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 2013  ottobre 25 Venerdì calendario

NOLAN, IL PAPÀ DEI PRIMI VIDEOGIOCHI «UN NO A JOBS MI CAMBIÒ LA VITA»


«Stavamo per creare Internet con più di dieci anni d’anticipo. Non la rete militare che si stava sviluppando negli anni Settanta, ma una connessione che sfruttando le nostre console e i cavi telefonici avrebbe collegato le famiglie e le loro case». Però Nolan Bushnell nel 1976 decise di vendere la sua Atari alla Warner per 28 milioni di dollari: il mercato dei videogiochi, appena nato, stava già diventando enorme e c’era bisogno di capitali. «Ma così la creatività, la voglia di sperimentare svanì. Non c’era più la voglia di realizzare il futuro: rimase solo il business». Ora Bushnell ha 70 anni ed è a Milano come ospite d’onore della Games Week, la fiera italiana dei videogiochi che si apre questa mattina. Universalmente conosciuto come «Il papà dei videogiochi», nel 1972 fondò la Atari e nello stesso anno diede il via alla storia dei giochi elettronici creando Pong: le barrette bianche su sfondo nero a simulare una partita di ping pong che segnarono la nascita di un’industria dell’intrattenimento capace oggi, a livello globale, di più di 60 miliardi di dollari di fatturato.
Bushnell continua a seguire da vicino il mondo dell’intrattenimento digitale che ha creato, ormai 40 anni fa. «E adesso più di allora sono gli uomini e le idee a contare. Più dei capitali: bastano pochi dollari e gli strumenti di sviluppo semplici che ci sono adesso per fare un gioco di successo. Che dall’Italia può arrivare ovunque nel mondo». Giocare è nell’animo umano, ne è un parte fondamentale. «L’interattività è destinata a crescere e a prendere spazio ovunque, nella musica, nel cinema, in televisione, il regno della passività». I videogiochi alla fine fagociteranno tutte le forme di intrattenimento? «No, le buone storie verranno sempre raccontate, al cinema come nei libri, senza bisogno di vederci protagonisti diretti. Ma vedrete che in futuro, in una qualche forma, ci troveremo tutti a giocare. E ne saremo felici».
La sua infinita storia di imprenditore sembra in effetti un grande gioco, un’avventura dietro l’altra che di fatto hanno creato buona parte dell’attuale storia economica americana. Avendo studiato negli anni Sessanta all’Università di Ingegneria dello Utah, Bushnell da studente entra in contatto con i primi computer «ad armadio» (e su un Dec inizia a giocare allo storico Space War). Una volta fondata la sua azienda nella Silicon Valley, l’idea di passare dalle console di gioco ai personal computer arriva spontanea. Ma alla fine fu un suo ex dipendente a entrare da vincente nella neonata competizione dei pc: Steve Jobs, lasciata Atari, decise di fondare Apple. Era l’inizio di una nuova storia. «E pensare che Steve venne da me», ricorda Bushnell, «per chiedermi un piccolo investimento, 50 mila dollari, in cambio di un terzo di Apple. Ero così furbo allora che dissi di no», ride. «Penso sia una storia divertente, quando non piango al pensiero». Ma nelle sue parole non c’è rimpianto: Bushnell è un vero imprenditore americano, e il fallimento è un’opzione. La sua storia è quella di un illuminato con il difetto di pensare le cose (troppo) prima degli altri. «E la cosa più importante nel business è il tempismo: fare le cose quando il mercato è pronto». Tra pizzerie e robot casalinghi, le imprese messe in piedi da Bushnell sembrano senza fine. La sua Kadabrascope, venduta negli anni Ottanta a George Lucas, divenne poi la Pixar. La Etak, da lui finanziata, fu la prima azienda al mondo a digitalizzare le mappe geografiche con l’intento di creare i primi navigatori per auto. Venne quindi venduta a Rupert Murdoch e il materiale raccolto divenne poi la base per le attuali Google Maps.
«Qui da voi, e in Europa in generale, tutto quello che ho fatto non sarebbe stato possibile. Ci sono troppe garanzie nei confronti dei lavoratori, come pensate che qualcuno abbia il coraggio di investire?». Una frase cruda, figlia del pragmatismo statunitense. Ma non di un cuore arido. L’imprenditore è figlio di una famiglia di mormoni: «Non sento Dio dentro di me, ma la necessità costante di una moralità in tutto quello che faccio sì». Soprattutto se si parla di videogiochi, il primo amore da cui non si è mai staccato. «Grand Theft Auto è un grande videogioco, ma i contenuti che propone — furti e violenza — non hanno moralità. E questo allora non mi interessa». Perché i videogiochi vanno in mano ai bambini e ai ragazzi, e sono nell’idea di Bushnell uno strumento formativo importante. «Quando giochiamo mettiamo il massimo della concentrazione, e stiamo facendo anche una cosa piacevole. Credo che i videogiochi siano la chiave per l’educazione del futuro». È questo uno degli impegni attuali a cui si sta dedicando il «papà dei videogame», che non ha nessuna intenzione di andare in pensione. «Quando avrò risolto il problema della formazione dei bambini», conclude ridendo, «mi dedicherò ad altro, sempre giocando: prima la fame nel mondo, poi la pace globale. Posso farcela».
Federico Cella
Vitadigitale.corriere.it

@VitaDigitale