Enrico Sisti, la Repubblica 25/10/2013, 25 ottobre 2013
QUEI CAMPIONI MESSI SOTTO TUTELA
Basler stava facendo ammattire Trapattoni. Sempre più spesso l’uomo scombinato prevaleva sul calciatore talentuoso. Giocava partite spettrali. Mario venne messo al guinzaglio: un professionista selezionato dal Bayern ebbe l’incarico di capire quanto tempo e quanta testa il giocatore dedicasse alle sue beghe private, con ampia dispersione di energie mentali ed emotive. Lui se ne accorse: porca miseria, ma c’è qualcuno che mi sta seguendo! Pensò alla fidanzata gelosa, a un paparazzo, a un errore di persona, a un matto. Si racconta che fosse una pratica insolita ma a volte necessaria: «Riceviamo spesso telefonate anonime che segnalano comportamenti poco seri da parte dei giocatori, ma per metterli di fronte al fatto compiuto ci servono delle prove», disse Uli Hoeness. Le prove non arrivarono. Trapattoni confermò il clima di sospetti e prima di trasferirsi alla Fiorentina allargò addirittura i confini: «In passato, nelle società che ho allenato in Italia (Milan, Juventus, Cagliari e Inter fino a quel momento, ndr), non era prassi inusuale tenere sotto controllo gli elementi più birichini. A essere investito dell’incarico era spesso un dirigente».
«Se ne parlava», ammette Gianni Rivera, «che ci fosse qualcuno dello staff che controllava l’esistenza di noi calciatori fuori dal campo e poi riferiva: per me sono rimaste fandonie, roba per incuterci timore». Però continua a succedere: «Balotelli? Non lo conosco personalmente», prosegue Rivera, «ma mi chiedo: e in campo quale tutor lo controlla?». Almeno qui l’affido è conclamato. Non c’è uno spione nascosto dietro la siepe con barba posticcia, naso di gomma occhiali di plastica e cane finto, bensì un ex-poliziotto (Filippo Ferri) su cui pesa una condanna per il G8 di Genova, il figlio dell’ex ministro dei 110 all’ora, un “private eyes” chiamato a un compito abbastanza imprecisato: Ferri deve impedire a Balotelli di fare cosa quando come perché quanto dove? Chi decide? Deve farlo mangiare? Deve ordinargli di lavarsi i denti, non usare il telefono quando guida, stare attento a dove butta l’immondizia? Gli paga le multe? E poi: è sorveglianza solo fuori dal campo? E dove finirebbe il campo? Per esempio: che potere avrebbe avuto il “tutor” quando Mario, dalla sua stanza, nel centro tecnico del Manchester City, cominciò «per noia» a lanciare freccette dalla finestra contro i ragazzi delle giovanili del club? Confini e limiti d’intervento misteriosi. La paura di non controllare è spesso peggiore del danno che un calciatore rischia di procurare al suo club con un mojito di troppo. Un indefinibile terrore dell’ignoto spinse Moratti e Tronchetti Provera a piazzare su Christian Vieri una lente d’ingrandimento grande poco meno di Milano (Tavaroli) e poi li costrinse a risarcire il giocatore, caduto anche per altri motivi in uno stato di prostrazione. Guardiola si sporcò l’immagine quando si seppe che l’agenzia “Metodo 3” aveva ricevuto da lui l’incarico di pedinare Piqué durante i primi abboccamenti con Shakira (chissà perché tutti pensavano che lo avrebbe condotto rapidamente all’inferno...) e forse anche Messi: come se marcare stretto Messi fosse facile. Da ct della nazionale inglese, Fabio Capello ebbe la tentazione di limitare drasticamente certe libertà “social” dei suoi prima dei Mondiali in Sudafrica: salvo poi scoprire che qualcuno spiava tutti loro dentro un hotel dell’Hertfordshire. «Per noi il caso non esiste», precisa Lotito, «noi della Lazio facciamo selezioni preventive sulla base di qualità tecniche e morali». Quindi la Lazio li spia prima? In ogni caso chi volesse il Philip Marlowe del pallone sappia che esiste l’agenzia perfetta. È nascosta in una palazzina anonima di Raman Gat, un quartiere nord di Tel Aviv: si chiama Im-Scouting. Lo considerano il Mossad del calcio. Nei suoi archivi ci sarebbero 50 mila schede di calciatori provenienti da 45 campionati nazionali. Seguire un terzino costa dai 15 ai 24 mila euro. E aspettano sempre che sia lui a commettere fallo.