Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  ottobre 24 Giovedì calendario

INTERVISTA A PINO APRILE

In Terroni aveva inserito un’annotazione sbalorditiva sul divario igienico fra Settentrione e Meridione nel 1860: «Quando i piemontesi razziarono la Reggia di Caserta e stilarono un inventario del bottino, scrissero di un oggetto non identificato a forma di chitarra: non avevano mai visto un bidè». Adesso è pervenuto a una conclusione opposta: «Il Sud puzza».
Viene dunque spontaneo chiedere a Pino Aprile, 63 anni, pugliese di Gioia del Colle cresciuto a Taranto, giornalista e scrittore, già direttore di Gente e vicedirettore di Oggi, di che cosa puzzi il Sud. E subito ti ritrovi avvolto da miasmi ammorbanti, tanto è abile nel descriverli: «Penso alla Piana del Volturno in Campania. La puzza totale. Di marcio, di malato, di paura, di morte. Erano i terreni più fertili d’Europa: quattro raccolti l’anno. Ne hanno fatto un immondezzaio, pieno di ecoballe, per nulla eco ma vere balle. Penso al fetore sulfureo del Centro oli Val d’Agri di Viggiano, in Basilicata. Ormai il 72 per cento della Lucania è stato destinato alle trivellazioni petrolifere, presto si faranno le riserve indiane per i pochi abitanti rimasti. Penso all’odore indefinibile dell’Ilva di Taranto, da nero arso secco a nero arso umido a seconda delle stagioni, qualcosa che ricorda alla lontana le scorie della bottega di un fabbro. Molto alla lontana».
Il Sud puzza è il titolo del nuovo libro di Aprile, uscito questa settimana per Piemme. «Lo presento il 25 a Orta di Atella, nella Terra dei fuochi descritta da Roberto Saviano in Gomorra. Sono commosso, forse perché sto invecchiando. Mi vergogno a tornare da Lucia De Cicco, che s’incatenò al cancello della discarica, si cosparse di benzina e accese un fiammifero. Oggi porta grandi occhiali da sole per coprire il volto segnato. Non sono degno di confrontarmi con lei».
Da Eschilo in poi i drammaturghi si sono sempre accontentati di una trilogia. Aprile è già alla quadrilogia: Terroni nel 2010, Giù al Sud e Mai più terroni nel 2012, Il Sud puzza nel 2013. In tutto fanno 1.312 pagine, esattamente quelle del romanzo Guerra e pace di Lev Tolstoj nell’edizione Mondadori del 1956. «E ogni volta mi devo contenere. A Terroni ho dedicato 30 anni della mia vita. Sarei ancora lì a scriverlo, se non fosse stato per Maria Giulia Castagnone, direttrice editoriale della Piemme, che dopo un decennio di attesa mi intimò: “Adesso smettila e mollaci il pupo”. Da adolescente piangevo su Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. Quando il suo nipote napoletano, Guido Sacerdoti, nel 2010 mi consegnò il premio intitolato allo zio, non riuscii a dire nulla. Se avessi aperto bocca, sarei scoppiato in lacrime. Quello non è un libro: è l’altare davanti al quale, da ateo, prego ogni sera».
Quante copie ha venduto finora con i suoi saggi sul Sud?
Nessuno ci crederà, ma è la mia unica forma di superstizione: non le conto.
Però i diritti d’autore li incassa.
Oltre 300 mila copie solo di Terroni. Se vuole m’informo per gli altri libri.
Quindi anche lei specula sul Meridione, sia pure a fin di bene.
È la stessa accusa rivolta a Levi dagli abitanti di Aliano, dove fu confinato dal fascismo: «E a noi che ci dai?». Me l’ha rimproverato anche un uomo di Scampia, dopo avermi visto per strada con penna e notes: «S’è fatt’i soldi co’ le vite nostre!». Poi s’è presentato: «So’ pregiudicato. Controllate pure: Maurizio Romano, nato a Torre del Greco, 14 agosto 1972. Piccoli reati, per bisogno, dotto’. Disoccupato, con due famiglie a carico».
Di che altro puzza il Sud?
Di minorità. Il Sud del mondo è la pattumiera del Nord. L’Italia è la pattumiera d’Europa. Il Meridione è la pattumiera d’Italia. La cosa che mi manda in bestia è che esiste un sistema made in Italy per individuare via satellite le discariche abusive. È un servizio a pagamento a cui ricorrono molti stati europei. L’azienda che lo fornisce si trova in Lucania: appartiene alla Telespazio, controllata dalla Finmeccanica. Gli unici a non servircene siamo noi. Ma sta cambiando tutto molto in fretta.
Che cosa accade di tanto rapido?
Nel giro di appena due anni, 24 associazioni di cittadini della mia città hanno messo in mora la famiglia Riva per l’inquinamento dell’Ilva, ciò che governo, regione, provincia e comune non erano riusciti a fare in mezzo secolo. Don Giuseppe Diana, parroco di Casal di Principe, fu ucciso nel 1994, il giorno del suo onomastico, perché si batteva contro il patto criminale stretto fra camorra, P2, aziende lombarde e toscane, politici e servizi segreti, che ha riempito il Sud di scorie nocive. Nel 2010 a parlarmi di lui c’erano tre attivisti. L’ultima volta si sono ritrovati in 60 mila. A Ercolano, capitale del pizzo, la gente ha debellato il racket più feroce e potente della Campania, mandando in galera 200 camorristi. Quasi 35 mila cittadini aderenti al coordinamento dei comitati della Terra dei fuochi, benedetto da don Maurizio Patriciello, hanno presentato una maxi querela contro 42 sindaci e assessori per i roghi tossici, primo firmatario il vescovo di Aversa, Angelo Spinillo. Non s’era mai visto niente del genere, in Italia.
Come si spiega?
Con l’avvento di quello che in psicologia sociale si chiama ribelle positivo.
Sarà meglio tradurre.
C’entra la geometria delle reti, una nuovissima matematica. Quando varie iniziative si collegano fra di loro, arriva un punto in cui la connessione diventa totale. Si crea allora quella che in matematica è l’emergenza gigante, in fisica la percolazione, in sociologia la comunità. Questo sta avvenendo al Sud, e con una velocità impressionante. Si passa da 10 a 100 comitati in tre mesi, anziché in tre anni. Sta nascendo una nuova società, sana, rispettosa delle regole, che chiede efficienza e, quando non la ottiene, la produce da sé. Sono già migliaia i commercianti che hanno smesso di pagare il pizzo, 800 nella sola Palermo, dove altri 2 mila restano in lista d’attesa.
In lista d’attesa?
Devono firmare un contratto e vengono svolte indagini preventive per evitare infiltrazioni mafiose. La più grande associazione antiracket è a Scordia, nel Catanese, 17 mila abitanti, dei quali 1 ogni 400 moriva ammazzato. Il sistema è crollato quando sono andati a chiedere la mazzetta a Carlo Piraneo, industriale del mobile che ha arredato il Parlamento europeo e pure i ministeri decentrati al Nord voluti dalla Lega, anche se Umberto Bossi non l’ha mai saputo. Saro Barchitta, il presidente, mi ha detto: «Più che la paura, non riuscivo a superare la vergogna. Ti senti un verme, perché li conosci quelli dinanzi a cui ti inginocchi: gente che non vale nulla. Ero il loro schiavo, non avevo più rispetto di me stesso. Però devo ringraziarli, perché un giorno mi hanno voluto umiliare oltre la mia capacità di sopportare. E li ho denunciati. Dio, che bella la libertà!».
Va di moda scagliarsi contro l’Ilva e lei non fa eccezione. Ma i periti nominati dal giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco hanno escluso violazioni delle leggi. «Concentrazioni inferiori ai valori di riferimento» hanno scritto a proposito della diossina.
Ho vissuto fino ai 23 anni nell’ultimo palazzo del rione Tamburi. Giocavo fra gli uliveti e l’acquedotto romano. Eravamo considerati i valdostani dello Jonio, perché Taranto è a 15 metri sul mare, noi un po’ più su, a 30, tanto che avevamo il sanatorio per i malati di tubercolosi. A 10 anni l’Italsider diventò la mia dirimpettaia. Eravamo felicissimi. L’ha ammesso anche il sindaco dell’epoca, Angelo Monfredi: «Ci avessero chiesto di metterla nella piazza principale, avremmo acconsentito». Finalmente vedevamo anche noi il progresso.
Ebbene?
Bisogna tenere conto della diossina depositata dall’intera attività siderurgica, non solo dall’Ilva dei Riva, che l’hanno rilevata nel 1995. Siamo a tre volte i valori registrati nel disastro dell’Icmesa di Seveso.
Il rapporto «Mal’aria di città 2012» della Legambiente prende in esame 55 capoluoghi: Taranto figura al 46° posto di questa classifica nazionale dell’inquinamento.
Un mese fa la Commissione europea ha minacciato l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia. Per le autorità di Bruxelles, l’inquinamento del rione Tamburi è riconducibile all’attività dell’acciaieria e l’Italia non ha garantito che l’Ilva adottasse le misure correttive necessarie. Ricordo bene mia madre che ogni giorno ramazzava palettate di polvere nera sul poggiolo.
Sua madre è stata fortunata, direbbe Emilio Riva: significa che quelle erano polveri pesanti, non sottili, dunque non finivano nei vostri polmoni. Il Pm 10, il temibile particolato che si respira nella lussuosa via Senato a Milano, la seconda strada più inquinata d’Italia, mica si vede.
Vada a dirlo a Ciro Pugliese, un coetaneo che abitava nel mio stesso palazzo. Il padre e la madre morti di cancro, il fratello minore ucciso dalla leucemia, il fratello maggiore colpito da una malattia genetica che ha trasmesso alla nipotina. E lui stesso è stato operato per un tumore alla vescica. Nel rione Tamburi s’ammala un abitante su 18, lo attesta Peace link. Ci sarà un motivo se lì un appartamento costa 60 mila euro, mentre in via Senato con quella cifra compri uno sgabuzzino di 6 metri quadrati.
Non peccherà di complottismo quando nel suo nuovo libro collega le estrazioni di petrolio in Basilicata con i delitti Matteotti, Mattei, Pasolini e Moro?
Lei non ci crederà, ma a fine Ottocento l’Italia era il secondo produttore di oro nero al mondo, grazie alla Lucania.
Infatti non ci credo.
Io pure, sulle prime. Però mi sono dovuto arrendere a uno studio dell’Indipendente lucano, combattivo settimanale di Matera. Sia come sia, all’improvviso il giacimento di Tramutola viene dichiarato esaurito. Il deputato socialista Giacomo Matteotti scopre che la Sinclair oil paga tangenti a Casa Savoia e a Benito Mussolini per ottenere l’esclusiva su ulteriori prospezioni. Denuncia lo scandalo: rapito e ammazzato. Enrico Mattei affranca l’Eni dalle Sette sorelle: precipita con l’aereo e muore. Pierpaolo Pasolini scrive un romanzo, Petrolio, contenente un capitolo esplosivo su queste vicende: assassinato prima della pubblicazione. Aldo Moro dichiara di volere proseguire nella politica filoaraba intrapresa da Mattei: sequestrato e ucciso. Il petrolio è stato scoperto e dimenticato in Basilicata tre o quattro volte, a tutto vantaggio delle compagnie straniere. La regione incassa sulle estrazioni una royalty del 7 per cento lordo, un decimo di ciò che i petrolieri versano alle ex colonie del Terzo mondo.
Un giornalista dedica metà della sua vita ai pettegolezzi sulle teste coronate d’Europa e agli amorazzi di attori e cantanti, poi all’improvviso si scopre vindice del Sud. Mi spiega questa metamorfosi?
Non c’è metamorfosi. Sono cose che ho scritto e riscritto per trent’anni su Oggi.
Se fosse ancora direttore di «Gente», l’editore americano Hearst di certo non approverebbe una copertina sul Sud che puzza.
Ho fatto Gente come andava fatto Gente. Bernard Mellano, presidente della Hachette, che aveva rilevato la testata dalla Rusconi, diceva: «Aprile è un intellettuale, però bravissimo a dirigere Gente». Vado ancora fiero del mio scoop mondiale: Carolina di Monaco calva.
Prima di lei, chi era l’aedo del Sud?
Carlo Alianello. La mitologia risorgimentale che avevo appreso sui banchi di scuola vacillò leggendo il suo La conquista del Sud. Scoprii il massacro di Pontelandolfo e Casalduni, 5 mila abitanti il primo, 3 mila il secondo, due delle decine di paesi distrutti dal generale Enrico Cialdini, poi deputato e senatore del Regno. Un macellaio che aveva concesso libertà di stupro e di saccheggio ai suoi soldati, ordinando fucilazioni di massa, torture, incendi di abitazioni con la gente all’interno.
Tristissimo. Ma sono passati più di 150 anni.
Sì, ma ne sono passati appena tre dalle «Indicazioni nazionali per il curricolo» emanate in base al decreto 89/2010 del presidente della Repubblica, con le quali il ministero della Pubblica istruzione ha indicato i nomi degli autori della letteratura del Novecento da studiare nei licei. E la vuole sapere una cosa? Nei due elenchi allegati, non c’è un solo scrittore del Sud. Né Salvatore Quasimodo, né Giuseppe Tomasi di Lampedusa, né Ignazio Silone, né Leonardo Sciascia. Non uno che sia uno.
Luca Ricolfi ha calcolato che ogni anno il Nord regala 50 miliardi di euro al Sud.
Il sociologo torinese ha incluso nel suo calcolo i soldi che Trenitalia spende solo al Nord. Peccato che Matera sia l’unico capoluogo d’Italia dove non è mai arrivato il treno. La Basilicata è più grande del Friuli, eppure non ha ferrovie, non ha aeroporti, non ha autostrade.
In compenso la Regione Veneto ha un dipendente ogni 1.671 abitanti, la Regione Siciliana uno ogni 348. Il 380 per cento in più.
A Palermo si svolgono compiti che altrove sono assolti dallo Stato. Ogni siciliano spende per i dipendenti pubblici 360 euro l’anno, contro i 2.100 della Valle d’Aosta.
Flavio Tosi, sindaco di Verona, dove secondo Fiorello si giocherebbe all’«acchiappa il terrone», ha deciso di partire da Palermo per il tour della sua fondazione Ricostruiamo il Paese e si candida a premier. Lo voterebbe?
Un leghista può anche convertirsi. Basta che indossi il saio, si cosparga il capo di cenere e si metta in ginocchio per settimane davanti alla cattedrale in attesa del perdono, come si faceva nel Medio Evo. Ecco, Tosi vada a Lampedusa a dare una mano alla sua collega Giusi Nicolini. Solo allora crederò che è cambiato.
E Matteo Renzi lo voterebbe?
No. Alla vigilia delle primarie disse che il Sud deve rimboccarsi le maniche. Ci hanno rotto i coglioni! Non le abbiamo più, le maniche.
Ho cercato la parola «Meridione» nel sito di Renzi. Non c’è.
Lo ha forse sentito protestare perché il governo Letta ha destinato al Sud appena il 3 per cento dell’ultimo stanziamento da 2,3 miliardi di euro? E io dovrei fidarmi di un partito, il Pd, che alle elezioni dello scorso febbraio ha paracadutato dal Nord il 50 per cento dei capilista? Ma lo sa chi ha candidato Pier Luigi Bersani in Calabria? Rosy Bindi! E a Isola Capo Rizzuto, anziché schierarsi con la coraggiosa sindaca uscente Caterina Girasole, che ha subito un attentato per essersi opposta alle cosche, ha appoggiato l’ex capo della giunta sciolta per mafia, Damiano Milone.
Ma lei per chi ha votato, scusi?
Al Senato per il Partito del Sud, alla Camera per Rivoluzione civile. Due voti sprecati. Rifuggo questi due blocchi di potere, tanto a sinistra quanto a destra, che impediscono ai migliori di fare politiche migliori. Dove sono le teste e le anime grandi?
Possibile che non sia riuscito a trovarne nemmeno una?
Achille Variati, sindaco di Vicenza, dove ogni anno si onorava con una corona d’alloro la lapide dedicata al colonnello Pier Eleonoro Negri, il carnefice che ridusse in cenere Pontelandolfo. È venuto a chiedere scusa per quel massacro. «M’inginocchio» ha detto nel 2011 davanti alla targa che ricorda l’adolescente Concetta Biondi, stuprata e uccisa dai piemontesi. Oggi a Vicenza c’è una via Pontelandolfo: il sindaco ha scelto la strada che porta verso il tribunale, a suggello di una tardiva giustizia. Questo è un uomo. A 150 anni dall’Unità d’Italia, veneti e campani si sono finalmente detti la verità. Ora sì che possono chiamarsi fratelli. (stefano.lorenzetto@ mondadori.it) ■