Monica Perosino, La Stampa 25/10/2013, 25 ottobre 2013
SCATTAI QUELLA FOTO SENZA VEDERE NULLA E DIVENTAI CAPA
Aveva 23 anni e non era nessuno. In trincea, tra le bombe, la paura e i fischi dei proiettili. Era la sua prima guerra, in Spagna, tra i soldati repubblicani che combattevano contro Franco nel 1936.
Lui, Robert Capa, la sua macchina fotografica e altri venti «milicianos» armati solo di vecchi fucili. Di fronte a loro le mitragliatrici fasciste. I tentativi di colpire al cuore le linee franchiste fallivano uno dietro l’altro. Fino a quando il capitano urlò «Vamonos!». I soldati uscirono dalla trincea e si misero a correre contro le raffiche, uno dietro l’altro. Robert Capa alzò la macchina fotografica sopra la testa e scattò, al buio, senza neanche vedere cosa stava inquadrando, poi spedì al suo giornale le pellicole ancora da sviluppare, come sempre.
Quando rientrò in America, mesi dopo, scoprì di essere diventato famoso in tutto il mondo grazie a quella foto, che non aveva nemmeno visto. «È stata probabilmente la foto più bella che abbia mai scattato».
È nata così, per caso, «Morte di un miliziano», tra le foto di guerra più celebri della storia, in cui un soldato repubblicano è ritratto proprio nel momento in cui viene colpito dal fuoco nemico. Senza dubbio lo scatto più conosciuto di Capa, e anche il più contestato.
Dagli Anni 70 in molti hanno messo in dubbio l’autenticità dell’immagine, insinuando che fosse un falso, e che nessuno fosse davvero morto sotto l’obiettivo di Capa, dal momento che l’autore non aveva mai spiegato come fossero andate le cose. Lui, uno dei più grandi fotografi di tutti i tempi, saltato su una mina in Indocina nel 1954, non ha mai potuto difendersi. Lo fa oggi, a 100 anni dalla nascita e 56 dalla morte, grazie a un’intervista rilasciata alla Wnbc, del gruppo Nbc, una mattina del 20 ottobre 1947, trovata per caso e diffusa dal Center of Photography (Icp) di New York. L’unico documento esistente in cui è possibile ascoltare la voce del reporter. Le altre rare interviste, infatti, sono andate perdute.
Brian Wallis, curatore capo dell’Icp, l’ha scovata su eBay. Per caso, di nuovo. Comprata per duemila dollari da un americano del Massachusetts che l’aveva trovata in una casa in vendita. Nell’intervista - che dura 23 minuti e 35 secondi - Capa spiega come andarono i fatti in Spagna. Racconta che la famosa foto venne scattata nel settembre 1936 in Andalusia: «Ero in una trincea con venti miliziani armati di vecchi fucili. Morivano al ritmo di uno al minuto nel tentativo di catturare la mitragliatrice di Franco che li teneva sotto scacco. Al quarto tentativo misi la macchina fotografica sopra la testa e, senza vedere cosa accadeva, scattai, mentre un soldato si muoveva fuori dalla trincea. Questo è tutto».
Capa racconta - con quel suo marcato accento ungherese che nessuno prima d’ora aveva potuto ascoltare - come iniziò tutto, come divenne Robert Capa, il più grande reporter di guerra: «Quando tornai, tre mesi dopo, ero diventato un fotografo molto famoso, perché quella macchina fotografica, tenuta sopra la mia testa, aveva catturato l’esatto istante in cui il soldato veniva colpito».
Nell’intervista parla di come inventò il suo nome (era nato Friedmann Endre) e il suo personaggio, perché «ero giovane, un po’ sciocco, e decisi che il mio vero nome non andava bene, che da quel momento sarei diventato un grande fotografo. Quindi scelsi Robert, perché aveva un suono molto americano, e Capa, perché era facile da pronunciare. Già che c’ero decisi che da quel momento sarei diventato un grande fotografo americano arrivato in Europa per lavorare».
E quel grande fotografo americano, coraggioso e temerario, neanche ai microfoni si nascondeva, mentre imbarazzato raccontava il talento meccanico della sua macchina fotografica che decise, per lui, di renderlo così famoso. Amava il poker, odiava la guerra, cercava di perdere quella brutta abitudine di ficcarsi in situazioni pericolose: «Perché non sono incosciente, so quando devo nascondermi».