VARIE 25/10/2013, 25 ottobre 2013
IL PDL È DI NUOVO SULL’ORLO DELLA SPACCATURA
ROMA - Nessuno stop: Silvio Berlusconi non ha intenzione di frenare e avrebbe ribadito ad Alfano la volontà di andare avanti con Forza Italia e con l’Ufficio di presidenza del partito. Ma per ora nessuna sfiducia al governo Letta. La scissione, però, sembra di nuovo a un passo. Alfano, che ha visto l’ex premier poche ore prima del vertice per convincerlo a prendere tempo, ha deciso di non partecipare, lasciando Palazzo Grazioli con gli altri ministri del Pdl: "Il mio contributo all’unità del nostro movimento politico, che mai ostacolerò per ragioni attinenti i miei ruoli personali, è di non partecipare, come faranno altri, all’Ufficio di presidenza che deve proporre decisioni che il Consiglio nazionale dovrà assumere. Il tempo che ci separa dal Consiglio nazionale consentirà a Berlusconi di lavorare per ottenere l’unità". Al di là delle formule e del richiamo all’unità è evidente il clima di gradissima tensione tra le due anime del Pdl. Tanto è vero che anche Schifani decide di disertare l’appuntamento di oggi.
E proprio al Consiglio nazionale del Pdl (che potrebbe essere convocato l’8 dicembre, lo stesso giorno delle primarie del Pd) che è rinviata la resa dei conti finale tra lealisti e governativi: in quell’occasione, infatti, ci sarà una platea molto più ampia, di circa 800 persone, ed è lì che si vedrà realmente chi ha la maggioranza nel partito.
La giornata. Sono state piene di tensione le ore che hanno preceduto il vertice a Palazzo Grazioli, con il segretario del Pdl deciso a non sottostare alle condizioni dettate dall’ex premier per entrare nella nuova Forza Italia. Alfano ha tentato fino all’ultimo di convincere il Cavaliere a frenare sulla formazione di un partito "estremista", apertamente ostile al governo Letta. Per questo ha chiesto, e ottenuto, di parlare con Berlusconi prima del vertice e ha riunito a Palazzo Chigi i ministri pidiellini. Ma i suoi sforzi non hanno avuto successo, nonostante le sue richieste fossero sostenute dal gruppo delle colombe che, secondo quanto riferiscono fonti interne al partito, avrebbero elaborato un nuovo documento. Anche l’ala dura dei lealisti e dei falchi, però, sta cercando di impedire che vi sia una frenata sul ritorno a Forza Italia e, quindi, che non si proceda più con l’azzeramento di tutte le cariche. Per questo sarebbe partita una raccolta di firme a sostegno del passaggio immediato dal Pdl a Fi.
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I convocati all’ufficio di presidenza. Questi i convocati al vertice: Alfano, Bondi, Brunetta, Cappellacci, Carfagna, Chiodi, Fitto, Formigoni, Galan, Gelmini, Giovanardi, Iorio, Martinelli, Matteoli, Prestigiacomo, Rotondi, Sacconi, Scajola, Schifani, Tajani, Tondo, Verdini e Vito. Vicini alle posizioni di Alfano sarebbero solo Schifani, Sacconi, Giovanardi, mentre Roberto Formigoni ha comunicato che non parteciperà: "Non andrò all’Ufficio di presidenza perché non lo ritengo rappresentativo della storia anche attuale del partito. Sono contrario all’esclusione degli attuali ministri in carica e dei capigruppo della scorsa legislatura perché così si restringe il dibattito in un momento così delicato". Come Formigoni, anche il vicepresidente del partito, Maurizio Gasparri: "Ringrazio per l’invito, ma non avendo diritto di voto non voglio offrire il fianco a polemiche circa le presenze e la composizione dell’organo", ha detto, chiedendo di fermare "con decisione" l’attuale "impegno autodistruttivo".
CORRIERE.IT
È sempre più ampio, all’interno del Pdl, il solco tra l’ala governativa e i lealisti filo-Cavaliere. L’ufficio di presidenza del partito, convocato a sorpresa da Silvio Berlusconi per accelerare sul ritorno a Forza Italia e per il conseguente azzeramento delle attuali cariche interne, è iniziato senza la presenza di Angelino Alfano e dei componenti che fanno capo al blocco centrista. A nulla sono valsi i tentativi di mediazione, andati avanti fino a pochi minuti prima delle 17, quando il vertice, in bilico fino all’ultimo, ha preso regolarmente avvio. Il Cavaliere nel primo pomeriggio aveva incontrato separatamente i cinque ministri del Pdl, tutti contrari ad una forzatura che potrebbe avere ripercussioni anche sulla tenuta del governo, cercando di farli tornare nei ranghi. Ma il faccia a faccia, durato più di due ore, si è concluso con un nulla di fatto.
ALFANO E BERLUSCONI - «Il mio contributo all’unità del nostro movimento politico, che mai ostacolerò per ragioni attinenti i miei ruoli personali - ha commentato lo stesso Alfano -, è di non partecipare, come faranno altri, all’ufficio di presidenza che deve proporre decisioni che il Consiglio nazionale dovrà assumere. Il tempo che ci separa dal Consiglio nazionale consentirà a Berlusconi di lavorare per ottenere l’unità». E’ dunque a quella occasione che è rinviata la resa dei conti della galassia pidiellina. Subito dopo le dichiarazioni di Alfano sono state riportate parole attribuite allo stesso Berlusconi che avrebbe esordito al vertice sostenendo che la strada verso Forza Italia è ormai tracciata e che indietro non si torna. Il Cavaliere avrebbe però precisato di non avere intenzione di non volere creare difficoltà al governo Letta.
IL CONSIGLIO NAZIONALE - Tutto rimandato al consiglio nazionale, insomma, quando il redde rationem tra le due diverse anime vedrà coinvolti circa 800 delegati, molti di più dei 24 membri dell’ufficio di presidenza che affianca Berlusconi. Le due componenti avrebbero già iniziato una raccolta di firme sul territorio per contare le proprie truppe. Sulla carta i lealisti sono avvantaggiati e indiscrezioni raccolte dalle agenzie parlano di un Raffaele Fitto, nuovo leader del fronte più intransigente, intenzionato a collezionare i consensi di almeno i tre quarti della platea. La data dell’assise non è ancora stata definita ma da più parti si parla dell’8 dicembre, giorno in cui si svolgeranno anche le primarie del Pd: una mossa che consentirebbe al centrodestra di oscurare, almeno in parte, dal punto di vista mediatico la kermesse dei democratici. Quello dell’Immacolata diventerebbe, insomma, il giorno del redde rationem per i due principali partiti della maggioranza, con tutto quello che ne potrebbe conseguire per le sorti del governo.
«FORZA ITALIA? NO, GRAZIE» - Molti esponenti di primo piano del Pdl nel corso della giornata avevano preso posizione sull’accelerazione impressa da Berlusconi. E tra i filogovernativi si era tornato a parlare di possibile scissione. Lo ha fatto in maniera esplicita Carlo Giovanardi: «Io in Forza Italia non ci voglio stare», ha detto l’ex ministro precisando però che a compiere la rottura «non è chi resta nel Pdl, il partito dove tutti abbiamo scelto di stare», ma chi se ne va, ovvero chi si schiererà a favore del ritorno a FI. L’ex governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, è stato invece tra i primi a far sapere che non avrebbe preso parte al vertice a Palazzo Grazioli «perché non lo ritengo rappresentativo della storia anche attuale del partito. Sono contrario all’esclusione degli attuali ministri in carica e dei capigruppo della scorsa legislatura perché così si restringe il dibattito in un momento così delicato». Il nodo della composizione del «parlamentino» del Pdl non è da poco: al suo interno prevale l’ala lealista e solo Alfano tra i ministri ne fa parte. Maurizio Sacconi ha diramato una nota per chiedere formalmente il rinvio dell’ufficio di presidenza che a suo parere «non riflette nella sua composizione né la storia né l’attualità del nostro movimento politico, tanto nella dimensione politica quanto in quella istituzionale». Anche esponenti da sempre vicini a Berlusconi ma al di fuori dei due gruppi in contrasto, come Maurizio Gasparri («Fermiamo questo impegno autodistruttivo») e Renato Schifani («Lavorerò perché si giunga a scelte ampiamente condivise»), hanno deciso di non partecipare alla riunione auspicando un allentamento delle tensioni.
PEZZO DEL CORRIERE DI IERI
OMA - Dirà che non è una vendetta, quella che i governativi - infuriati - definiscono «un colpo di mano», «una coltellata» , ma soprattutto «l’ultima raffica di Salò». Dirà, come gli ha già detto due sere fa, che «non è una mossa contro di te Angelino, io ti voglio vice presidente del partito, non ho alcuna intenzione di affidarmi ai falchi, voglio gente fresca e nuova e tu sarai sempre con me, resterai mio erede». Ma la verità è che Silvio Berlusconi - che per oggi ha convocato un Ufficio di presidenza per votare la proposta di ritorno a Forza Italia con connesso azzeramento degli incarichi a partire da quello di Alfano come segretario per finire con quelli dei coordinatori - non ha dimenticato il «tradimento», così lo chiamano i falchi, della sua pattuglia di ministri. Non ha cancellato dai suoi occhi l’immagine di Alfano che si scambia il «cinque» con Enrico Letta appena ottenuta la fiducia alla Camera, sulla scia dell’evocata «fine del Ventennio».
«La vendetta si serve fredda...» sibilano i falchi plaudendo alla scelta, che sembrava per il momento congelata, di lanciare Forza Italia e, di fatto, defenestrare il segretario, il leader di quegli Innovatori che ancora quattro giorni fa al Senato si contavano firmando una lettera a difesa del governo che era un modo per dire che i numeri per la sopravvivenza dell’esecutivo erano dalla loro parte e Berlusconi non aveva più armi. L’ex premier ha voluto dimostrare - a loro ma soprattutto a tutti i suoi avversari o possibili interlocutori, dai magistrati al Pd per arrivare al capo dello Stato - che le armi ce le ha ancora, o almeno ha la più importante: il partito. Quella Forza Italia della quale ritorna presidente e dominus assoluto, marginalizzando i governativi che adesso non escludono la scissione.
La decisione era nell’aria, ma veniva rimandata di giorno in giorno. Ancora mercoledì sera, raccontano, Berlusconi appariva incerto: la paura di trovarsi un partito spaccato nel momento più difficile della sua vita politica lo portava a temporeggiare, sperando che i lealisti alla fine avrebbero accettato di buon grado uno slittamento almeno fino al voto sulla decadenza, e che gli innovatori gli sarebbero stati vicini indurendo la linea su governo e giustizia.
Ma i lealisti erano ormai pronti a sferrare l’attacco. Glielo ha detto a brutto muso Raffaele Fitto: se cedi anche stavolta, la guerra la facciamo noi (e l’avvisaglia è stata l’imboscata sul voto per le riforme al Senato, mercoledì) perché «se altri mostrano la pistola per minacciarti, noi lo facciamo per salvarti». Quel Fitto che dopo il voto di fiducia ha riorganizzato le truppe sbandanti di falchi e non solo offrendo all’ex premier una sponda perché il Pdl non passasse armi e bagagli nelle mani di Alfano.
Nell’ombra Verdini ha lavorato (con l’aiuto degli avvocati) anche alla formula tecnica per il passaggio: nell’Ufficio di presidenza di oggi saranno solo 24 gli aventi diritto al voto, quelli originari del primo Pdl, che comprendono molti ministri del governo del 2008 (Carfagna, Fitto, Galan, Gelmini, Matteoli, Prestigiacomo, Bondi, Rotondi, Vito, Scajola, Sacconi, Brunetta e lo stesso Alfano) quasi tutti oggi lealisti. Non ci saranno invece - schiaffo umiliante - gli attuali ministri e nemmeno Cicchitto (non più capogruppo), mentre dell’area governativa saranno presenti Formigoni e Giovanardi, con Schifani più defilato ma sempre più vicino ad Alfano.
Al voto, non dovrebbero quindi esserci sorprese, e nemmeno dal punto di vista legale si prevedono guerre. Perché Berlusconi ormai ha deciso, dopo l’ultimo sfogo: «Mi hanno lasciato tutti solo mentre le procure mi sparano contro, ma io reagirò, farò vedere che chi comanda sono ancora io. E che sono pronto a tutto». E perché i governativi non hanno ancora deciso come reagire. Alfano, infuriato e sconvolto, era al Ppe, a Bruxelles, e non si aspettava una mossa così repentina, che lo ha ferito. Ora è al bivio: rompere, come gli consigliano i più duri dei suoi - da Cicchitto alla Lorenzin a Quagliariello, per i quali la decisione «è già presa, bisogna solo stabilire le modalità, non è un parricidio ma un infanticidio» - e costruire un partito centrista con quella parte del Pdl che si staccherà e Mauro e Casini. Oppure inghiottire l’amarissimo boccone e restare, aspettando che la bufera passi perché, come gli suggeriscono altri, «il dopo Berlusconi è già iniziato, e tu puoi giocartelo contro i falchi». È la decisione più difficile per Alfano, in ballo ci sono storie politiche, e la sorte del governo, sempre più in bilico. Ma dalla drammatica cena notturna dei governativi a emergere era una sola certezza: «Comunque finisca è una sconfitta per tutti. Per Berlusconi e per noi».
25 ottobre 2013