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 2013  ottobre 25 Venerdì calendario

L’EURO È NATO DA UN IMBROGLIO


Si intitola Un saggio di verità sull’Europa e sull’euro, una cinquantina di pagine da qualche giorno cliccatissime sul sito personale di Giuseppe Guarino, classe 1922, napoletano, giurista di vaglia, e già ministro delle Finanze dell’ultimo governo di Amintore Fanfani (1987) e di Industria e Partecipazioni statali (ad interim) nel 1992, premier Giuliano Amato.
Una verità scomoda, di cui Guarino parla volentieri, al telefono dalla sua casa romana, con voce squillante.
Domanda. Professore, nel saggio, che si può scaricare gratuitamente dal sito di ItaliaOggi, sezione documenti,, lei afferma che nell’area dello euro ci sarebbe stato un colpo di Stato. Ma di generali dell’Unione Europea non se ne sono mai visti in circolazione! Anzi, secondo alcuni, manca proprio una forza armata continentale...
Risposta. L’espressione «colpo di Stato» abbraccia qualsiasi ipotesi di trasformazione radicale dell’assetto politico di un Paese, che sia realizzata a mezzo della violazione delle apposite procedure costituzionali.
D. Lei però dice che questo golpe sarebbe stato effettuato in una data precisa: il 1 novembre del 1999. Data di lancio dell’euro. In cosa sarebbe consistito?
R. Il testo costituzionale, nella specie, era il Trattato sull’Unione Europea-Tue.
D. Oddio, il famoso Trattato di Maastricht!
R. Sì. Ed era un testo che avrebbe dovuto considerarsi sacro. Costituiva il frutto di aspirazioni maturate in più di mezzo secolo. Alla sua elaborazione avevano direttamente partecipato i più importanti politici ed i maggiori esperti europei.
D. Sì ma quale sarebbe stato l’oggetto specifico del putch?
R. Il Trattato è stato violato nel suo più peculiare oggetto, la disciplina della moneta comune e della economia dei Paesi che l’avrebbero sostituita a quella nazionale.
D. Si spieghi meglio...
R. Il Trattato disciplinava in modo completo ed insieme adeguato l’euro, la moneta che avrebbe dovuto essere lanciata il 1 novembre di quindici anni fa. Il lancio avvenne puntualmente. Ma non si applicò la disciplina del Tue, dei famosi parametri di Maastricht!. La si sostituì con quella di un regolamento, il n. 1466/97, tuttora poco conosciuto. Regolamento non assoggettato al vaglio dei Parlamenti degli Stati, e non ratificato con la osservanza delle apposite procedure costituzionali. Insomma, non aveva alcuna potestà per modificare il Trattato.
D. Un illecito di così grande portata senza uso della forza?
R. Il regolamento, è stato approvato con una procedura alla quale hanno partecipato la Commissione europea, il Consiglio europeo ed anche il Parlamento europeo, ma che serviva a tutt’altro scopo. Si sono adoperate cautele ad evitare che ci si accorgesse della alterazione del Trattato che si andava ad introdurre. La sostituzione del Tue con il regolamento è stato frutto non di un atto di forza, ma di una operazione qualificabile come «fraudolenta».
D. La seguo professore, ma che differenze ci sarebbero fra Tue e il regolamento che è stato introdotto effettivamente?
R. Il Trattato vincolava l’Unione e gli Stati all’obiettivo della crescita e stabiliva in che modo si sarebbe potuto produrla. Gli Stati ammessi a fruire dello euro, avrebbero realizzato la crescita esercitando i loro normali poteri istituzionali attinenti alla materia della economia, cioè con le loro politiche economiche, ed avvalendosi del potere di indebitamento, purché non si superassero limiti prestabiliti.
D. E invece il regolamento?
R. La disciplina del regolamento impone agli Stati l’obbligo di realizzare a medio termine il bilancio in pareggio, con l’ulteriore obbligo di ottenere il risultato, attenendosi ad un percorso predeterminato.
D. Dunque il regolamento ha sostituito, per gli Stati, i due poteri che il Trattato attribuiva loro, con due obblighi...
R. In questo, effettivamente, è consistito il colpo di Stato. Con conseguenze molto gravi. In luogo della crescita, i cittadini dei Paesi che hanno adottato l’euro soggiacciono da 15 anni a una depressione che si aggrava e si estende. Ed effetto ancora più grave, è stato vulnerato il principio fondamentale della «democrazia».
D. Un attimo, e se si fosse applicato correttamente il Tue, chi ci dice che la crescita ci sarebbe stata?
R. Se l’applicazione del Trattato fosse avvenuta 15 anni fa, la risposta è «sì»: le economie dei Paesi membri erano ancora in condizioni di pieno vigore.
D. Detta in altri termini: la depressione in atto dal 1999 è un fenomeno prodottosi per «caso» o discende dal 1466/97?
R. È una conseguenza necessaria della disciplina introdotta dal regolamento e da quelli successivi, il 1055/2005 e il 1175/2011, e dal cosiddetto Fiscal Compact, atti che del primo regolamento hanno aggravato il rigore.
D. Perché?
R. Perché l’euro doveva essere, ed è, una moneta diversa da tutte le altre perché disciplinata da norme astratte, rigide ed immutabili. Non basta dire «crescita» perché la crescita si produca. Bisogna che il sistema sia ben congegnato per produrla. Se nella progettazione si commettono errori, la crescita non si produrrà.
D. Che invece, mi pare di capire, il Trattato originario avrebbe potuto realizzare...
R. Il progetto originario, Maastricht cioè, affidava la crescita ai due distinti poteri degli Stati membri, di perseguire una propria politica economica e di avvalersi dell’indebitamento. Il regolamento ha soppresso i due poteri senza sostituirli con un qualsiasi altro strumento o meccanismo idoneo a produrre crescita.
D. Futuro poco roseo, allora...
R. Siamo per quel motivo condannati alla depressione fino a quando il sistema, quale disciplinato da quel regolamento e dai successivi, rimarrà in vigore.
D. E come si esce da questa gabbia?
R. È molto difficile. Nel Trattato di Maastricht la crescita poggiava sulle politiche economiche degli Stati membri, deliberate autonomamente dai rispettivi Governi, eletti democraticamente dalle rispettive popolazioni. Attraverso il voto i cittadini di ciascun Paese potevano influenzare gli indirizzi ai quali i governi si sarebbero attenuti. Il principio democratico, condizione essenziale per essere ammessi all’Unione europea, era rispettato.
D. Con le regole «truccate» da quel regolamento che succede?
R. La disciplina introdotta dal 1466 ha soppresso i poteri politici degli Stati. I cittadini non hanno alcuna possibilità di influenzare gli indirizzi e le decisioni ai quali saranno assoggettati. Se ne è avuta prova in questi giorni.
D. A che si riferisce?
R. Gruppi che rivendicavano «casa» e «lavoro», beni essenziali perché la dignità dell’uomo e delle famiglie risulti salvaguardata, che nel corteo della scorsa domenica, a Roma, avevano concorso ad isolare i violenti, si sono accampati in città in attesa di incontrare il ministro.
D. Il ministro Maurizio Lupi, responsabile delle Infrastrutture, certo...
R. Ecco, secondo quanto risulta dai media, Lupi avrebbe detto che, pur dolente, non sarebbe stato in grado di far nulla: «Non ci sono risorse». Il futuro non offre speranze. Il Programma di stabilità e crescita di ciascuno Stato euro deve attenersi ai «compiti» ispirati al principio del pareggio del bilancio, aventi dunque l’effetto di produrre ulteriore depressione, e che gli organi dell’Unione non possono esimersi dall’assegnare ai Governi degli Stati e che i Governi degli Stati euro sono obbligati ad eseguire.
D. Però insomma, professore, questa crisi colpisce tutto il mondo, non è solo un fenomeno europeo?
R. Guardi che le statistiche sono inequivocabili. Nel decennio 2000-2010 l’Italia, nella classifica dei 30 Paesi del mondo con minore crescit figurano, al terzo posto, l’Italia, al decimo la Germania e, in 14ma posizione, la Francia. E ci sono altri dieci Paesi euro, in tutto quindi 13,. Il tasso di sviluppo del Pil mondiale, riferito ad una popolazione che supera i 7 miliardi, ha raggiunto nello stesso decennio, in ben tre anni, il 5 per cento. E negli anni dal 1950 al 1990, Italia, Germania, Francia erano, escluso il Giappone, i primi nel mondo tra i Paesi democratici.
D. Nessun rimedio, quindi?
R. Bisogna che gli Stati euro si riapproprino della sovranità politica. Come dice un proverbio, il diavolo fa le pentole ma dimentica spesso il coperchio.
D. In che senso, professore?
R. Gli Stati possono riappropriarsi della sovranità economica facendo valere il diritto di rinunciare alla condizione di Stato senza deroga per acquistare l’altro, egualmente previsto dal Trattato, di Stato con deroga, di Stato cioè che si avvale della propria moneta.
D. Sì, però tutti dicono che, nelle attuali condizioni dei mercati mondiali, lo Stato che ritornasse alla propria moneta, ne uscirebbe con le ossa rotte.
R. È vero. L’operazione potrebbe riuscire solo se si raggiungessero dimensioni che consentano di reagire a pressioni esterne nocive e a produrre influssi a sé favorevoli.
D. E come?
R. Più Stati, nell’uscire dall’euro, potrebbero mettersi insieme per creare una nuova moneta comune, affidandone la gestione ad un governo politico egualmente comune.
D. Sarebbe sufficiente?
R. Se tre Paesi mediterranei si unissero con l’Italia, la nuova entità si collocherebbe al quarto posto nella classifica mondiale del Pil e al decimo posto per popolazione. Se si aggiungesse la Francia, la nuova entità sarebbe per Pil la seconda nel mondo, superata solo dagli Usa e sesta per popolazione. Risultati allettanti!
D. E il debito?
R. Negli Usa, nell’800, gli Stati confederati si federarono a causa dell’eccessivo debito, che su di loro gravava. La Federazione, appena creata, divenne uno degli Stati più ricchi e forti nel mondo.
D. Progetto suggestivo, professore, ma da dove si comincia?
R. Il mio compito si limita all’analisi dei fattori e dei loro effetti: i passi ulteriori spettano ai cittadini europei, alle collettività che compongono la zona euro e l’Unione, ai Governi.
D. Sarà realizzabile?
R. La fantasia al potere! Non è stato questo lo slogan di molte generazioni? Che la fantasia cominci ad esercitarsi.