. «Costruito lungo la Neva da Bartolomeo Rastrelli, italiano e architetto di corte, è uno splendore barocco, bianco, verde e dorato, con 1945 finestre, 1500 servitori, marmi bianchi e oreficerie scintillanti, cristalli e specchi che moltiplicano le luci e i colori, vertiginosi scaloni, preziose opere d’arte, sterminati tappeti. Il rovescio dell’abbagliante medaglia sono però le cucine, disorganizzate e sporche, mentre gli alloggi per la servitù sono miserabili stanzoni dove, su pagliericci umidi e piatti, dormono fino a trenta, quaranta persone. In compenso, le serre imperiali sono magnifiche: frutta e verdura mature per otto mesi dell’anno».

Libri L’opera monumentale di Antonin Carême intitolata Le maître d’hôtel français, dove la cucina rinascimentale è messa a confronto con quella moderna, e sono stati ordinati secondo le quattro stagioni tutti i menu preparati per principi, ambasciatori e imperatori a Parigi, San Pietroburgo, Londra, Vienna, pubblicata dall’editore Firmin Didot “stampatore del re”, rue
Jacob 24, nel 1822. L’autore avverte che ha già pubblicato con centoventicinque disegni anche Le Pâtissier Pittoresque al prezzo di dieci franchi, e che a venti franchi è in vendita Le Pâtissier Royal Parisien,
illustrato da settanta disegni. Inoltre, informa che “perseguirà” tutti coloro che stamperanno anche una parte del libro che non porti la sua firma.

Altre opere Altri lavori di Carême: disegna un bassorilievo per l’arco di trionfo degli Champs-Élysées, pubblica un album con quattro progetti di fontane e due fari per i porti di Bordeaux e di Calais. Scrive altri libri con
le sue ricette, le rivisitazioni delle ricette degli altri paesi, soprattutto dei piatti regionali italiani, con una particolare attenzione per le paste, quasi sempre maccheroni napoletani e timballi. Scrive brevi e curiose storie
sugli alimenti, le casseruole, i mestoli, i piatti, le spiegazioni scientifiche sulle reazioni chimiche. Sogna di aprire una scuola di cucina.

Carpa à la Chambord Dopo aver gustato la sua carpa à la Chambord, decorata con quaranta filetti di sogliole a lamelle di tartufi incollati sul dorso, il gastronomo Horace Raisson scrive sull’“Almanach des Gourmands”: «Questo raro e delizioso piatto non potrebbe arrivare in tavola senza essere accompagnato da un biglietto da cinquecento franchi. Dopo una settimana, se ne parla ancora».

Rossini 1 Gioachino Rossini, «goloso, ma di gusto eccellente. Si fa mandare
i tartufi e le olive da Ascoli, il panettone da Milano, i maccheroni da Napoli, gli stracchini e il gorgonzola dalla Lombardia, la mortadella, i tortellini e
il “cappello da prete” da Bologna, il prosciutto da Siviglia, i formaggi piccanti dall’Inghilterra, la crema di nocciole da Marsiglia».

Rossini 2 Quando Carême lavora dai Rothschild, Rossini parla di continuo, con lui, della felicità di mangiare: «Dopo il non far nulla, non conosco miglior occupazione che il mangiare. Lo stomaco vuoto rappresenta il fagotto, o il piccolo flauto, in cui brontola il malcontento o guaisce l’invidia. Al contrario, lo stomaco pieno è il triangolo del piacere, oppure i cembali della gioia…». Carême stravede per lui: «E’ l’unico che abbia capito
veramente la mia cucina».

Rossini 2 «Ogni volta che il compositore italiano è invitato dai Rothschild, gli prepara piatti speciali: la succulenta tacchinella arrosto, i tartufi: “Vi fanno bene, gli sussurra all’orecchio, rianimano il sangue imbolsito, ridonano l’ardore, il coraggio, giovano moltissimo agli elettori, ai deputati, agli ambasciatori, agli accademici”. Servendosi del corriere diplomatico, una volta gli ha mandato a Bologna un pasticcio di fagiano ai tartufi accompagnati dal biglietto: “A Rossini da Carême” e ricevendone, in cambio, una composizione musicale con la risposta: “Da Rossini a
Carême”».

Morte Il 12 gennaio 1833, la parte sinistra del suo corpo si paralizza. Quella sera stessa muore. Il giorno dopo, i giornali francesi onorano l’“inventore dell’arte culinaria moderna”. Dicono che sia stato ucciso da quarant’anni di fumo aspirato dai fornelli. I medici pensano, invece, che si tratti di tumore al fegato.

Insegnamenti Commento di Talleyrand quando lo avvertono che Antonin Carême è morto: «Ci ha insegnato a mangiare».