Federico Fubini, la Repubblica 25/10/2013, 25 ottobre 2013
PARACADUTE PUBBLICO PER LE BANCHE DRAGHI IN PRESSING SUI GOVERNI
L’unione bancaria è approdata ieri al tavolo dei capi di Stato e di governo europei, alla cena del vertice di Bruxelles con Mario Draghi. Il presidente della Bce ha ricordato ai leader i primi passi per l’esame imminente da parte di Francoforte sullo stato di salute di 130 banche dell’area euro, di cui 15 italiane, che durerà un anno.
Per Draghi è stata un’occasione per sottolineare un aspetto sempre più determinante con il passare dei mesi: la necessità di risorse pubbliche disponibili per ricapitalizzare le banche, qualora ne avessero bisogno e non riuscissero a trovare investitori sul mercato. L’Eurogruppo, che riunisce i ministri finanziari dell’area, sta discutendo su come e quando ciascun Paese nel 2014 dovrà dotarsi di questa rete di sicurezza. Per la Bce resta un passaggio vitale: Draghi pensa che mettere in luce le debolezze delle banche senza prima sapere come superarle possa danneggiare la fiducia sul mercato. Anche per questo il presidente della Bce ha scritto quest’estate al commissario alla Concorrenza Joaquin Almunia. L’idea del banchiere centrale italiano è che imporre perdite ai creditori di singole banche in dissesto, prima di ricapitalizzarle, fa parte del funzionamento normale del mercato. Ma farlo meccanicamente su tutte le banche che dovessero risultare vulnerabili all’imminente esame europeo, forse decine di istituti, rischia di risultare destabilizzante.
Prevedibile che sull’analisi dei bilanci bancari molti occhi si concentrino sull’Italia. Una caduta dell’economia di quasi il 9% dall’inizio della crisi fa sì che il numero dei fallimenti d’impresa, dunque dei prestiti bancari in default, continui a salire. In un recente rapporto la banca americana Jp Morgan osserva che i crediti deteriorati alle imprese in Italia sono il 25% del totale e stanno aumentando, mentre il settore dei mutui alle famiglie tiene meglio. Su questo sfondo, nota Jp Morgan, le banche italiane sono «pienamente preparate» per l’esame europeo dei loro bilanci: «Lo scenario peggiore in termini di fondi pubblici usati per ricapitalizzarle è di meno dell’1% del Pil» (dunque sotto i 15 miliardi di euro). Scrive Jp Morgan: «Le banche italiane applicano i criteri contabili e di vigilanza più rigorosi d’Europa. Se i prestiti fossero misurati con i criteri applicati ad alcune grandi banche europee, i crediti deteriorati sarebbero più bassi di un terzo rispetto agli standard seguiti dalla Banca d’Italia». Valori simili, scrive Jp Morgan, si applicherebbero anche al valore stimato delle garanzie sui prestiti (benché i prezzi degli immobili siano in calo).
Certo l’istituto di Via Nazionale sta mettendo molta pressione perché le sue vigilate affrontino la verifica europea senza scheletri nell’armadio. All’estero tuttavia, finché l’economia non si riprende e il debito pubblico sale, la diffidenza verso il sistema finanziario italiano resta. Gli istituti in Borsa valgono tuttora decisamente meno della somma delle loro parti. Subito dopo l’annuncio dei criteri per l’avvio della vigilanza europea, sono stati fra quelli che hanno perso più terreno sui listiti. E di recente Goldman Sachs, la banca d’affari di Wall Street, ha chiesto a un campione di investitori in quali Paesi si aspettavano che l’esame europeo avrebbe trovato carenza di capitale nelle banche. Il 56% ha indicato la Spagna, il 57% la Germania, l’86% l’Italia.