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 2013  ottobre 23 Mercoledì calendario

COM’È STRANO (MA BELLO) L’UNIVERSO CHE ACCELERA

Molte cose sono accadute in 14 miliardi di anni di storia cosmica. Tuttavia, ne tralascerò alcune: i re, le nazioni e anche i pianeti.
Di recente - spiegherò il prossimo 3 novembre al Festival della Scienza di Genova - abbiamo scoperto i due terzi dell’Universo. Non sotto forma di stelle luminose e nemmeno dell’invisibile materia oscura, che genera le stelle visibili. La maggior parte del cosmo è una misteriosa «energia oscura», che potrebbe essere una proprietà intrinseca dello spazio vuoto. L’energia oscura produce un’accelerazione cosmica sorprendente che fa sì che l’Universo si espanda. Anche se quest’idea è sorprendente, non è affatto una fantasia: si basa sull’osservazione di stelle che esplodono nelle galassie da una parte all’altra del cosmo stesso.
Così come accade con la materia oscura non sappiamo molto dell’energia oscura: se ne deduce l’esistenza dai suoi effetti sul mondo visibile. Viviamo in una realtà il cui sviluppo e il cui destino si basano sull’equilibrio tra questi due enigmi, materia oscura ed energia oscura. Solo il 5% dell’Universo è materia ordinaria, vale a dire ciò di cui sono fatti la Terra, il Sole, la tavola periodica e il nostro corpo. L’Universo visibile è governato dall’invisibile. Ed è dominato da forze che abbiamo appena iniziato a scoprire e che siamo lontani dal comprendere. Ma l’ignoranza è un’opportunità: studiare il lato oscuro del tutto è una sfida irresistibile per la scienza del XXI secolo.
Nel 2011 il Premio Nobel per la Fisica è stato assegnato a Saul Perlmutter e ai miei ex studenti Brian Schmidt e Adam Riess per «la scoperta dell’accelerazione dell’Universo attraverso le osservazioni di supernovae lontane». Vado a Genova, in occasione del Festival della Scienza, per spiegare questa incredibile e bellissima scoperta.
Il Sole è un cittadino della Via Lattea, molto simile agli altri vortici cosmici di circa 100 miliardi di stelle. Le stelle hanno una vita molto lunga rispetto alle persone, ma non durano per sempre. La maggior parte, semplicemente, svanisce, anche se alcune hanno una fine esplosiva. Per circa un mese una sola stella che esplode - una supernova - brilla con la luminosità di 4 miliardi stelle simili al Sole e poi sfuma nell’oscurità. Sono queste esplosioni a illuminare la via alla comprensione della storia dell’Universo. Misurando la luminosità delle eruzioni, gli astronomi possono calcolare la distanza dalla supernova stessa. La distanza è quanto di più difficile da misurare: una lucciola, un aereo, un pianeta e una stella remota possono avere tutte la stessa luminosità apparente e, quindi, bisogna sapere che cosa si stia guardando e farlo correttamente.
Le supernovae di tipo «Ia» sono i nostri migliori parametri di valutazione, perché sono estremamente luminose e perché, dopo i necessari aggiustamenti empirici da parte degli esperti, hanno una piccola variazione di luminosità. Combinando queste misurazioni di distanza con quelle del moto cosmico, gli astronomi possono tracciare la storia dell’espansione dell’Universo.
Noi non vediamo mai il mondo così com’è, ma vediamo sempre le cose com’erano. La luce, infatti, viaggia alla velocità della luce. Per i poeti è una metafora per «veramente veloce». Ma agli astronomi il procedere della luce attraverso il cosmo appare dolorosamente lento e rende i telescopi insensate macchine del tempo che possono solo sondare la storia cosmica. La luce percorre un «piede» (l’unità di distanza utilizzata negli Usa e che equivale a 30 centimetri) in un nanosecondo, vale a dire un miliardesimo di secondo.
Nella vita di tutti i giorni gli sfasamenti introdotti dalla velocità della luce sono impercettibili. In ambito astronomico, però, sono molto importanti. Quando guardiamo oggetti distanti, vediamo la luce del passato. Di notte, nella Via Lattea, le luci che si vedono hanno lasciato le stelle da cui emanano da pochi anni o anche da alcune centinaia. La misura massima della Via Lattea è di un centinaio di migliaia di anni luce. Ma la luce che si vedrà stasera, anche quella delle galassie più vicine, è molto più antica. Risale a qualche milione di anni fa. Con i telescopi di oggi, tra cui quello spaziale «Hubble», è possibile rilevare la luce proveniente dalle galassie emessa miliardi di anni fa, gettando così uno sguardo sul tempo in cui l’universo era giovane. È dagli Anni 20 del XX secolo che gli astronomi hanno iniziato ad accumulare le prove che le galassie si stanno allontanando da noi e che quelle più lontane si allontanano più rapidamente. Questo è proprio ciò che ci aspettiamo da un Universo che si estende verso l’esterno in modo uniforme in tutte le direzioni.
Sebbene la maggior parte degli studenti e il corpo docente del mio istituto credano di essere al centro dell’Universo, la scoperta di Hubble non significa affatto che siamo al centro di tutto.

La nostra visione più democratica (e umile) è che in ogni galassia gli astronomi avrebbero sempre lo stesso punto di vista. Un Universo che si estende in tutte le direzioni apparirebbe a ogni astronomo, in ogni galassia, come se le altre galassie si allontanassero: più lentamente quelle vicine e più rapidamente quelle lontane.
L’obiettivo degli astronomi - come me - è scoprire in quale tra i possibili universi viviamo. La storia del nostro sarebbe governata da un tiro alla fune tra la gravità, che cerca di rallentare l’espansione cosmica, e l’energia del vuoto, che con la sua bizzarra pressione negativa ed espansiva cerca di accelerare il processo. Nel corso del tempo l’espansione cosmica diluirebbe la densità della materia, ma l’energia del vuoto rimarrebbe la stessa e, quindi, l’equilibrio tra i due elementi muterebbe. In un primo momento la gravità avrebbe il sopravvento e l’espansione potrebbe rallentare, poi, a un certo punto, la qualità elastica del vuoto prevarrebbe e si tornerebbe all’accelerazione cosmica. L’effetto dell’accelerazione (o della decelerazione) sarebbe visibile sotto forma di deviazioni dalla linea retta nel diagramma di Hubble, ogni volta che guardiamo indietro nel passato.
Se l’Universo rallentasse mentre la luce segue il proprio tragitto, la distanza percorsa sarebbe un po’ più piccola di quanto non sarebbe se il cosmo procedesse per inerzia e quindi una supernova apparirebbe un po’ più luminosa per via dello spostamento nello spettro verso il rosso. Se invece l’Universo accelerasse, allora la luce dovrà percorrere una distanza extra e una supernova apparirà un po’ meno luminosa. Ciò che bisogna fare, perciò, è misurare un numero sufficiente di supernove per capire l’effetto in corso.
Nel ’97 il mio ex studente Adam Riess, allora a Berkeley, continuava a chiamarmi, dicendo di aver trovato una «massa negativa». Gli risposi che stava sbagliando. Ma, alla fine, non c’era alcun errore. La «massa negativa» registrata nel suo quaderno è stata il primo segnale che l’Universo non rallenta, come tutti si aspettavano. Sta accelerando. Ed era sorprendente. Era come se, gettando una palla da baseball in aria, questa, invece di descrivere un arco e tornare nel guantone, salpasse verso la stratosfera. Le osservazioni, in effetti, tendevano a confermare l’accelerazione dell’Universo: quello dove l’energia oscura si comporta in modo simile alla vecchia costante cosmologica di Einstein.
Molte prove, e convincenti, indicano un cosmo dominato dall’energia oscura. Le increspature nel bagliore prodotto dal Big Bang suggeriscono un Universo piatto, in cui si sommano la materia oscura e l’energia oscura. E le misure di molti ammassi di galassie forniscono un segnale sulla quantità di materia oscura. Così, quando si combinano tanti elementi di prova distinti, c’è una notevole convergenza su una sola immagine dell’Universo.
L’ignoranza è un’opportunità. Dobbiamo impegnarci a costruire gli strumenti necessari per indagare un cosmo così sorprendente (e strano). Dove solo per il 5% è in forma di elementi chimici. L’altro 95% è qualcosa di diverso, che si trova nel dominio della fisica e dell’astronomia.
Nei prossimi decenni cercheremo di scoprire se l’energia oscura è davvero la costante cosmologica che Einstein ha discusso nel 1917. Ho cominciato a sviluppare alcuni metodi per misurare le distanze cosmiche che utilizzano la luce a infrarossi delle supernove. La prossima generazione di telescopi a terra sarà tarata per scoprirle e il telescopio spaziale «James Webb Space Telescope» è stato progettato per operare proprio sull’infrarosso e si tratta di una direzione molto promettente per lo studio dell’energia oscura. Abbiamo anche in programma di costruire il più grande telescopio del mondo, il «Giant Magellan Telescope», per sondare il passato remoto. Forse ci aspettano altre sorprese e altri Nobel!
(traduzione di Carla Reschia)