Ugo Bertone, Libero 25/10/2013, 25 ottobre 2013
LE BANCHE TEDESCHE PEGGIO DELLE NOSTRE
Lo studente Italia è volonteroso, s’impegna. Ma dovrà faticare non poco per conquistare la sufficienza in due materie, tra le più importanti: la qualità dei crediti ed esposizione al debito pubblico, due pilastri dell’esame che per un anno impegnerà i 130 istituti bancari più importanti d’Europa, tra cui 15 italiani. È questa la realtà che emerge dal tabellone all’inizio dell’anno scolastico più impegnativo della storia bancaria italiana, nonché europea. Un anno impegnativo, come non si stanca di ripetere il «preside» Mario Draghi, il grande regista dell’operazione che, se tutto andrà bene, avrà promosso banche solide e ben capitalizzate, in grado di sostenere la ripresa. «È necessario – ha detto lo stesso Draghi – che una parte delle banche non passi l’esame, altrimenti la prova non sarà considerata significativa». Ma qual è a situazione delle banche di casa nostra? Ha ragione Banca d’Italia a ripetere che i nostri istituti possono stare tranquilli? E chi pagherà, alla fine, il conto se emergerà la necessità di aprire il portafoglio?
a) A prima vista in quanto a qualità dei crediti, all’apparenza siamo proprio messi male. Secondo le elaborazioni di R&S di Mediobanca, su 100 milioni di crediti lordi erogati dalle prime 5 banche italiane ben 14,2 milioni sono andati a male. Per intenderci tre volte di più delle banche tedesche (ove la percentuale è solo del 4,2%), addirittura sei volte tanto le banche olandesi (incagli e sofferenze al 2,3%). In questa classifica negativa primeggia, si fa per dire, Banca Mps (un euro prestato su cinque è andato in fumo) seguito dal Banco Popolare, ancora alle prese con le disavventure della Popolare di Lodi targata Fiorani. Ma anche i Big Unicredit ed Intesa non se la passano benissimo. Anche se va detto che, a fronte dei crediti dubbi, Unicredit ed Intesa sono assai più solidi di colossi come Deutsche Bank o Commerzbank. Ma, se guardiamo alle regole, è lecito nutrire qualche speranza in più qualche soprattutto, la classifica potrebbe se la Banca d’Italia valutasse i crediti deteriorati con lo stesso metro di giudizio di altri sistemi, questi scenderebbero dal 12,4 all’8,5% . Lo stesso vale per i «crediti ponderati per i rischi» cioè il capitale da accantonare a fronte degli impieghi, più rigoroso in Italia che, ad esempio, in Spagna. Tanto per intenderci, in Italia sono considerati crediti deteriorati anche quelli non pagati ma interamente coperti da garanzie reali. Non solo. Sono classificati crediti deteriorati per due anni anche quelli già oggetto di una ristrutturazione mentre da altre parti sono subito riclassificati per buoni. In sintesi, non siamo messi bene, perché paghiamo com’è inevitabile, il prezzo di cinque anni che hanno mandato in fumo un quarto della produzione industriale. Ma non partiamo bocciati in partenza. Anche se per gli ultimi della lista si dovrà metter mano al portafoglio. Per non parlare di Monte Paschi, che di sicuro dovrà trovare al più presto 2,5 miliardi.
b) Non meno delicato il capitolo dei titoli di Stato. I forzieri delle banche italiane (soprattutto Mps, Banco Popolare, Ubi ed Intesa) ne sono zeppi. Come verranno giudicate in occasione dello stress test? Ancor prima degli esami, del resto, si sa che le nostre banche stanno in piedi nella congiuntura attuale, ma non reggerebbero ad un nuovo, pesante calo di Bot e Btp (più di 400 miliardi in pancia). E se la «prova da sforzo» imposta dagli ispettori della Bc sarà rigorosa (come lo sarà), qualche banchiere nostrano rischierà l’infarto.
c) Ma anche le banche del Nord hanno i loro problemi: la parigina Bnp Paribas ha in pancia titoli tossici che coprono il 34% degli asset, eredità degli anni della finanza facile. I derivati coprono un quarto dell’attivo del Crédit Agricole. Del resto, le regole sono così ballerine che non è facile un raffronto: un mutuo di 100 mila euro richiede un grado di copertura di 14 mila euro in Olanda, 20 mila in Italia, 35 mila in Spagna dove ormai la parola mutuo è proibita.
d) I numeri, insomma, spiegano molto ma non tutto, vista la base disomogenea. Il primo compito di Draghi è proprio quello di imporre regole comuni, con una gigantesca operazione trasparenza. Il secondo, fin da stasera, è capire chi pagherà il conto. Dalla Germania filtrano richieste aggressive e pericolose: si chiede che le perdite vengano caricate sia agli azionisti che ai portatori di obbligazioni (e Draghi è già insorto); si tergiversa sul ruolo del fondo comune Ems, istituito proprio per intervenire a favore delle crisi bancarie. Insomma, ci sarà da litigare. Probabilmente fino all’ultimo, ovvero ottobre 2014. Ma ne vale la pena: se ci sarà un compromesso avremo un sistema bancario europeo, se non più robusto, meno fragile di oggi. E si potrà parlare di ripresa.