Paola Jacobbi, Vanity Fair 16/10/2013, 16 ottobre 2013
GRAZIE VALENTINO, MI HAI SVEGLIATO
[Giancarlo Giammetti]
Il libro comincia con una dichiarazione bella e impudica, perché svela, in poche parole, l’inevitabilità dell’amore e del nostro arrenderci alla sua prevalenza.
Scrive Giancarlo Giammetti: «Ho sempre pensato che la mia vita sia iniziata quando ho incontrato Valentino. Ovviamente non è vero, perché allora avevo già 22 anni. Ma è come se, senza saperlo, io fossi stato mezzo addormentato per tutta la mia infanzia e adolescenza, in attesa che qualcosa di speciale mi accadesse. E quando è successo, mi sono svegliato». Giammetti e Valentino sono stati una coppia, in tutti i sensi, per alcuni anni. Sono stati compagni di lavoro complementari fino alla vendita dell’azienda e al ritiro dello stilista dalle scene. Ma sono e saranno fino alla fine un’unità di affetto e intesa per descrivere la quale bisognerebbe inventare una parola che non esiste in italiano e nemmeno in inglese o francese, lingue che i nostri cosmopolitissimi eroi maneggiano alla perfezione.
Senza retorica né nostalgia, Giancarlo Giammetti ha scritto questo libro intitolato Private (edizioni Assouline) che è, ça va sans dire, un meraviglioso oggetto editoriale da adornarci tavoli di design. Le immagini sono straordinarie e inedite: quasi tutte fotografie scattate dallo stesso Giammetti, ricordi personali, pagine di diario riprodotte sotto forma di collage, decine di Polaroid, istantanee di una vita che pare una vacanza perpetua a dieci stelle, un caleidoscopio di centinaia di facce famose. Pensate un personaggio, uno qualsiasi e lo troverete. C’è persino Cat Stevens quando si chiamava ancora Cat Stevens, per dire.
Accanto alle immagini ci sono i racconti di Giammetti, tutti sinceri e disarmanti come quella frase dell’incipit. Si delineano i molti personaggi di questa tribù dei «Valentinidi», tra cui spiccano Carlos Souza (brasiliano, ex modello, responsabile tuttora dei rapporti con le celebrity) e i suoi figli Sean e Anthony, due ragazzi che Giammetti e Valentino considerano i loro nipoti.
E poi ci sono un mucchio di aneddoti. Nell’imbarazzo della scelta, segnalerò la storia della madre di Marie Hélène de Rothschild che, arrivata dall’Egitto a Parigi in cerca di un marito ricco, andava a tutti i funerali dell’alta società per conoscere gente senza aver bisogno di essere invitata. (Riuscì nell’impresa: sposò il barone milionario Egmont van Zuylen). Altri racconti sono teneri e malinconici, come quello sulla madre di Giammetti che chiede a qualche amico di suo figlio e di Valentino di andarle a comprare una giacca di Armani «ma senza farlo sapere a Giancarlo, ci resterebbe male».
Giammetti mi riceve a Londra. Fuori, sulla prestigiosissima Cadogan Square batte il sole. Sopra la scrivania che ci divide oscilla una delle sculture «mobili» di Alexander Calder.
Di lei si sapeva pochissimo, quasi nulla. E adesso è come se avesse aperto a tutti le porte di casa o, visto il mescolare di immagini e pensieri, un profilo Facebook molto dettagliato.
«Sono stato così tanti anni ostinatamente nell’ombra che, esclusi quelli del mondo della moda, nessuno sa che faccia ho. Al punto che, spesso, la gente mi scambia per Ralph Lauren. È capitato anche di recente, nella boutique Ralph Lauren, per l’appunto. “Nice to see you, Mister Lauren”, mi ha detto un cliente, mentre io ero lì a fare acquisti. Comunque, per tornare al libro: da quando avevo 28 anni, ho sempre tenuto un diario. Sei righe, tutti i giorni. E ho sempre fotografato. Carlos Souza mi ha messo in testa l’idea di andare a riprendere tutto questo materiale e farne un libro. Ma il coraggio di raccontarmi me l’ha dato davvero il documentario di Matt Tyrnauer, Valentino. L’ultimo imperatore».
Presentato al Teatro La Fenice a Venezia nel 2008, in seguito alla vostra uscita dall’azienda.
«Proprio così. Vedemmo il film in anteprima, in una proiezione privata e lo detestammo. Appena usciti, Valentino era furente e io stavo già al telefono con gli avvocati. Poi, per fortuna, i nostri nipoti Sean e Anthony ci hanno fatto cambiare idea. Ci hanno detto che il film era moderno, divertente, che ci umanizzava, che non c’era niente di cui essere imbarazzati».
Fu un trionfo.
«Che ha avuto strascichi imprevedibili. Pensi che poche settimane fa a New York ho incontrato i due produttori della serie Tv Smash che mi hanno proposto di fare un musical su di noi».
Fantastico, non vedo l’ora!
«Eh, ma non lo faremo, figuriamoci. Comunque, questi due mi hanno detto che, grazie a quel film, abbiamo aperto una porta a migliaia di persone, che abbiamo dato dignità a un rapporto tra due uomini, un rapporto serio che contempla la costruzione di un impero economico ma anche di una vita familiare insieme. Queste reazioni mi hanno dato il coraggio e la motivazione di aprire, con il libro, queste mie “stanze” che erano sempre state chiuse. E pazienza se qualcuno lo troverà scandaloso».
Lei racconta che, in fondo, non è stato difficile fare accettare ai suoi genitori la sua relazione con Valentino.
«Con mia madre è stato facile: aveva il pallino della moda e il fatto che Valentino entrasse nella sua vita, attraverso di me, la rallegrò moltissimo. Con mio padre, ovviamente, tutto più complicato. Però, nel giro di poco tempo, i miei sono diventati amici dei genitori di Valentino che si erano trasferiti a Roma. In particolare, le due mamme sono state amiche per tutta la vita».
Come si chiamava la sua mamma?
«Il suo vero nome era Gottarda, pensi un po’, in onore del tunnel del San Gottardo. Ma per tutti è stata sempre Lina».
E la madre di Valentino?
«Virginia. Ma si faceva chiamare Teresa. Non mi chieda perché».
Valentino ha vestito dive di Hollywood di tante epoche, generazione dopo generazione. Non vorrei sembrarle brutale ma le chiedo: una
Anne Hathaway o una Gwyneth Paltrow quanto valgono rispetto alle grandi del passato?
«Tempi diversi, modi di lavorare e vivere diversi. Penso alle case di Elizabeth Taylor o di Audrey Hepburn. Erano case vissute e non studiate. Oggi le attrici sono a girare un film in Tanzania e parlano al telefono con il decoratore che sceglie come arredare la casa!».
Decoratori per le case, stylist per l’abbigliamento.
«Proprio così. Arrivano all’ultimo momento e si trovano di fronte a decine di vestiti scelti da altri, portati lì da altri. Quando Julia Roberts vinse l’Oscar con quel Valentino nero e bianco, l’aveva indossato per puro caso. Stava uscendo di casa con un altro abito quando sua nipote Emma che, allora, era una ragazzina, prese il nostro vestito, un capo di otto anni prima che Carlos aveva aggiunto alla selezione perché gli era sembrato adatto».
Ci sono state polemiche sull’Oscar dell’anno scorso: Anne Hathaway avrebbe dovuto indossare un Valentino e poi, all’ultimo momento, ha «tradito».
«Eh, pazienza. È talmente amica nostra che le si perdona facilmente una piccola debolezza come questa».
Quando Valentino si è ritirato, la prima a sostituirlo è stata Alessandra Facchinetti. Ma è durata poco.
«L’avevo scelta io, penso che sia talentuosa e la trovo una persona molto carina. Però non sentiva abbastanza il mondo
Valentino. Lo scontento della proprietà era nell’aria già nei giorni della presentazione del famoso film a Venezia. E proprio la mattina dopo la proiezione, Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli vennero da me all’Hotel Monaco a dirmi che avrebbero avuto piacere a essere presi in considerazione per sostituirla. Ho sostenuto la loro candidatura e le cose stanno andando bene: mi fa molto piacere».
Come è cambiato, secondo lei, il mondo delle modelle?
«C’è stato un tempo in cui le si conosceva tutte per nome, adesso sono intercambiabili, non sappiamo chi siano. Dopo una sfilata di Valentino in cui c’erano Linda e Claudia, Naomi e Christy, Suzy Menkes scrisse che non era necessario avere tutte quelle ragazze così famose in passerella e che, anzi, era rischioso: avrebbero cannibalizzato i vestiti. Io comprai un pagina dell’Herald Tribune e ci scrissi «You’re wrong, Suzy». E adesso siamo arrivati a dove voleva lei, alle modelle ignote».
Che ne pensa Valentino del libro?
«Non mi ha ostacolato ma nemmeno particolarmente sostenuto. Ha letto le prime quindici pagine e mi ha detto che gli sono sembrate superficiali. Del resto, Valentino non è interessato alla carta. Mi dispiace dirglielo, ma del prodotto del vostro lavoro, dei giornali, non gliene importa niente. Per anni e anni, la mattina dopo una sfilata, si è ripetuta la stessa scena. Io che mi alzavo presto per leggere i giornali e lui che mi ignorava. Io insistevo, dicevo: “Senti cosa scrive Tizia”. Se era una cosa positiva, andava via senza dir nulla, se si trattava di una critica negativa, mormorava “stronza” e si dileguava».
Da quel che racconta lei, Valentino ha un caratteraccio. C’è l’episodio del lancio di un piatto di pasta durante una cena con ospiti a seguito di una discussione per il troppo o poco sale.
«Queste liti per futili motivi sono un classico, gli si scatena una rabbia furibonda e io continuo a punzecchiarlo ma tra il primo e la frutta è già tutto finito. Certo, se ci sono degli ospiti, restano senza parole».
E liti per cose importanti?
«Mai».
Nemmeno per gelosia? Avete avuto altri partner, eppure siete rimasti legati. Non devono essere state situazioni facili da gestire.
«Noi abbiamo messo da parte le gelosie di ogni tipo: sentimentali e professionali. Il problema, semmai, lo hanno avuto le altre persone che sapevano che, per stare con uno di noi due, dovevano rispettare il nostro legame indissolubile».
Devono essere stati tutti individui sicuri ed equilibrati.
«Abbastanza. Ma soprattutto c’è stato un grande impegno, in particolare mio, nel rassicurarli, nel non farli sentire tagliati fuori. Io non voglio drammi e gente con il muso intorno a me, io voglio vedere la gente felice. Soprattutto adesso. Ho lavorato tutta la vita. La moda è una guerra continua e mi ha tolto tante notti di sonno. Adesso voglio godermi la serenità».
Tante persone di cui parla nel libro non ci sono più. Se potesse riportare in vita qualcuno, chi sceglierebbe?
«Tra i nomi famosi, chi mi manca di più è Elizabeth Taylor. Era una donna vera, non come certe star irrigidite di oggi. L’ho vista piangere fino a disfarsi il trucco in un bagno piccolo così, una volta, a casa di Elsa Peretti. Aveva litigato per l’ennesima volta con Richard Burton e si disperava in un modo che stringeva il cuore. E poi era generosissima. C’è una foto, nel libro, che ho scattato io: ci sono lei e Valentino in una comunità di malati di Aids. Forse è la foto più preziosa e straziante di tutte, per me».
Posso chiederle quante volte al giorno vi sentite, lei e Valentino?
«A seconda dei fusi orari dove ci troviamo, dalle tre alle cinque volte».
Usate Skype?
«Io sì, spesso. Ma non per parlare con Valentino, figuriamoci. Non è capace».