Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  ottobre 25 Venerdì calendario

IL SIGNORE DELL’UMORISMO


IL PERSONAGGIO
Senza Marcello Marchesi probabilmente l’Italia sarebbe diversa! Può sembrare un’esagerazione ma questo grande umorista, scomparso nel 1978 e sconosciuto ai ventenni di oggi, è il più citato e copiato d’Italia. Dopo aver collaborato alle più importanti riviste satiriche tra le due guerre(“Bertoldo”, “Marc’Aurelio”) ha inventato oltre 4.000 caroselli, e una infinità di slogan pubblicitari passati in proverbio («Il signore sì che se ne intende», «Non è vero che tutto fa brodo», «Il brandy che crea un’atmosfera»…). Ha scritto per il teatro di varietà di Wanda Osiris, Dapporto, etc. fino al cabaret di Cochi e Renato. Ha composto canzoni e girato film (con Totò e Macario). È stato in tv il Signore di mezza età (1963). A lui devono qualcosa, più o meno direttamente, Paolo Villaggio (anche per Fantozzi), Fellini (per una scena di Amarcord), Gino & Michele. Scorrendo questo libro, Il malloppo (Bompiani, 128 pagine, 10 euro) - un romanzo sperimentale, fatto di giochi di parole, aforismi, epigrammi, gags, dialoghetti satirici - troviamo ad ogni pagina uno scialo di invenzioni verbali che evocano involontariamente quasi tutti i nostri autori comici contemporanei. Provo a elencarli. Altan («Perché mi leggete il menu mentre sto vomitando?»), Lillo & Greg («Santa Rita s’accascia»), Bergonzoni («Santa Giovanna sentiva le voci, Fra Galdino sentiva le noci. Io non sento niente…»), Brignano («porti una conchiglia all’orecchio e senti il rumore del water»), Marco Presta del “Ruggito del coniglio” («Odio bonariamente tutti, vi sopporto perché siete di passaggio, come me»), Guzzanti lui («Tutti gli uomini sono uguali. A chi?») e lei («La smentita al luogo comune non arriva mai»), Daniele Luttazzi(ma più cattivo ancora: «Nuovi giochi per bambini poveri: incipriate una merda. Sembrerà un paesino di montagna sotto la neve»), fino a “Striscia la notizia” e a moltissimi altri. L’avrà letto mai Woody Allen? Ad esempio: «Trovavo in quella relazione una tendenza alla infelicità che mi ringiovaniva». Il Malloppo è il monologo torrenziale davanti a un registratore di un anziano umorista e manipolatore verbale che si innamora spesso, che ha tante idee moderne in testa ma da così tanto tempo che non sono più moderne, e che va dal medico perché vuole disperatamente liberarsi del “malloppo” di parole che gli marcisce dentro. La pagina del romanzo è un fuoco d’artificio di battute (già la prima pagina ne ha oltre 20). Si va dai puri calembour(«quel treno per Enfisema») a sentenze sulla vita contemporanea da grande moralista ( «È un po’ che non penso a niente. Ho scoperto che in qualunque direzione fa male») alla barzelletta («Una aranciata con due cannucce? La beve col naso?»).

L’UMORISMO
Una sua fidanzata luterana e comunista lo rimprovera perché l’umorismo “ride di”, mentre bisogna “ridere contro”. Ma non sa che l’umorismo nasce sempre da uno sguardo scettico, autoironico, quietamente malinconico sulla realtà, la quale è mutevole ma non modificabile da noi.
La comicità diventa grande quando implica anche il proprio contrario, il senso doloroso del tragico e della vanità del tutto. E anzi la potenza del tragico si esprime proprio nella «deformante stilizzazione del comico», almeno dalle Operette morali di Leopardi e fino a Longanesi, Campanile e Flaiano (vedi Tutto è degno di riso, saggi vari a cura di Antonio Saccone, Liguori) Marchesi si confronta continuamente con la morte e la vecchiaia, smaschera il buonismo (anche se allora non si chiamava così, ma certo «nessuno si è mai ammazzato perché non riusciva ad amare il prossimo come se stesso») e la bolsa retorica dell’ottimismo («L’ottimista entrò a Dachau incoraggiando gli altri: prendiamola come una vacanza, pensiamo che sia una sauna…»). Marchesi mi appare a tratti come un musicista jazz (genere che amava molto) dell’umorismo, e cioè un virtuoso inesauribile dell’improvvisazione comica e del nonsense, anche perché al tempo del neon «è stupido andare avanti a lume di logica». Nel libro c’è anche una insolita, bellissima poesia “civile” sull’esperienza della guerra (era stato in Africa): «Ma è possibile/ che quando ero là in buca/ ad El Alamein/ con i proiettili/ che mi arrivavano sopra/ come indici puntati/ io fossi là / per obbligare Anna Frank/ a restare/ chiusa in soffitta/ in attesa della morte?/ Questa è la vera sconfitta». Ma concludo con una sua battuta fulminante e quasi profetica (morì annegato a Sinis): «Supertimido: Affogò/ perché si vergognava/ a gridare/ aiuto».
Filippo La Porta