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 2013  ottobre 25 Venerdì calendario

TRA LECCO E CORSICO IN PRIMA LINEA CONTRO LA ’NDRANGHETA

Dov’è la Locride? Tra Lecco e Corsico, pura Padania. Ma non solo lì. Il giorno che i carabinieri hanno scoperto che anche a Pioltello, 9 chilometri fuori Milano, c’era una “locale” (insieme di cellule della ’ndrangheta) organizzata esattamente allo stesso modo di quelle doc, hanno capito che i giochi erano fatti. Adesso ci sono due grandi criminalità organizzate di origine calabrese: la prima è al Sud; la seconda, quasi autonoma dalla casa madre, è oggi insediata al Nord. Lo sanno bene i sindaci della più ricca regione italiana, la Lombardia. Alcuni, come Alfredo Celeste, primo cittadino di Sedriano, finiscono nei guai per sospette collusioni (il Comune è stato sciolto per mafia, primo caso in Lombardia), molti altri si battono in prima linea, insieme alle forze dell’ordine, nel tentativo di fermare questa occupazione che somiglia tanto allo sbarco di Cosa Nostra negli States, all’incirca un secolo fa. I siciliani trovarono a New York la mafia irlandese e quella degli ebrei (ben raccontate da Martin Scorsese, Francis Ford Coppola e Sergio Leone), e furono guerre sanguinose; i mafiosi calabresi sbarcati in Lombardia sono stati accolti da uno zerbino nuovo di zecca con su scritto “benvenuti”. Magari è una forzatura, ma non troppo lontana dalla realtà: tra distrazioni, mancanza di anticorpi sociali e politici, bisogno di soldi, le regioni più produttive d’Italia si sono lasciate infiltrare senza (quasi) opporre resistenza, e i loro Comuni, un tempo fieri alleati di Legnano, sono ora fortini assediati dalla criminalità organizzata. Nelle 1.700 pagine di motivazione della sentenza del processo “Infinito”, i giudici della Corte d’Appello di Milano, che hanno appena mandato in carcere 110 ’ndranghetisti, scrivono che questa al Nord «è ormai una vera e propria metastasi, una realtà conclamata e capillare» che opera «nella diffusa omertà che porta le vittime a subire senza denunciare, a nascondere piuttosto che a rivelare».
Omertà è una parola che fino a qualche anno fa non sarebbe mai potuta comparire nella stessa frase con la parola Nord. Ma i tempi cambiano, e spesso in peggio. L’arrivo delle slot machine nei bar e l’apertura invasiva delle sale giochi (disciplinate entrambe da una legge che porta nelle casse dell’erario circa 6 miliardi di euro all’anno) sono stati il più recente cavallo di Troia della criminalità organizzata. Ne sa qualcosa Antonio Concas, 55 anni, sindaco pd di Pioltello, un ex sindacalista Cgil figlio di un minatore del Sulcis, duro e roccioso come la terra d’origine: «Un paio d’anni fa sono venuti da me e hanno chiesto di aprire una sala giochi. Uno dei due era il fratello di uno ’ndranghetista condannato al 41 bis. Ho preso atto della richiesta e sono andato in Consiglio comunale: per fermarli, abbiamo subito approvato un regolamento che proibiva di aprire sale giochi a 200 metri da luoghi sensibili, scuole, centri anziani, centri di aggregazione giovanile… Ma il Tar ha bocciato il regolamento. Incredibile. Dopo qualche tempo, i due sono tornati e mi hanno ripetuto che volevano aprire una sala giochi, ma stavolta in un centro commerciale davanti alla stazione. Così sono andato dal questore di Milano, da cui dipende l’autorizzazione finale, e gli ho raccontato la vicenda. Dal suo sguardo, e dalla legge che mi ha subito dopo citato, ho capito che avevo perso: esiste infatti una norma che autorizza in ogni caso ad aprire le sale giochi dentro i centri commerciali, a prescindere dai regolamenti dei Comuni». Anche lo Stato fa affari con loro. A questo punto il sindaco Concas, che non è tipo da rassegnarsi, comincia a fare melina, prendendo tempo. I due tornano in Municipio e stavolta, con fare un po’ più deciso, gli spiegano che se non dà l’autorizzazione potrebbe finirgli come quel suo collega di L’arrivo delle slot machine nei bar è stato il più recente cavallo di Troia dei malavitosi Testimonianze Viaggio nei Comuni dove la criminalità organizzata cerca di mettere radici un Comune piemontese, trascinato in tribunale e costretto a pagare, in solido con le casse pubbliche, un milione e mezzo di euro per danni. Risultato: la sala giochi oggi è aperta, anche se i più assidui frequentatori, dicono in città, sarebbero però i vigili urbani, mandati da Concas settimanalmente a controllare anche gli spilli.
«Il problema vero è che lo Stato biscazziere fa affari con tutti», dice con una certa coloritura Roberto Paolo Ferrari, 39 anni, sindaco leghista di Oggiono, novemila abitanti alle porte di Lecco. Ferrari è un tipo alla mano, molto simpatico, che non si imbarazza nel far scrivere sul sito ufficiale del Comune che ha un soprannome, Calzegigi, dovuto alla storia della sua famiglia. Ma tanta simpatia non è piaciuta per niente ad alcuni ’ndranghetisti della zona, che qualche tempo fa hanno tirato una molotov contro la casa dove Calzegigi abita con i suoi genitori. «È sempre questa storia delle videolottery e delle slot. Avevamo ricevuto due richieste, una locale e una di una ditta mai sentita. Come hanno fatto altri sindaci, sono andato in Consiglio e ho proposto un regolamento restrittivo: niente sale giochi piccole a 300 metri da scuole, oratori, ospedali, centri anziani… Ma se la sala giochi era superiore ai cento metri quadri, la distanza di sicurezza diventava 500 metri. Insomma, avevamo lavorato bene con il compasso, e l’unico posto che restava, se volevano aprire, era la riva del lago, tra gli sterpi. Noi eravamo soddisfatti, certe persone un po’ meno. Tant’è che una notte, casa nostra e mettono un proiettile calibro 9 nella buca delle lettere. Dopo qualche giorno, per darmi solidarietà viene in paese Roberto Castelli, mio compagno di partito, che allora era viceministro. Bene, mentre c’era la cerimonia in Comune, qualcuno lascia un proiettile sotto una delle sue auto di scorta: era uguale a quello mandato a me». Le sale giochi, a Oggiono, comunque non hanno mai aperto.
Una struttura impermeabile. Negli ultimi due anni, la Dia, direzione investigativa antimafia, ha accertato che nella sola Lombardia sono operative le locali di Milano, Cormano, Bollate, Bresso, Seregno, Legnano, Limbiate, Solaro, Pioltello, Rho, Pavia, Canzo, Mariano Comense, Erba, Desio e Corsico. Le locali sono la struttura superiore alla ’ndrina, sono cioè l’insieme delle ’ndrine costituite in un preciso territorio. Tutte le locali della regione, scrive la Dia, si sono poi date una forma di governo chiamato “La Lombardia”. La struttura piramidale è molto impermeabile, essendo fondata, a differenza di quella di Cosa Nostra, quasi sempre su legami di sangue. Una di queste locali, quella di Corsico, quarantamila abitanti a una manciata di chilometri dal Duomo, deve ogni giorno fare i conti con un manifesto, grande quanto un appartamento, che campeggia sulla facciata del Comune. Il manifesto riproduce, in formato gigante, la celebre foto di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che si sorridono, seduti uno di fianco all’altro. L’ha voluto lì Maria Ferrucci, sindaca (tiene a questa dizione) della città, casertana di 55 anni, insegnante di materie letterarie, giunta nel Pd da cattolica con un passaggio nel Manifesto. «Ho creato due anni fa la Rete per la legalità», dice Ferrucci, «perché ho sentito la necessità di affermare un principio: chi come me dice che qui c’è la ’ndrangheta non discredita la città, facendo fuggire gli imprenditori; al contrario fa del suo meglio per rendere libero il mercato. Libere dalla pressione mafiosa, le imprese devono poter competere sul nostro territorio in maniera leale». A Corsico la presenza mafiosa è ormai tradizione: già nel ’93 vennero arrestati 56 residenti con accusa di fare parte delle “famiglie” calabresi; più di recente sono sono stati catturati pezzi da novanta tra i quali Bruno Longo e Pasquale Zappia. Pura aria di Platì. E nel comune accanto, Buccinasco, viveva Saverio Morabito, uno dei primi e più importanti pentiti calabresi. «Chi amministra territori come il nostro deve fare i conti con la ’ndrangheta », dice Maria Ferrucci, «un po’ come quei colleghi che sono sindaci in zone sismiche: non si può fare finta di niente, purtroppo si deve tener conto dei terremoti. E poi, non dimentichiamolo, la criminalità è qui per fare affari: dal movimento terra alle costruzioni, dagli appalti allo spaccio di stupefacenti, e da poco i compro oro e le squadre di calcio. Sì, il calcio: ci sono intercettazioni tra boss intenzionati a ottenere consenso, anche politico, che parlano di acquistare squadre per avere la fiducia della gente…». Le strategie, nell’uno e nell’altro caso, fanno i conti con la paura: di finire in carcere o, per i primi cittadini, di subire ritorsioni. Come nel caso del sindaco di Lecco, Virginio Brivio, 54 anni, Pd di provenienza Margherita. Brivio ha vissuto un anno sotto la scorta di un vigile armato. E tutto per una pizzeria. «Il nome era The Village», racconta, «e io l’ho fermata grazie a quelle che tecnicamente si chiamano informazioni atipiche della prefettura. I titolari non erano indagati, ma da alcune informazioni risultava che erano stati fermati più volte in auto con persone pregiudicate per reati di mafia. Sulla base di queste notizie, ho rifiutato la licenza. E sono stato minacciato: io e alcuni miei collaboratori. D’accordo con la prefettura, allora guidata da Marco Valentini, abbiamo anche revocato la concessione a una società che aveva vinto un appalto per un parcheggio: si avvaleva di un’impresa campana che destava sospetti».
Come giungevano le minacce a Brivio? In questo, la criminalità va veloce: non solo telefonate e visite, ma anche post sul profilo Facebook del sindaco. Da quel momento è scattata la vigilanza. «Ora è sospesa», dice, «perché tutto sembra più calmo. Noi siamo al governo di Lecco dopo 17 anni di centrodestra, ma nella battaglia alla ’ndrangheta le assicuro che non c’è colore. Tutte insieme le forze politiche hanno sottovalutato per anni la criminalità organizzata al Nord. Adesso invece s’è preso coscienza. E si sta reagendo. Io ho aderito ad Avviso Pubblico, un’associazione tra amministratori locali. Segnaliamo tutte le minacce, ci facciamo carico di gestire i beni confiscati. E qui da noi ce ne sono diversi. In uno di questi apriremo, insieme a Libera di don Ciotti, un locale pubblico. Si chiamerà Pizza della Legalità». Niente male per la città scelta negli anni Ottanta da Franco Coco Trovato per portare la ’ndrangheta in Lombardia. Il boss venne arrestato nel ’92, e ora è all’ergastolo. Ma i suoi semi cattivi hanno preso bene. E i sindaci lombardi lo sanno.