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 2013  ottobre 25 Venerdì calendario

MACCHÉ COMPRAVENDITA DI SENATORI PRODI FU ABBATTUTO DA SINISTRA E PM


Neppure due anni, meno: 1 anno, 11 mesi e qualche giorno di vita del governo più debole e pericolante, con la maggioranza più improbabile vista da decenni (dalla sinistra comunista a Mastella e Di Pietro, dai Radicali a Lamberto Dini), e conseguente folla mai vista di ministri e sottosegretari (102, record della Repubblica italiana) per accontentare tutti i pezzi della coalizione infinita e provare a sopravvivere. Tenuto in piedi, da ultimo, dai senatori eletti in Sudamerica e da quelli a vita, portati in barella a votare la fiducia, - altri, come Pininfarina, accusati per le troppe assenze, alcune decisive per far andare sotto il governo- prima della conclusione prematura e inevitabile. Se compravendita c’è stata,come testimonia l’ex senatore De Gregorio e come sostengono i magistrati di Napoli (Berlusconi rinviato a giudizio), l’acquisto è stato inutile: il governo Prodi II non poteva durare più a lungo.
A far esplodere un esecutivo già a pezzi per le lotte interne era stato il caso Mastella, allora ministro della Giustizia, dimissionario dopo che la Procura di Santa Maria Capua Vetere aveva indagato lui e arrestato la moglie, allora presidente del Consiglio regionale campano, costretta al confino ( per otto mesi) da un divieto di dimora in Campania e province limitrofe (anche basso Lazio). «Ringrazio Prodi, ma in questo momento, davanti a questa ostinata caccia all’uomo da parte di frange oltranziste della magistratura, è più importante stare accanto a mia moglie», disse Mastella il 16 gennaio 2008, nel discorso con cui si dimetteva da ministro. Mastella era anche il leader dell’Udeur, componente della fragile maggioranza, appesa ad un filo in Senato.
E sarà proprio dall’Udeur del ministro dimissionario che, una settimana dopo le dimissioni, mancheranno i numeri per l’ennesima fiducia al governo,insieme ai voti di Dini e del senatore Fisichella, ex An passato alla Margherita ma poi finito in dissenso con l’Ulivo-Pd.
Un finale previsto, ma rocambolesco, con spumante e fette di mortadelle sventolate dai banchi del centrodestra, dopo un’incredibile sceneggiata partita dai banchi dell’Udeur. Il senatore Cusumano, in dissenso dal partito mastelliano deciso sulla sfiducia, prese la parola per dire che «in solitudine, con la mia libertà, con la mia coerenza, senza prigionie politiche, ma con la esaltante prigionia delle mie idee» avrebbe votato sì alla fiducia, scatenando un putiferio indimenticabile in Aula («Traditore! venduto! pezzo di merda! cesso! troia! frocio!») e perdere i sensi accasciandosi sotto il banco.
Ma già da sé, senza inchieste sui suoi ministri, il governo Prodi si era messo sul ciglio del burrone, pronto a precipitare ad ogni voto. Dopo solo un anno e mezzo, e una finanziaria zeppa di tasse («Pagarle è bellissimo» disse il ministro dell’Economia Padoa-Schioppa),i sondaggi di gradimento dell’esecutivo erano già a livelli record, in negativo. Una serie costante di scontri dentro la maggioranza abborracciata, laici contro cattolici, sinistra radicale contro moderati, giustizialisti contro garantisti, tutti insieme pericolosamente. Quando i ministri ulivisti preparano la legge sulle convivenze civili, i cattolici della Margherita insorgono. Quando si vota sulla missione in Afghanistan la sinistra perde dei pezzi, che si uniscono in un nuovo movimento, Sinistra critica. Da lì, da sinistra, si sprigionano le scosse che contribuiscono a travolgere Prodi. Mentre il governo affonda, Ds e Margherita, azionisti di maggioranza, lavorano alla fusione nel Pd guidata da Veltroni.
Operazione che alimenta, tra delusi e dissidenti, le file della sinistra più critica con Prodi. Smottamenti persino nelle componenti minori della maggioranza, appesa ad un filo al Senato. Il presidente di commissione Daniele Capezzone entra in frizione col governo e col suo partito, i Radicali, componenti della maggioranza, e in un voto di fiducia si astiene, precisando che «solo la grande stima per Emma Bonino come membro del governo, fa sì che io non mi spinga oltre». Una corsa inarrestabile verso l’autoaffondamento del governo. Con o senza De Gregorio.