Alessandra Bianchi, l’Espresso 25/10/2013, 25 ottobre 2013
ESSERE LIBERI È COMPLICATO
[Elisabeth Roudinesco]
In Francia portare il velo integrale nei luoghi pubblici è proibito dall’11 aprile 2011. Ma la discussione non si è chiusa con l’approvazione di una legge che continua a suscitare acceso dibattito per via delle molte sfumature interpretative e di questioni che attengono alla libertà individuale impossibili da racchiudere in una norma. Lo conferma, in questa intervista all’“Espresso”, Elisabeth Roudinesco, storica e psicoanalista tra le più reputate in Francia, dove è uscito anche un film a lei dedicato.
Elisabeth Roudinesco, perché il tema del velo è così controverso? Come viene interpretata la nuova legge in Francia?
«Anzitutto bisogna distinguere quando si parla di velo. Quello che porta l’italiana Fatima è il burka o il nikab: in ogni caso si tratta di velo integrale. Il foulard sui capelli è un’altra cosa e si può portare senza problemi in Francia. Ma non a scuola, o meglio finché si è al liceo; all’università sì. Il foulard di per sé non è proibito ma lo sono tutti i segni religiosi: la kippah, le grandi croci e dunque i foulard islamici. Alla fine abbiamo finito per “domandare” agli adolescenti di levarsi i berretti che non sono certo un simbolo religioso. Così abbiamo regolamentato un po’ anche il modo di vestirsi. Diciamo che si cerca di evitare che i ragazzi vadano a scuola “travestiti”. Io già nel 1989 ero favorevole alla proibizione del foulard a scuola. Solo a scuola».
E il velo integrale?
«È vietato non soltanto negli spazi privati ma anche in quelli pubblici, come la strada. Il problema è che questa è una legge criticabile, perché si crea il pericolo che le proibizioni si estendano anche ad altre cose. Io sono favorevole a vietare il velo. In Italia non avete molti casi come quello di Fatima, ma noi francesi sì, a un certo punto ne avevamo anche troppi. In certi quartieri c’erano tantissime donne che uscivano completamente velate, nascoste. Una, due, passi, ma poi siamo stati obbligati a vietarlo. E non perché limita la libertà della donna ma perché non si deve uscire coperti in strada, ci sono anche motivi di sicurezza. Una madre che va a prendere il figlio a scuola deve potersi riconoscere, è giusto. La legge era necessaria. Ma quello che colpisce di più noi occidentali, è che il velo integrale è il simbolo della limitazione della libertà individuale. Nei Paesi occidentali democratici abbiamo la libertà religiosa, totale libertà di culto, dunque se un certo modo di vestirsi fa parte della religione in cui si crede, è difficile limitarne l’uso: sarebbe un ostacolo alla libertà di culto. Ma si possono proibire segni religiosi, specie per le donne e specie per quello che riguarda il velo integrale, perché si può considerarla come una restrizione alla loro libertà. Facciamo un’altra riflessione: la kippah per gli uomini ebrei è una limitazione della libertà? No, non possiamo sostenere una cosa del genere. Ma pensiamo a un bambino che porta la kippah: quella può essere considerata una restrizione alla sua libertà, perché lui è un minore e non si ha il diritto di imporgli una religione. In Inghilterra tutto è tollerato, dal turbante sikh al velo integrale, perché la legge prevede libertà assoluta di qualunque religione. In Francia si considera invece che debba prevalere la laicità, però poi ci si trova davanti all’ostacolo del diritto alla libertà di culto, compresa quindi quella dei vestiti, che è considerato un diritto privato. Insomma c’è una vera linea di demarcazione tra il privato e il pubblico. Se si lavora in luoghi pubblici, da noi si deve rispettarne la laicità, i funzionari non possono andare a lavorare con abiti o segni religiosi. Nei luoghi privati invece dipende dal padrone, che può proibirlo: ma è complicato, perché ci si può sempre rivolgere alla giustizia sostenendo che si attenta alla propria libertà religiosa.
Il velo è dunque una negazione della laicità?
«Sì. Ma va anche detto che in Francia abbiamo 6 milioni di musulmani e ci sono molte francesi che si sono convertite, che affermano che per loro è questa la libertà. E se noi ribattiamo che in realtà è un modo di limitare la loro libertà individale perché le “rinchiude”, rispondono che è una loro scelta. Allora siamo obbligati a considerare la libertà nell’ambito della laicità. Per esempio: non abbiamo il diritto di passeggiare nudi. Ci sono degli spazi riservati ai nudisti. Possono esserci delle persone che considerano una religione il fatto di essere nudi, però è vietato. Non si ha il diritto di passeggiare mascherati, a parte Carnevale. Quindi la libertà riconosciuta dalle religioni integraliste è una libertà che urta con altre libertà. Se queste donne attentano alla propria libertà con una sottomissione volontaria, non sono libere. Ma loro sostengono che lo sono più di noi perché hanno scelto questo destino».
Insomma, l’idea di libertà è complicata.
«Attenzione però, anche la sottomissione volontaria ha dei limiti. Pensiamo ai club di scambisti: adulti consezienti possono vivere un rapporto violento, ma non c’è il diritto di frustare chi non vuole. Ancora: una persona si brucia il corpo con una sigaretta. Si pone il problema del limite: ha diritto di farlo? Sì, ma a un certo punto va considerato patologico, perché reca danno al corpo».
E quando il velo è un’imposizione?
«In quel caso tutto è più chiaro. Quando una donna è costretta dal marito a portare un velo integrale che non vuole, da noi si denuncia. La legge vieta costrizioni su un adulto. Ma è la donna che deve far denuncia. In generale, è complicato trovare il giusto equilibrio per accontentare tutti. Il problema è questo. Come imporre alla gente che vive in Francia i nostri criteri di libertà? Lottiamo in tutto il mondo per la libertà delle donne e contro le costrizioni, ma è sicuramente più facile farlo quando è la donna stessa a ribellarsi».
E se invece non lo desidera, che si fa?
«È come il caso di Fatima: è lei che lo ha scelto liberamente. Credo che in tutti i paesi che cercano di proteggere la libertà individuale si riuscirà a trovare equilibrio tra il diritto individuale di fare quello che si vuole e l’impedire di fare ciò che può disturbare la collettività».
Quali sono le sue conclusioni?
«Bisogna lottare contro l’oscurantismo religioso con tutti i mezzi possibili. Le donne coperte completamente dal velo mi turbano, io lo considero un modo di “rinchiudersi”. Sono favorevole alla proibizione del velo integrale, ma con un’applicazione della legge che non sia mai brutale. Intervenire per proteggere i soggetti interessati contro la loro volontà non è facile. Bisogna battersi perché questa lotta nasca da se stessi».