Marcella Ciarnelli, l’Unità 25/10/2013, 25 ottobre 2013
LEGGE ELETTORALE, IL PRESSING DEL COLLE «RIFORMA PRIMA DELLA CONSULTA»
È passato dalle parole ai fatti il presidente della Repubblica, ed ha convocato al Quirinale i soggetti, parlamentari e di governo, che si stanno misurando con l’annosa questione delle riforme. Un’iniziativa, al di là delle polemiche delle opposizioni, CinqueStelle e Lega in testa a contestare a Napolitano di non essere super partes, che segnala che, questa volta, il Capo dello Stato non intende concedere alcun alibi nè a chi cerca di far saltare le riforme per far saltare il governo, nè a chi cerca di far saltare il governo per far saltare le riforme, contando sulla convenienza di andare subito alle elezioni con il Porcellum. Ma dal Quirinale si è fatto sapere che il presidente «si riserva di ascoltare i vari gruppi delle opposizioni nelle modalità più opportune». Come sempre, quando si tratta di riforme, è auspicato da Napolitano il massimo concorso di tutte le forze politiche.
Sono saliti al Colle, e sono stati intrattenuti per più di un’ora dal presidente i ministri Franceschini e Quagliariello insieme ai capigruppo al Senato del Pd, Zanda, del Pdl, Schifani e Susta di Sc e alla presidente della prima commissione, Anna Finocchiaro. Un lungo colloquio con gli esponenti del governo e della maggioranza per fare il punto sulle riforme, per intendere quanto sia possibile che le Camere si pronuncino sulle modifiche della legge elettorale prima dell’intervento della Corte Costituzionale che potrebbe togliere alcune mostruosità della legge tanto contestata e mai modificata ma senza poter proporre alternative poiché ad esse è preposto il Parlamento.
Qualcosa si muove ma fino a dove si riuscirà ad arrivare su un argomento che, è noto, sta molto a cuore al Capo dello Stato, non è possibile prevedere. Mercoledì a Firenze, dinanzi alla più vasta platea – quella dei sindaci – rappresentativa della volontà popolare, Napolitano aveva ripreso punto per punto l’agenda delle riforme rimaste nel limbo della lunga – dal 1993 – transizione istituzionale del nostro Paese. Allora, ha ricordato, non ci si arrese alle turbolenze di una stagione – quella di Mani pulite – pur destabilizzante per il Parlamento e il sistema politico. Ma non si riuscì ad andare oltre la revisione dei meccanismi elettorali, più o meno efficaci a seconda dell’ancoraggio al sistema politico: più quello per i Comuni, perché coerente con il principio maggioritario che vincola sindaci e coalizioni amministrative, meno quello per la Camera e il Senato, anzitutto per il mix di proporzionale e maggioritario del Mattarellum, risultato condizionato dalla vaghezza di un’area politica centrale. E ancor più, successivamente, l’incredibile Porcellum imposto dal centrodestra a vantaggio del solo Berlusconi.
UNA STRADA DIFFICILE
Insomma, si è creata una sovrastruttura, anziché costruire le riforme necessarie a dare organicità al sistema politico-istituzionale. È quindi la via maestra che il Capo dello Stato indica, all’indomani del preoccupante voto al Senato per l’istituzione del Comitato per le riforme – approvato a dispetto, verrebbe da dire, della “larga maggioranza” – che dovrebbe riprendere le fila del lavoro istruttorio compiuto da quella commissione di “saggi” che proprio Napolitano aveva istituito di fronte allo stallo con cui si era aperta questa legislatura e poi da quella, della stessa natura, insediata da Enrico Letta. Troppe nuvole nere si addensano all’orizzonte. Il Colle fa pressing, in Senato nella Commissione Affari Costituzionali è stato presentato uno schema di lavoro per la riforma elettorale che, come ha spiegato la presidente Finocchiaro, è il frutto del confronto tra i partiti della maggioranza, sostanzialmente proporzionale. All’opposto di quanto chiede una parte del Pd, Renzi in testa e con il Pdl che non è disposto a cambiare posizione sul doppio turno. Un confronto aperto ma che già appare difficile.
Nel corso dell’incontro al Quirinale Napolitano ha incoraggiato i parlamentari e il governo ad andare avanti. Avendo presenti anche le conclusioni contenute nei documenti dei “saggi” e indicando la necessità di rispondere, oltre che sulla legge elettorale, al «bisogno drammatico di liberarci da contraddizioni antiche e recenti» intervenendo sulle «contraddizioni e le inefficienze» che sono tutte nel discorso di Firenze ai sindaci, nel richiamo alla possibilità di riformare senza drammi alcuni articoli della seconda parte della Costituzione anche sul Titolo V, «un caso speciale di riforma della riforma, che a distanza di dodici anni si impone». Non è un ritorno al passato ma uno sguardo aperto verso il futuro «nell’interesse della collettività».
Proprio per avere la possibilità di portare a compimento le riforme necessarie, o almeno quelle indispensabili, le forze politiche hanno chiesto in aprile, nella situazione che si era venuta a creare nel dopo voto, a Napolitano di rimanere al suo posto, di garantire un passaggio istituzionale ardito, perché con lo stesso sistema elettorale si sarebbe riproposto lo stesso quadro di frantumazione della rappresentanza. Il presidente si è sobbarcato l’onere alla precisa condizione di fermare la deriva, di fare insieme quelle riforme istituzionali ed elettorali che sole possono riportate il paese sulla strada della «democrazia dell’alternanza». Dopo sei mesi la situazione è sotto gli occhi di tutti. E se Napolitano, un combattente sulla frontiera politica e istituzionale da tanti anni, arriva a dire parole come quelle dell’altro giorno c’è da credere che sarà conseguente fino in fondo.