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 2013  ottobre 24 Giovedì calendario

L’AVVOCATO PRESTATO ALLA POLITICA CHE VOLEVA CAMBIARE IL PALAZZO


La morte di Alberto Musy, dopo un anno e mezzo di coma, toglie alla moglie e alle sue quattro bambine la speranza di un impossibile miracolo, ma a Torino sottrae la figura di un personaggio molto singolare, un bellissimo esempio di impegno civile che, in tempi di cinismo e di disprezzo per la politica, ha testimoniato la volontà di non arrendersi al destino di una vita pubblica involgarita, molto spesso, dall’interesse personale, da un mediocre carrierismo, dalla meschinità umana e culturale. Fino a pagare il prezzo più alto, quello di una esistenza spezzata a soli 46 anni.
Musy, titolare di un avviato studio legale, docente universitario dopo una brillante esperienza in America, giovane padre di una radiosa famiglia, a un certo punto della vita, felice e di successo, sente di dover restituire a Torino le sue capacità per contribuire ad aiutarla in un momento difficile. Così, con uno straordinario carico di entusiasmo, di ottimismo e un pizzico di candore, ma senza alcun rodaggio in politica, si impegna in una sfida impossibile, candidandosi, nel 2011, a sindaco di Torino come indipendente nelle file dell’Udc. Una partita persa in partenza davanti a competitori come il superfavorito Piero Fassino, per il centro sinistra, e il giovane emergente Michele Coppola, per il centrodestra. Musy sa benissimo, naturalmente, che il suo futuro sarebbe stato solo quello del consigliere comunale, impegnato in un lavoro abbastanza oscuro, faticoso, poco retribuito e ben lontano dalle luci della ribalta mediatica e politica. Molti pensano che, terminata l’ebbrezza della campagna elettorale, spente le luci dei riflettori, incassata con la solita eleganza la sconfitta annunciata, quel mite professore si possa limitare alla soddisfazione di una testimonianza insolita di impegno per la collettività e ritorni nelle più comode aule universitarie e nel suo affollato studio legale.
Musy, invece, sorprendendo tutti una seconda volta, si butta a capofitto nell’attività consiliare e cerca di elaborare e di portare all’approvazione un nuovo regolamento per le nomine negli enti che dipendono dal Comune. La novità della sua proposta è dirompente, perché mira a una assegnazione degli incarichi attraverso procedure di grande trasparenza, volte ad accertare solo i meriti professionali e l’integrità personale dei candidati, togliendo le scelte dai patteggiamenti clientelari e correntizi. Il metodo con il quale cerca l’appoggio per arrivare a una maggioranza favorevole in Consiglio è tipico del modo con il quale concepisce la politica, perché riesce a coinvolgere nella proposta il capogruppo del Sel, un partito certo piuttosto lontano da un liberale come lui.
Il successo che, piuttosto inaspettatamente, arride alla sua proposta lo inorgoglisce, ma è anche la prova di non aver sbagliato in quel passaggio ardito alla vita politica, una decisione che, all’apparenza, poteva sembrare così penalizzante da punto di vista dell’interesse personale, perché testimonia il concreto valore per una battaglia di moralità pubblica alla quale soprattutto lega il suo impegno. In poco tempo, l’eterno suo sorriso, la disarmante cordialità, l’ottimismo di un personaggio così anomalo sulla scena cittadina riesce a travolgere diffidenze ideologiche e ostilità caratteriali. Così, le simpatie trasversali che sempre lo accompagnano nei suoi contatti con i due schieramenti in cui si divide Torino aprono per lui prospettive di carriera politica impensabili alla luce del suo noviziato. Si parla di un suo possibile ruolo addirittura di vicesindaco, se Fassino decidesse di allargare la sua maggioranza. Voci o solo pettegolezzi, sicuramente infondati, che però dimostrano il rispetto con il quale si incomincia a guardare al suo lavoro e alla sua figura così eterodossa rispetto alle consuetudini, ma che, forse, cominciano anche ad alimentare qualche invidia per una così veloce scalata alla considerazione di un mondo abituato a lunghe e grigie gavette.

Il breve passaggio di Musy sulla scena della politica cittadina, perciò, non è stato sempre segnato da soddisfazioni e da successi, perché non gli vennero risparmiate le fatiche, le incomprensioni e anche le amarezze che sempre costellano chi affronta, senza cinismo, la durezza della vita pubblica. Molti vecchi navigatori degli ambulacri consiliari irridevano la sua inesperienza nelle complesse manovre partitiche, convinti che quella che chiamavano, con un sottile disprezzo, «ingenuità» fosse un difetto imperdonabile per chi volesse far politica. Non avevano capito che proprio quella «ingenuità» era l’unica sua arma e che Musy ne era cosi consapevole da usarla fino a perdere, per essa, la vita.