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 2013  ottobre 25 Venerdì calendario

TOKYO, A LEZIONE DI MORTE. MA PER RISCOPRIRE LA VITA


TOKYO, Qui puoi andare a lezione di morte (per capire la vita). Il professore è Tetsuya Urakami, un prete buddhista di 39 anni. L’aula è al primo piano del tempio Shotokuji, nel quartiere di Shinagawa. Da gennaio, le sue lezioni settimanali di novanta minuti, intitolate Shi no Taiken Ryoko (un viaggio nell’esperienza della morte), registrano un inatteso tutto esaurito. La grande maggioranza dei trenta posti disponibili è generalmente occupata da giovani donne non ancora trentenni, in apparente buona salute. Una sparuta minoranza, gli anziani.
Immaginate di sedere tra di loro. Se pensate che in fondo si tratta solo di un gioco di simulazione che dura 90 minuti, ci pensa la voce profonda e solenne del prete a convincervi che vi sbagliate. «State per vivere un’esperienza che cambierà il vostro approccio all’unico vero, insolubile problema di ciascun essere umano: la propria morte. Se sentite che questo workshop sviluppa in voi una tensione che non riuscite a dominare» avverte il prete Urakami «non esitate ad alzare una mano e i miei assistenti vi scorteranno immediatamente fuori dalla sala». Indossa il tradizionale vestito nero dei preti buddhisti e la sua voce baritonale galleggia su una musica di fondo che sembra provenire dal di là del tempo e dello spazio. «O, semplicemente, smettete di partecipare e rimanete ad osservare. In ogni caso, non forzatevi a rimanere se sentite troppa angoscia crescere in voi», ribadisce per essere sicuro di essere stato ben compreso. Un inchino, e inizia a distribuire ad ogni partecipante una matita e 20 foglietti di carta della grandezza di un biglietto da visita: bianchi azzurri rosa gialli, cinque per ogni colore.
Il prete ora vi chiede di scrivere sui foglietti bianchi (una per ogni foglietto) le cinque cose materiali che riteniamo più importanti per noi. Senza dare il tempo di arrovellarvi se scrivere sul quinto foglietto casa o la Bmw appena acquistata, ecco che la voce del prete vi invita a vergare sui foglietti azzurri le cinque cose che più amate nella natura. Facile: montagne, mare, fiumi, campagna, cielo stellato. Poi è la volta dei foglietti rosa per le cinque attività fisiche che più amate. Facilissimo: sesso (se non mentite a voi stessi), sport, mangiare, lavoro, suonare uno strumento. E infine dovete indicare sui rimanenti 5 foglietti, quelli gialli – e qui cominciano i tormenti – i nomi delle cinque persone che più amate. La selezione che voi stessi avete appena fatta vi sorprende. Persone che avete considerate sempre a voi carissime (amici di una vita, nonni, parenti stretti) non le avete inserite tra le 5 persone a voi più care. Come mai, vi chiedete. Ma non sono ammessi ripensamenti. Sentite i vostri vicini di banco sbuffare, agitarsi sulla loro sedia. Il ritmo del prete è volutamente sostenuto. Non permette di riflettere troppo su scelte di massima importanza. Riuscite a malapena a riempire i 20 foglietti in una quindicina di minuti. Nell’insieme non siete soddisfatti delle vostre selezioni. Il severo e carismatico officiante ora vi prega di tenere aperti i foglietti davanti a voi, come le carte di un solitario, di chiudere gli occhi respirando profondamente dallo stomaco con la tecnica yoga e ascoltare le sue parole.
«La storia di cui vi parlerò è la vostra storia». Inizia il suo racconto, fissando una giovane donna in prima fila. Ma ad ogni frase dirige i suoi occhi verso un’altra persona tra il pubblico. «O quella di qualcuno che è esattamente come voi. Hai una vita piena e soddisfacente. Una sera d’estate torni a casa soddisfatta di te stessa. Il quartiere dove vivi ti piace, la tua casa è elegante, confortevole, qualificante. Tra poco rientreranno anche tuo marito e i vostri due figli. Niente nuvole all’orizzonte. Cominci a preparare la cena. Improvvisamente percepisci una pesantezza allo stomaco. Stanchezza? Troppo caldo? Cerchi di non pensarci per qualche giorno, ma quella sensazione fastidiosa non se ne va. Anzi aumenta. E cominci ad avere difficoltà ad addormentarti. Un giorno decidi di parlarne a tuo marito. Viene subito preso un appuntamento con uno specialista all’ospedale. Si sospetta un tumore. Bisogna fare accertamenti. Devi ricoverarti. Senti che stai iniziando a perdere qualcosa. Adesso aprite gli occhi, scegliete la carta con la cosa che pensate di poter perdere senza troppo soffrire, accartocciatela e gettatela sul pavimento».
Bisogna decidere presto in quale categoria prendere la prima carta. Si scarta subito la possibilità di toccare i foglietti gialli con i nomi delle persone amate. Rimangono le cose materiali, le attività, la natura. Prendete il foglietto bianco dove avete scritto «automobile», l’appallottolate, e via ai vostri piedi. Sbirciate il vostro anziano vicino di destra: comincia «buttando via» il Patek Philippe vintage probabilmente strappato a caro prezzo ad un’asta a Ginevra, la vostra vicina di sinistra sospira mentre accartoccia il biglietto bianco con su scritto «antico kimono».
Ma l’officiante riprende il suo racconto e la scelta diventa via via più difficile, sino a farsi lacerante. Alla donna con cui avete accettato di identificarvi, dopo una serie di consultazioni e controlli, viene confermata la diagnosi di un grave tumore di natura maligna. Viene operata, sottoposta a una pesante chemioterapia. Ad ogni visita di controllo, ad ogni sviluppo della sua malattia, ad ogni crisi d’angoscia, ad ogni richiesta di suicidio assistito, il prete interrompe brevemente il racconto per chiedervi di gettare in terra altre carte, anche due o tre o più carte insieme, accompagnando in maniera adeguata con le vostre rinunce simboliche quelle reali della donna. Via la casa, via la montagna, via il mare, il cibo... tutto il vostro mondo finisce appallottolato ai vostri piedi... Il pavimento dell’aula adesso è quasi interamente coperto di biglietti colorati, ma mancano quelli gialli che sono invece ancora bene allineati davanti a ciascun partecipante, come missili sulle loro rampe, pronti ad essere lanciati con la loro carica distruttiva.
Il prete, implacabile, continua il rosario del dolore, della disgregazione fisica e morale. La donna deve sottoporsi a un secondo disperato intervento chirurgico. Dovete gettare altri foglietti. Ormai vi sono rimasti solo quelli gialli che sembrano sfidarvi, beffardi. Vi domandate se la lezione finirà prima che li abbiate terminati. Ma la paziente si ostina a combattere per la vita. Non vuole arrendersi. Non ha quasi più nulla. Muore, mormorando «non voglio morire». Anche voi dovete scartare altri foglietti che non vorreste mai scartare. Ora ognuno è una persona a voi cara che se ne va. Prima la nonna, poi il fratello... rimangono tre foglietti gialli: il marito, il figlio, la figlia... No, no, noo, gridate, alzate la mano. Basta. Siete in un bagno di sudore. Vi arrendete. Uscite dalla lezione come da un incubo. Le mani contratte e i visi sudati dei vostri compagni di «viaggio» vi testimoniano che per tutti è stata un’esperienza profondamente traumatica. Scambiate un rispettoso, forse timoroso, inchino di congedo con il prete e rientrate nel vostro mondo, scendendo lentamente le ampie scale del tempio.
Sono stati 90 minuti di vertiginosa discesa libera negli abissi della vostra psiche. Poi il paracadute si è aperto e avete riacquistato il vero valore di tutto ciò che possedete e degli affetti che arricchiscono la vostra vita. Avete capito che bene e male, vita e morte, sono inscindibili. Avete compreso il principio base del pensiero buddhista: la sofferenza nasce dal possesso. Tornate a casa, alla vostra vita quotidiana. Nulla è cambiato se non il vostro modo di vederla: non permetterete mai più che vi appaia piattamente ripetitiva.