varie, 24 ottobre 2013
INCIDENTE MILANO PER IL FOGLIO DEI FOGLI
la Repubblica, lunedì 21 ottobre
È stata travolta mentre attraversava viale Famagosta, a Milano, assieme al figlio di quattro anni, incinta al settimo mese. Teneva in mano un sacchetto di plastica blu, pieno di vestiti del bambino, che sono volati e si sono sparpagliati sull’erba dell’aiuola che fa da spartitraffico al centro del viale. Lei, una egiziana di 29 anni, sposata con un connazionale, aveva deciso di attraversare invece di imboccare il sottopasso che c’è da ambedue i lati: da quello della stazione della metropolitana di Famagosta e dal lato opposto, dove c’è la fermata dell’autobus. A domenica sera non era ancora chiaro alla polizia locale da quale lato provenisse la donna che è stata centrata in pieno da una Citroen C3 Picasso nera guidata da un milanese di 28 anni che subito dopo l’impatto si è fermato e ha chiamato il 118. L’auto, però, porta chiari ed evidenti i segni di una forte botta sul paraurti e sul cofano, lato guidatore. È presumibile, dunque, che la donna stesse attraversando in direzione della metropolitana. Fosse così, dopo aver attraversato le prime corsie (senso di marcia per le automobili verso la periferia), raggiunta l’aiuola dello spartitraffico doveva aver appena messo il piede sulla carreggiata per attraversare il resto del viale quando è stata investita dalla Citroen che andava in direzione del cavalcavia di piazza Maggi.
Incredibile quello che è successo al bambino di quattro anni: l’urto, violentissimo, lo ha fatto volare per oltre cinquanta metri. Il corpo del bambino è finito tra i due muretti di cemento bianchi, che alla fine dell’aiuola continuano a fare da spartitraffico e a dividere le carreggiate di viale Famagosta. Inizialmente nessuno si è accorto di lui. La prima a essere soccorsa sull’asfalto è stata la donna, subito identificata. Quando è stato rintracciato, è stato il marito ad avvisare che la signora, subito in arresto cardiaco, non era sola: «C’è anche un bambino di quattro anni – ha detto l’uomo – cercatelo». E in effetti il piccolo è stato trovato lì, protetto dalle auto dai due muretti. Ma purtroppo quando sono arrivati i soccorritori del 118 era già in arresto cardiaco. Le manovre rianimatorie – massaggio cardiaco eseguito sul posto con l’aiuto della luce delle pile — sono andate avanti molto a lungo, prima della resa e mentre gli uomini della polizia locale cercavano di consolare il padre del bambino, che si accasciava sull’erba, piangeva e gridava «dov’è il bambino?». Nel frattempo alla donna incinta — gravissima — all’ospedale San Paolo veniva eseguito un taglio cesareo. Nasceva una bambina, ma in arresto cardiaco. Si è tentato per ore di salvare la vita a lei e alla madre. Ma non c’è stato niente da fare.
Simone Bianchin
Corriere della Sera, martedì 22 ottobre
Il rumore dello schianto, i corpi che spariscono lontano scagliati dal cofano dell’auto, oltre 20 e 50 metri più in là. E tutto che cambia in un istante. «Non ho visto niente, ho sentito solo un botto violentissimo, all’improvviso». Roberto Andrea Luciano, 28 anni, sta andando a prendere la fidanzata in stazione. Finita la partita di pallacanestro, doccia a casa, si mette al volante esce dal posteggio imbocca Viale Famagosta. Semaforo verde, alla sua sinistra corre un’aiuola spartitraffico, senza protezioni, quei new jersey, che poco più in là conducono la strada giù verso un tunnel. Poi il botto, l’anteriore distrutto, Roberto inchioda cento metri avanti. Scende e si volta, a terra il corpo di una donna. Incinta. L’altra vittima, un bimbo di quattro anni, verrà scoperto solo un’ora più tardi. Come un mantra disperato, dice: «Non ho visto niente». Tutto cambia. E ora Roberto è indagato per omicidio plurimo colposo.
Il giorno dopo la morte di una giovane egiziana, Magda Niazy Sehsah, di 28 anni, della piccola che da sette mesi aveva in grembo e del figlio di quattro anni, Roumando detto Yassè, la voce di Roberto, al citofono, è sconvolta. Rimbomba nei cortili silenziosi del palazzo popolare. Mattoni rossi e fatiscenza. L’aria è spettrale sui casermoni, Roberto cerca pace dopo una notte terribile. Prova a dimenticare quell’attimo che gli ha cambiato la vita. «Non avevo mai fatto un incidente, mi sento malissimo, non oso immaginare cosa provi il marito e padre delle persone che ho investito». Non era né ubriaco né sotto effetto di droghe, Roberto, l’hanno provato i test. Solo un «bravo ragazzo», laureando in Scienze biologiche, impiegato in laboratorio clinico, sportivo semiprofessionista che gioca a basket in una squadra di Serie C. Che vive a poche centinaia di metri da quell’angolo che ricorderà per sempre.
Chiede di lasciarlo tranquillo, «meglio contattare i miei avvocati», Agostino Rubelli e Giorgia Gatto. «Come poteva evitare l’incidente?» dicono, «quello è un incrocio maledetto». E infatti, ieri mattina, ancora i pedoni attraversano in quel punto senza strisce, ma con un sottopassaggio snobbato. Non c’è pioggia né buio né foschia, come domenica, ma nonostante l’illuminazione a giorno, solo l’idea di attraversare fa paura, tra le due carreggiate di entrata e uscita dal tunnel e di salita e discesa dal cavalcavia che conduce in tangenziale. Ma ancora ci sono quelli che passano, incuranti dell’incidente che poche ore prima ha spezzato una famiglia. Agli agenti di polizia locale impegnati nei rilievi sotto gli occhi del comandante Tullio Mastrangelo, i passanti chiedono: «Com’è possibile lasciare aperto un attraversamento così rischioso», dove la velocità è alta, nonostante il limite a 50 km/h? E se dal Codacons parte il j’accuse al Comune per la mancanza di autovelox, il buon senso dei vigili riconosce: «Basterebbe una siepe o una protezione per impedire il passaggio dei pedoni».
Le due facce della tragedia ruotano intorno al luogo dell’incidente. L’abitazione del marito e padre delle vittime ha una distanza speculare rispetto alla casa della famiglia Luciano. Solo che è vuota. L’uomo, Orabi Emad Gadalla Ghaly, un cuoco egiziano 35enne, è in obitorio, dove i corpi dei familiari attendono l’autopsia. Tornerà poco più tardi dal fratello, stretto ai parenti e ai cugini, la famiglia rimasta, la comunità copta ortodossa in un piccolo appartamento tra panni stesi e l’italiano che stenta. Dal suo consolato hanno contattato l’avvocato Domenico Musicco dell’Avisl (Associazione vittime di incidenti della strada, sul lavoro e della malasanità): «Abbiamo offerto la nostra assistenza legale gratuita – spiega – ora bisogna però valutare anche la velocità dell’auto».
Giacomo Valtolina
Corriere della Sera, martedì 22 ottobre
Non c’è dubbio che l’automobile andasse troppo veloce, come non c’è dubbio che la mamma in attesa abbia attraversato, con il bambino per mano, quella specie di autostrada che è viale Famagosta, lontana dalle strisce pedonali; e nemmeno c’è dubbio che la strada sia per troppo tempo stata lasciata senza un dispositivo utile a frenare il traffico, costringendo a un limite di velocità almeno ragionevole visto che siamo ancora in città. In più, erano le sette di sera e, dunque, buio quasi totale in questa stagione.
Se non ci fossero tre morti – una giovane donna e i suoi due bambini, uno dei quali non ancora nato – che inevitabilmente costringono a prendere le loro parti, le parti dei più deboli, si vorrebbe quasi dire che la tragedia dell’altra sera alla Barona è stata un mix di incoscienza e di micidiale fatalità. Posto che correre troppo in automobile resta, comunque, il grande, imperdonabile e assai troppo diffuso misfatto, tuttavia, quanti sono coloro che non corrono, quanti non hanno mai corso, specialmente lungo un’arteria come quella che somiglia pericolosamente a una superstrada? Non tutti coloro che corrono sono dei criminali, non tutti sono dei pirati, lo sappiamo fin troppo bene, come non tutti coloro che corrono sono strafatti di alcool o di droga.
Difficile, perciò, non considerare che c’è anche una quarta vittima dell’incidente, il conducente dell’auto assassina (che non è scappato ma si è fermato e ha chiamato i soccorsi) cioè. Colpevole, ovviamente, di omicidio colposo, però certamente insieme vittima: del buio che impediva la vista e dell’imprudenza, sua e della poveretta che ha falciato. Vittima sia pure di secondo grado, perché lui è vivo e gli altri no, ma comunque condannato a uno strazio profondo e lungo, forse incancellabile. Uccidere un bambino e una donna incinta non può lasciare indifferente una persona normale, molto probabilmente costretta a non dimenticare mai più quei corpi straziati sull’asfalto, il lago di sangue e le povere cose rimaste in strada, una scarpa, una borsetta, un indumento, pezze d’appoggio di vite cancellate nel breve istante di una domenica sera.
Pietà si vorrebbe, dunque, chiedere anche per il principale responsabile della tragedia – l’uomo che correva troppo – condannato per sempre dal ricordo, punizione ben più dura di quella che mai lo Stato gli potrebbe infliggere.
Isabella Bossi Fedrigotti
ilsole24ore.it, martedì 21ottobre
La commozione è tanta, quando – come è accaduto domenica sera a Milano – muore una mamma con un nascituro di sette mesi e il primogenito di quattro anni. Se poi il guidatore che li travolge è un giovane, apriti cielo. E così si avvia il baraccone di articoli e comunicati stampa, che vi lascio leggere da soli. Credo sia più produttivo fare un paio di riflessioni su altrettanti particolari.
1. I bambini investiti sono relativamente pochi: per il 2012, l’Asaps ne ha censiti 14. Molto più preoccupante è il bilancio dei bambini morti nello stesso periodo in incidenti nei quali erano passeggeri di un veicolo (di un’auto, quasi sempre). E queste tragedie accadono perché siamo genitori attenti a non far prendere il minimo colpo di freddo a nostro figlio, ma poi non lo allacciamo correttamente al seggiolino (peraltro obbligatorio per legge fino a quando il bimbo arriva a essere alto 1,50). Spero che le cifre dell’Asaps smuovano almeno qualche genitore. Ne basta uno, come diceva Oskar Schindler a proposito degli ebrei salvati dai rastrellamenti nazisti.
2. Il Codacons evidenzia che dal 2003 Milano si era data un piano di controllo della velocità con postazioni fisse nei tanti viali veloci, come appunto viale Famagosta dov’è avvenuto l’incidente ieri sera. Giusto stigmatizzare che quel progetto si è arenato. Ma sembra incredibile che ora il Codacons tiri la volata al Tutor, dicendo che è più efficace degli apparecchi che rilevano la velocità in un solo punto. Ciò è verissimo: il Tutor tiene sotto controllo un intero tratto, mentre i controlli puntuali non evitano che si riacceleri dopo la postazione. Ma questo non vale in città: i viali di solito sono interrotti da semafori, quindi non c’è troppo spazio per riaccelerare. Quindi mettere il Tutor in città significa spendere molto di più per ottenere risultati solo di poco migliori. Tanto che chi lo ha fatto sinora (Torino) ha lasciato sospetti che l’appalto non fosse così limpido, anche perché ha violato il Codice della strada. Purtroppo il caso vuole che il Codacons sia anche tra le associazioni che Autostrade per l’Italia (che il Tutor lo ha introdotto per prima sulle strade italiane e adesso lo vende ad altri) ha fatto accomodare nella sua Consulta per la sicurezza e la qualità del servizio e che non abbia fiatato sulla sicurezza delle autostrade dopo che 40 persone sono morte precipitando con un autobus da un viadotto la cui manutenzione era quantomeno dubbia.
Maurizio Caprino
la Repubblica, mercoledì 23 ottobre
«Mia moglie non voleva fare quel sottopassaggio, non voleva scendere e poi risalire le scale, le mancava sempre l’aria. Era al settimo mese di gravidanza, teneva in una mano Roumando, che aveva solo cinque anni, e nell’altra aveva le borse della spesa. Perciò ha attraversato il viale». Emad, 35 anni, aiuto cuoco, è l’uomo che domenica sera in viale Famagosta ha perso la moglie Magda, il figlio Roumando e una bambina che i medici hanno tentato di salvare con un disperato taglio cesareo al San Paolo. È a casa del fratello Naeim, in via De Sanctis, al quartiere Stadera, assieme ai suoi cugini, tutti seduti in preghiera. Sono sconvolti, aspettano l’esito delle autopsie che verranno eseguite domani sulla donna e sul bambino, disposte dalla procura per capire se Roumando – trovato oltre un’ora dopo l’impatto – poteva essere salvato. «Chiedevo dov’è il bambino, dov’è il bambino, e lui era a pochi metri da me. Volato lì e nascosto, da quanto tempo... Un incidente troppo grave!». Ricostruisce la giornata della sua famiglia spezzata: «La mattina mia moglie era andata a messa e poi a trovare suo fratello, che abita fuori Milano. Per tornare a casa aveva preso la metropolitana a Cologno Monzese ed era scesa alla stazione di Famagosta. Da lì doveva prendere l’autobus della linea 95 per Lorenteggio e venire a casa, una casa che ho comprato con il mutuo in attesa della bambina che sarebbe nata fra un mese e mezzo».
Emad si è fasciato la testa avvolgendosi una sciarpa attorno alla fronte in segno di lutto. La famiglia vuole portare in Egitto le tre salme: «Nella nostra città di origine, Asiut, sul Nilo, dove ci sono la mamma e il papà di Emad». Non pensano, «almeno non per ora», di fare il funerale a Milano. Qui Emad era arrivato dieci anni fa mentre la moglie Magda solo da due: «Lei è arrivata col bambino che aveva solo tre anni, per ricongiungimento familiare. Lo aspettava da anni – racconta Sadek, cugino di Emad, cameriere – Faceva la casalinga, come in Egitto. Qui aveva iniziato la scuola per studiare l’italiano e anche il piccolo stava imparando, lo aveva iscritto all’asilo e l’anno prossimo sarebbe andato in prima elementare».
Roberto Andrea Luciano, il ventottenne che li ha investiti con la sua Citroen C3 Picasso nera, si era fermato a metà del tunnel sotto al cavalcavia di piazza Maggi, poi era tornato indietro e aveva chiamato i soccorsi. Gli avvocati che lo difendono, Agostino Rubelli e Giorgia Gatto, hanno detto che stanno valutando «eventuali richieste risarcitorie nei confronti del Comune di Milano» in quanto proprietario della strada. La donna aveva attraversato in un punto in cui la carreggiata non è chiusa da un guard rail, l’auto l’ha proiettata contro lo spartitraffico. Il bimbo è finito 15 metri più in là, all’interno del new jersey. L’avvocato di Emad, Domenico Musicco, presidente dell’Associazione vittime di incidenti della strada, chiede una perizia per stabilire la velocità della macchina.
Simone Bianchin
Corriere della Sera – Milano, giovedì 24 ottobre
Il pubblico ministero Marcello Musso, dopo un sopralluogo mercoledì mattina nel punto dell’attraversamento letale tra la fermata della 95 e l’ingresso nella stazione della linea verde del metrò (che peraltro continua a essere utilizzato dai pedoni anche in questi giorni), ha disposto accertamenti per verificare se vi siano stati «ritardi o negligenze» da parte degli agenti di polizia locale intervenuti. La Procura, inoltre, indaga «sull’eventuale non conformità» dei divisori al centro di viale Famagosta «rispetto alle norme di sicurezza» previste.
L’altro elemento cruciale da appurare sarà la velocità a cui l’automobile stava viaggiando prima di travolgere una donna incinta e il bimbo che portava per mano. L’avvocato del marito delle vittime, Domenico Musicco, ha nominato un proprio consulente medico, il professore Alfonso Addirizzito.
Giacomo Valtolina