Federico Fubini, La Repubblica 24/10/2013, 24 ottobre 2013
SOFFERENZE E TITOLI DI STATO ISTITUTI ITALIANI SORVEGLIATI SPECIALI
CHE questa volta sia diverso, dopo anni di dubbi sullo stato di salute degli istituti di credito, lo fa pensare almeno un indizio: accusata di essere troppo maschile nel suo organico di vertice, la Banca centrale europea sembra sul punto di correggere lo squilibrio. Il Consiglio di sorveglianza unico della Bce, l’organo che vigilerà su 130 grandi istituti nell’area euro (inclusi i primi quindici in Italia), vedrà nel gruppo di vertice almeno tre donne.
La più accreditata per la presidenza è la francese Danièle Nouy, a fianco della quale lavoreranno due tedesche: Elke Koenig, numero uno dell’autorità di vigilanza di Bonn e Francoforte, e in supplenza la vicepresidente della Bundesbank Sabine Lautenschlaeger. Del gruppo di 18 regolatori delle banche europee farà parte anche Fabio Panetta, componente del direttorio e responsabile della vigilanza per la Banca d’Italia. L’altro italiano direttamente coinvolto nell’esercizio sarà invece Ignazio Angeloni, direttore generale per la stabilità finanziaria all’Eurotower.
C’è poi un secondo livello, più vicino e per ora più importante. Gli addetti ai lavori a Francoforte lo chiamano «project office», un comitato di cinque persone al quale dal mese prossimo spetta la regìa sulla diagnosi sulle banche italiane. Si tratterà di uno dei 18 gruppi del genere, ciascuno al lavoro in un Paese diverso dell’area. Per l’Italia sarà composto probabilmente di due funzionari di Bankitalia, uno della Consob e di due regolatori ancora da nominare - provenienti da altri due Paesi europei: una squadra mista e ristretta, in grado di determinare le chance del Paese di ritrovare un po’ di normalità dopo la grande recessione partita nel 2009.
Certo molto resta ancora da decidere. L’Europa delle diplomazie finanziarie in queste ore negozia in modo febbrile su assetti, nomine, organismi di nuovo conio. Da sempre la proliferazione delle procedure è il suo modo di affrontare i passaggi potenzialmente destabilizzanti. E questo lo è non solo per l’Italia: il comunicato emesso della Bce ieri lascia capire che anche un certo numero di istituti tedeschi e poche, grandi banche francesi potrebbero uscire dagli esami europei tutt’altro che a pieni voti. Deutsche Bank e vari colossi transalpini saranno per esempio nel mirino quando la vigilanza europea guarderà a quella che gli addetti chiamano «leva»: i debiti in proporzione al capitale proprio. La leva di Deutsche, volta a massimizzare il ritorno sugli investimenti, è di circa 50 volte: significa che la banca è una piramide rovesciata che poggia su una base ristrettissima; una perdita del 2% sugli investimenti può rovesciarla, rendendola un’azienda fallita. Solo per avere capitale pari al 3% del totale del bilancio, Deutsche deve emettere nuove azioni e diluire i soci. La vigilanza europea guarderà poi alle attività che molte Landesbanken, controllate dalla politica locale tedesca ma ora sottoposte alle Bce, hanno nascosto fuori bilancio.
Almeno altrettanto delicata sarà l’analisi sulle banche italiane. Non senza ragioni, la Banca d’Italia ripete da tempo che i criteri con cui misura le perdite su credito degli istituti sono fra i più stringenti d’Europa. Ma oltre due anni di recessione e un ritmo sempre elevato di fallimenti d’impresa iniziano a pesare. A novembre, salvo sorprese, l’istituto di Via Nazionale mostrerà che i prestiti bancari italiani finiti nelle varie categorie di default hanno superato i 250 miliardi di euro. E la stessa difesa martellante dello stato di salute delle banche che i negoziatori di Roma fanno in Europa ha finito per insospettire: a torto o a ragione, molti a Bruxelles e a Francoforte si chiedono se dietro non ci sia il tentativo di nascondere qualcosa.
C’è poi un altro fronte aperto, forse il più sensibile. In Italia gli istituti di credito detengono circa 430 miliardi in titoli del Tesoro, più del doppio rispetto a tre anni fa. La vigilanza europea valuterà se non si tratti di un’esposizione eccessiva e misurerà le conseguenze sui bilanci di una nuova (eventuale) impennata dello spread. Mps, Banco Popolare, ma anche Unicredit e Intesa Sanpaolo sono molto esposte. La Bce potrebbe chiedere loro di accantonare riserve e le somme indicate sarebbero alte.
A quel punto può porsi il problema di come reperire le risorse, anche perché i privati restano riluttanti a investire nelle banche. C’è sì il rischio che vengano imposte perdite sui creditori degli istituti ma Mario Draghi, presidente della Bce, è determinato a contenerle. In realtà la vigilanza europea chiede agli Stati anche di preparare reti nazionali di sicurezza. L’Italia, come altri, non ha neppure iniziato a farlo, ma potrebbe trattarsi di decine di miliardi di euro.