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 2013  ottobre 24 Giovedì calendario

LIBIA, È TORNATO IL CALCIO. ARMATO


I CAMPI DI CALCIO TRASFORMATI IN CAMPI DI BATTAGLIA. LE CONTESTAZIONI SI TRASFORMANO IN PALLOTTOLE. IL CAOS LIBICO IRROMPE ANCHE NELLO SPORT. Un caos armato. La cronaca racconta che l’allenatore egiziano Hossam El-Badry, attualmente alla guida il club della massima serie libica Al Ahiy di Tripoli è sfuggito, nei giorni scorsi, a un attentato mentre stava rientrando nella capitale dopo un incontro di campionato disputato a Misurata. Il fatto, reso noto dalla polizia locale, è avvenuto qualche ora dopo la fine della partita del campionato libico che l’Al-Ahli aveva pareggiato per 1-1 contro l’Al Sowaihili. «Il nostro allenatore è salvo ma sotto choc per quanto è avvenuto. Sull’accaduto è già stata aperta un’inchiesta», ha precisato un portavoce delle forze dell’ordine.
Il 53enne Al Badri ha portato l’Al-Ahli egiziano, squadra della capitale Il Cairo, alla conquista della Champions League africana nel novembre dell’anno scorso, poi ha lasciato il club a maggio di quest’anno per andare in Libia. L’attentato rende più difficile il progetto della Libia di ospitare la Coppa d’Africa del 2017. Secondo il sito dell’ Al-Ahly, tre persone hanno aperto il fuoco contro la sua auto. L’allenatore è riuscito a raggiungere un vicino posto di polizia. Salvo per miracolo, dunque. Ma quelle pallottole lasciano il segno. E danno conto di un Paese che non riesce a ritrovare una parvenza di normalità neanche nell’ambito di quello che resta lo sport più seguito in Libia. Quello tra Tripoli e Misurata è più di un derby calcistico. È una prova di forza che va ben oltre la rivalità sportiva. Tra gli ultras dell’Al-Sowaihili vi sono miliziani che hanno partecipato attivamente alla rivolta armata contro il regime di Muammar Gheddafi. Così come sono in molti a ricordare che il Colonnello e i suoi figli erano sostenitori, e finanziatori, dell’Al Ahli.
D’altro canto, fin dagli anni pre-rivoluzionari, le formazioni più forti del campionato libico furono le squadre tripoline Al-Ahli e Al-Ittihad, rispettivamente Nazionale e L’Unione, intervallate dalle rivali squadre di Bengasi. Anche sul calcio, infatti, si riversavano le tensioni tra le due principali regioni libiche, la Tripolitania e la Cirenaica, la prima tendenzialmente favorevole a Gheddafi, la seconda da sempre terra fedele al deposto Re Idris al Senussi. Ma alla fine, anche il calcio libico alla fine si è ribellato al Colonnello. Diciassette personaggi di primo piano del calcio libico, tra cui alcuni esponenti di primo piano della Nazionale, si sono infatti uniti alla rivolta contro Gheddafi. Era il 25 giugno 2011. La defezione dei calciatori è solo l’ultima a colpire le file del regime del colonnello Gheddafi, già abbandonato da ministri, diplomatici, alti ranghi militari. Tra i calciatori che defezionano, ci sono quattro nazionali, uno dei quali è il portiere Juma Gtat, oltre all’allenatore dell’Al-Ahli, Adel Bin Issa. «Chiedo al colonnello Gheddafi di lasciarci in pace e permetterci di costruire una Libia libera», le parole di Gtat, mentre Bin Issa spera di svegliarsi «una mattina e scoprire che Gheddafi non c’è più». I due si sono uniti ai ribelli delle Montagne Nafusa. Per vent’anni, Saadi Gheddafi, il figlio del Rais ha controllato col pugno di ferro la nazionale libica. Autoproclamatosi capitano della squadra, maglia numero 11, dittatore dello spogliatoio, Saadi decideva le formazioni, gli schemi da adottare, le sostituzioni, i castighi e le epurazioni. «Se un compagno gli mancava di rispetto ricorda l’ex portiere Samir Abud gli faceva pagare raffronto a caro prezzo». «Era piuttosto scarso coi piedi», rammenta l’ex compagno Abud. «Ma sul campo era un megalomane: si presentava agli allenamenti sotto scorta, convoglio blindato e guardie del corpo che circondavano lo stadio». Nessuno doveva giocare meglio di lui, nessuno doveva metterlo nell’ombra. Anche questo era il calcio in Libia. Blindato. Armato. Oggi come ieri.