Alessandra Viola, l’Espresso 25/10/2013, 25 ottobre 2013
C’È UN CAMPO SUL GRATTACIELO
Immaginate un grattacielo abitato da piante. Lattughe, cetrioli, pomodori, fragole e zucche come unici inquilini. Il silenzio rotto soltanto dal ronzio del sistema di condizionamento interno e dallo scorrere dell’acqua, che ricorda una gigantesca fontana zen. Migliaia di piante che galleggiano placidamente sotto la potente luce dei Led, mentre gli impianti automatizzati controllano la quantità di Co2 nell’aria, il livello di nutrienti nell’acqua, la temperatura interna del grattacielo. Alcuni contadini-operai in tute bianche piantano e raccolgono verdura, o controllano i monitor del sistema operativo.
Fantascienza? Macché. In alcune parti del mondo è già realtà. C’è il grattacielo svedese da 12 piani, in cui le piante vengono progressivamente spostate su nastri dai piani alti a quelli più bassi per approfittare della luce solare nelle prime fasi della crescita e poi essere pronte per la vendita e la distribuzione. C’è l’ex impianto di inscatolamento della carne di Chicago dove i vegetali vengono coltivati su zattere galleggianti e si nutrono degli scarti prodotti da un vicino allevamento di pesci sotto la luce di lampade disegnate appositamente per emettere le lunghezze d’onda per loro più "ghiotta". C’è la tensostruttura di Vancouver costruita sul tetto di un edificio, in cui le verdure vivono su carrelli rotanti e vengono spostate automaticamente da un computer per ricevere la giusta dose di luce e nutrienti. Ci sono gli edifici in cui le piante crescono sospese in aria senza bisogno di terra né acqua, perché le loro radici vengono irrorate con spray nutrienti. Èd è in arrivo anche una vertical farm (dimostrativa) tutta italiana, che l’Enea costruirà nei padiglioni dell’Expo 2015 a Milano.
Partiamo da un dato: gli attuali 7,2 miliardi di abitanti del pianeta diventeranno 8,1 entro il 2025 e 9,6 miliardi entro il 2050 (fonte: Onu). Le rese agricole, invece, nei prossimi anni cresceranno più lentamente che in precedenza. Come ci sfameremo allora da qui a trent’anni? La tecnologia potrebbe venirci in aiuto: guardare in alto, verso i grattacieli che ormai torreggiano su ogni città. «Ognuno potrebbe potenzialmente ospitare una vertical farm, cioè un ambiente controllato, disposto su più piani, in cui coltivare vegetali», spiega Dickson Despommier, ideologo della coltivazione indoor, autore del libro "Vertical farm" e docente alla Columbia University; «all’interno cresce tutto meglio: ortaggi, ma anche tè, caffè, viti, persino alberi da frutta. Un ambiente chiuso consente di evitare la maggior parte delle malattie delle piante: non c’è bisogno di antiparassitari, erbicidi, pesticidi, fertilizzanti. Così è tutto biologico. Le piante non mangiano terra, crescono benissimo in acqua e le tecniche idroponiche consentono di risparmiare fino al 70 per cento di quella necessaria per l’irrigazione: un enorme vantaggio, dato che anche l’acqua è una risorsa limitata».
L’idea delle vertical farm nasce per risolvere un paradosso la cui portata si è amplificata nel tempo: le città sono luoghi in cui si concentra una grande domanda di beni, ma si producono solo servizi. Inoltre, una percentuale sempre più elevata della popolazione mondiale si sta urbanizzando, allargandone le periferie e allontanando ulteriormente la produzione agricola dal loro centro. «Coltivando all’interno non avremo più bisogno di tanto spazio esterno», continua Despommier: «Questo inoltre ci metterà al riparo dalle disastrose conseguenze dei cambiamenti climatici. Il Sud-est asiatico, l’India e la Cina negli ultimi 25 anni hanno già iniziato a sperimentare drammatici mutamenti nel regime dei monsoni, che hanno causato allagamenti, erosione del suolo, siccità. Le piante selvatiche col tempo si adatteranno, spostandosi altrove. Ma quelle coltivate non ce la faranno: le terre arabili sono proprio lì dove si trovano, non possono muoversi. Uno degli elementi chiave dell’idea è la sua versatilità: trattandosi di un sistema chiuso, quando la tecnologia sarà perfezionata le vertical farm potranno essere costruite ovunque, dai climi artici a quelli semi-desertici. Per ora è solo una sfida tecnologica, ma potrebbe essere di importanza vitale, se a un certo punto si renderà necessario costruirle in serie».
La gara per mettere a punto la tecnologia più efficiente è già iniziata. Per primo è partito il Giappone, nel 2006. Poi è stata la volta della Corea del Sud: poco lontano da Seul, nella provincia di Gyeonggi, un caseggiato di tre piani ospita dal 2010 una fattoria verticale in cui i Led sono accesi tutto il giorno, e i vegetali crescono due volte più in fretta che a terra. Quindi a catena sono arrivate molte altre nazioni: Svezia, Stati Uniti, Canada, Olanda, Inghilterra. E adesso anche l’Italia, dove l’Enea, nell’attesa di mettere mano a Skyland (mega progetto per la costruzione di un edificio di 30 piani energeticamente autosufficiente e a impatto zero, in grado di ospitare 30 ettari di colture idroponiche), ha appena firmato un protocollo d’intesa che la porterà a cimentarsi con un prototipo di vertical farm da costruire all’interno del Future Food District dell’Expo 2015. «Fra un po’ non ci saranno più terre arabili né fertilizzanti, perché le miniere di fosforo sono in esaurimento», dice Gabriella Funaro, progettista della vertical farm per l’Enea e coordinatrice del progetto all’Expo: «Le vertical farm saranno indispensabili per garantire continuità nella produzione di cibo e inoltre i sistemi chiusi, malgrado l’uso di luce artificiale e l’assenza di terra, assicurano una elevata resa organolettica dei vegetali, che in quanto a sapore e qualità nutritive non saranno inferiori a quelli coltivati in modo tradizionale».
Sul modo migliore di coltivare nelle vertical farm, comunque, il dibattito è aperto. C’è chi coltiva in acqua e chi si serve di un substrato terroso o pietroso, chi sceglie la luce solare (una minoranza) e chi sperimenta le varie frequenze luminose per trovare quella preferita da ogni vegetale. «Se coltivi le verdure nel liquido, non ottieni gli stessi risultati del suolo: le verdure crescono alla stessa velocità ma non hanno lo stesso sapore», dice Hans Hassle, amministratore delegato della Plantagon International che sta costruendo una nuova struttura a Linköping, in Svezia. «Questo dipende dal fatto che le radici non ricevono abbastanza ossigeno. Se usi anche la pomice, il gusto invece diventa migliore, persino migliore di quello delle piante coltivate su terra».
A Milano, negli spazi disegnati dall’architetto Carlo Ratti, verranno intanto coltivati pomodori nani, lattughe e verdure a foglia, erbe aromatiche. E il tutto potrebbe essere alimentato energeticamente dal metano prodotto da un "digestore", che raccoglie il gas prodotto durante il compostaggio dei rifiuti organici. Il tutto per dimostrare che si può fare e avanzare nella ricerca, ovviamente, ma anche per familiarizzare con l’idea che a un certo punto non potremo più farne a meno. «Ovviamente oggi è molto più costoso costruire una vertical farm piuttosto che una serra tradizionale», continua Hassle: «Poi però le rese sono più alte: noi contiamo di rientrare degli investimenti in cinque anni. E non dimentichiamo che quando si compra una verdura solo il 40 per cento del prezzo è legato al costo della sua coltivazione, mentre il rimanente 60 per cento è dovuto al trasporto e alla vendita. Nelle vertical farm, anche se investiamo di più, abbiamo costi minori». In una vertical farm inoltre si può riciclare l’acqua usata per l’irrigazione (che è a ciclo chiuso), non ci sono macchine e persone da spostare (si spostano i vegetali) e si può vendere o consumare direttamente sul posto. La fattoria triangolare di Linköping, che con i suoi 12 piani sarà una delle più alte del mondo, non solo venderà i suoi prodotti al mercato, ma affitterà anche uffici in ogni piano e ospiterà un centro di ricerca. Nelle vertical farm poi si creeranno posti di lavoro completamente nuovi: «Se chiedessi a mio figlio se vuole diventare un agricoltore, probabilmente oggi risponderebbe di no», sorride Hassle: «Ma se gli chiedessi se vuole lavorare in un settore così moderno, altamente meccanizzato e tecnologico, quasi certamente direbbe invece di sì».