Roberto Giardina, ItaliaOggi 25/10/2013, 25 ottobre 2013
FISCO TEDESCO, ANDREBBE IMITATO
In Italia, il governo taglia gli sconti ai contribuenti. Schade, come si dice a Berlino, peccato. Il fisco tedesco, invece, ti permette di dedurre dal reddito una serie di spese. Le aliquote, tra noi e loro, possono sembrare quasi identiche, ma si paga su quel che resta, e il conto cambia. In qualche caso di parecchio. Generosità? Non solo. Attraverso i documenti che porti in deduzione, il Finanzamt si fa un’idea di chi sei, di come vivi, e di quanto disponi. Inoltre, dalle ricevute può identificare altri contribuenti in malafede. Senza esagerare, il fisco si basa anche su un altro principio: non cerca di stangare, ma di indirizzare la spesa. Se spendi in modo ragionevole, incrementando il lavoro e quindi il benessere sociale, vieni premiato. Se spendi per il tuo piacere, però non ti punisce. Affari tuoi, a meno che la spesa voluttuaria non sia esagerata rispetto al reddito.
L’Ufficio Imposte non è un ente kafkiano, distante, irraggiungibile. Ne esiste uno per quartiere, io non ho mai aspettato più di cinque minuti per essere ricevuto. E sempre dalla stessa funzionaria. La gentilezza verso il contribuente serve anche a conoscerlo. Ogni anno, devo ottenere un attestato dalla signora per provare che pago le tasse in Germania. Una volta che il fisco italiano mi richiedeva prove supplementari, lei si scocciò: «Se hanno dei dubbi, non devono rivolgersi a lei, ma scrivere direttamente a me, anche in italiano. Non è logico. Lo fanno anche i cinesi». Ma questo non c’entra. Comunque, non sono un numero per la funzionaria, mi ha inquadrato, sa come mi vesto, e così via.
Ora il mio Steuerberater, il commercialista, mi ha chiesto la ricevuta per l’assicurazione sulla casa, che avevo dimenticato. La posso dedurre, ma dall’importo la funzionaria potrà dedurre dove e come vivo. A Berlino nella stessa strada si trovano case di lusso e popolari. E saprà anche se in salotto è appeso un quadro di valore. Potrei dedurre anche i metri quadrati della stanza in cui sto scrivendo queste righe, in proporzione alla superficie dell’appartamento, dall’affitto, o dalle spese di condominio, riscaldamento, eccetera, se è di mia proprietà. Lo può fare chiunque si porti il lavoro a casa, anche un insegnante che corregga i compiti. Però, prima o poi, la signora verrebbe a farmi visita: la stanza è adibita esclusivamente al lavoro? C’è un divano letto? Allora, non vale. E si accorgerebbe anche del Matisse in salotto. Come l’ha comprato? Un’eredità della nonna? Avrebbe dovuto pagare le tasse di successione.
Posso dedurre i libri che compro, il toner per la stampante, gli abbonamenti dei giornali, la manutenzione del computer. E così beccano anche il tecnico che mi assiste, se è stato infedele. Libri? Non devo specificare il titolo. Basta scrivere «saggi», e magari ho comprato un «giallo». In fondo, anche un romanzo mi serve per conoscere la società in cui vivo. Non perdono tempo sulle piccolezze. Deduco l’assicurazione dell’auto, e così la signora del Finanzamt sa se guido una Porsche o una Fiat 500. Se i miei figli non fossero grandi, potrei dedurre tutte le spese supplementari per la loro istruzione. Non i libri scolastici perché qui li distribuisce lo stato.
La mia personal trainerin, colei che mi allena in palestra, ha mandato la figlia a studiare a Cambridge, penso con qualche sacrificio. E deduce le spese. Potrebbe barare sulle ore che le pago, ma non troppo se vuol essere credibile: altrimenti come ha fatto a spedire la ragazza in Gran Bretagna? Deduce anche la quota parte che versa per ogni ora al Fitness Center. Così paga le tasse anche la palestra. Per questo i tedeschi chiedono sempre una ricevuta, per tutto. Non serve il redditometro. Bastano gli occhi della signora che mi riceve al Finanzamt. «Lo fanno anche i cinesi? Le risposi, non è logico? Ma da noi nulla è logico.» Lei ebbe pietà e mi preparò il documento richiesto dai suoi colleghi italiani.