Filippo La Porta, il Messaggero 25/10/2013, 25 ottobre 2013
IL SIGNORE DELL’UMORISMO
IL PERSONAGGIO
Senza Marcello Marchesi probabilmente l’Italia sarebbe diversa! Può sembrare un’esagerazione ma questo grande umorista, scomparso nel 1978 e sconosciuto ai ventenni di oggi, è il più citato e copiato d’Italia. Dopo aver collaborato alle più importanti riviste satiriche tra le due guerre(“Bertoldo”, “Marc’Aurelio”) ha inventato oltre 4.000 caroselli, e una infinità di slogan pubblicitari passati in proverbio («Il signore sì che se ne intende», «Non è vero che tutto fa brodo», «Il brandy che crea un’atmosfera»…). Ha scritto per il teatro di varietà di Wanda Osiris, Dapporto, etc. fino al cabaret di Cochi e Renato. Ha composto canzoni e girato film (con Totò e Macario). È stato in tv il Signore di mezza età (1963). A lui devono qualcosa, più o meno direttamente, Paolo Villaggio (anche per Fantozzi), Fellini (per una scena di Amarcord), Gino & Michele. Scorrendo questo libro, Il malloppo (Bompiani, 128 pagine, 10 euro) - un romanzo sperimentale, fatto di giochi di parole, aforismi, epigrammi, gags, dialoghetti satirici - troviamo ad ogni pagina uno scialo di invenzioni verbali che evocano involontariamente quasi tutti i nostri autori comici contemporanei. Provo a elencarli. Altan («Perché mi leggete il menu mentre sto vomitando?»), Lillo & Greg («Santa Rita s’accascia»), Bergonzoni («Santa Giovanna sentiva le voci, Fra Galdino sentiva le noci. Io non sento niente…»), Brignano («porti una conchiglia all’orecchio e senti il rumore del water»), Marco Presta del “Ruggito del coniglio” («Odio bonariamente tutti, vi sopporto perché siete di passaggio, come me»), Guzzanti lui («Tutti gli uomini sono uguali. A chi?») e lei («La smentita al luogo comune non arriva mai»), Daniele Luttazzi(ma più cattivo ancora: «Nuovi giochi per bambini poveri: incipriate una merda. Sembrerà un paesino di montagna sotto la neve»), fino a “Striscia la notizia” e a moltissimi altri. L’avrà letto mai Woody Allen? Ad esempio: «Trovavo in quella relazione una tendenza alla infelicità che mi ringiovaniva». Il Malloppo è il monologo torrenziale davanti a un registratore di un anziano umorista e manipolatore verbale che si innamora spesso, che ha tante idee moderne in testa ma da così tanto tempo che non sono più moderne, e che va dal medico perché vuole disperatamente liberarsi del “malloppo” di parole che gli marcisce dentro. La pagina del romanzo è un fuoco d’artificio di battute (già la prima pagina ne ha oltre 20). Si va dai puri calembour(«quel treno per Enfisema») a sentenze sulla vita contemporanea da grande moralista ( «È un po’ che non penso a niente. Ho scoperto che in qualunque direzione fa male») alla barzelletta («Una aranciata con due cannucce? La beve col naso?»).
L’UMORISMO
Una sua fidanzata luterana e comunista lo rimprovera perché l’umorismo “ride di”, mentre bisogna “ridere contro”. Ma non sa che l’umorismo nasce sempre da uno sguardo scettico, autoironico, quietamente malinconico sulla realtà, la quale è mutevole ma non modificabile da noi.
La comicità diventa grande quando implica anche il proprio contrario, il senso doloroso del tragico e della vanità del tutto. E anzi la potenza del tragico si esprime proprio nella «deformante stilizzazione del comico», almeno dalle Operette morali di Leopardi e fino a Longanesi, Campanile e Flaiano (vedi Tutto è degno di riso, saggi vari a cura di Antonio Saccone, Liguori) Marchesi si confronta continuamente con la morte e la vecchiaia, smaschera il buonismo (anche se allora non si chiamava così, ma certo «nessuno si è mai ammazzato perché non riusciva ad amare il prossimo come se stesso») e la bolsa retorica dell’ottimismo («L’ottimista entrò a Dachau incoraggiando gli altri: prendiamola come una vacanza, pensiamo che sia una sauna…»). Marchesi mi appare a tratti come un musicista jazz (genere che amava molto) dell’umorismo, e cioè un virtuoso inesauribile dell’improvvisazione comica e del nonsense, anche perché al tempo del neon «è stupido andare avanti a lume di logica». Nel libro c’è anche una insolita, bellissima poesia “civile” sull’esperienza della guerra (era stato in Africa): «Ma è possibile/ che quando ero là in buca/ ad El Alamein/ con i proiettili/ che mi arrivavano sopra/ come indici puntati/ io fossi là / per obbligare Anna Frank/ a restare/ chiusa in soffitta/ in attesa della morte?/ Questa è la vera sconfitta». Ma concludo con una sua battuta fulminante e quasi profetica (morì annegato a Sinis): «Supertimido: Affogò/ perché si vergognava/ a gridare/ aiuto».
Filippo La Porta