VARIE 23/10/2013, 23 ottobre 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - BERLUSCONI RINVIATO A GIUDIZIO A NAPOLI
REPUBBLICA.IT
Silvio Berlusconi sara’ processato per la compravendita di senatori. Il giudice Amelia Primavera ha rinviato a giudizio l’ex premier e Valter Lavitola con l’accusa di corruzione per i tre milioni di euro versati all’ex senatore Sergio DeGregorio tra il 2006 e il 2008 per passare dal centrosinistra al centrodestra e sabotare il governo Prodi. Prima udienza 11 febbraio davanti alla quarta sezione del tribunale.
Sì del giudice anche al patteggiamento di De Gregorio a 20 mesi. Accolte le richieste dei pm Alessandro Milita, Vincenzo Piscitelli, Fabrizio Vanorio e Henry John Woodcock.
Un passo indietro per raccontare cosa è accaduto in mattinata nell’aula 213, tribunale di Napoli.
Ore 10. Parla Lavitola, il faccendiere ed ex editore de L’Avanti appena tornato in carcere nell’ambito di un altro procedimento sulla estorsione ai danni del Cavaliere. Tre milioni: il prezzo di quel tradimento, per passare da uno schieramento all’altro. De Gregorio ha già raccontato tutto, collaborando con i pm ed ha chiesto di patteggiare una pena stabilita dai pm in 20 mesi, su cui dovrà esprimersi il gup Amelia Primavera all’esito dell’udienza di oggi. Lo stesso giudice dovrà poi pronunciarsi sulla richiesta di rinvio a giudizio per Berlusconi e Lavitola.
Valter, ex faccendiere e consulente di Finmeccanica - che è difeso dall’avvocato Guido Iaccarino ma che si apprende oggi ha nominato come legale anche Guido Paniz, l’ex senatore Pdl già difensore del Cavaliere - rende in aula una lunga deposizione, punteggiata da toni spesso accesi: parole che irritano e spingono più volte il gup Primavera e i pm Alessandro Milita ed Henry Hohn Woodcock a interromperlo. Lo stesso Milita dirà a un certo punto: "Scusi lei sta rendendo dichiarazioni spontanee o sta facendo un’arringa difensiva?".
Si difende su tutti i fronti, Lavitola. "Se avessi davvero portato i soldi all’allora senatore De Gregorio sarei stato comunque solo un corriere, non c’è alcuna prova che io potessi sapere che era denaro di corruzione. Sarei stato un semplice vettore".
Lavitola aggiunge poi che altri soldi versati a De Gregorio atterrebbero invece "a una partita di giro per la chiusura" dei conti de L’Avanti, ma si tratterebbe però di conti chiusi nel 2005.
L’unico passaggio di denaro intercorso tra lui e De Gregorio avrebbe dunque ragioni molto varie " e venivano anche da provviste mie, e riguardavano i vari rapporti che c’erano tra me e De Gregorio. Se vi studiate la vicenda della bancarotta fraudolenta, capite quei denari da quale giro venivano. Tra l’altro De Gregorio mi chiedeva aiuto, era in mano ad usurai, e quindi io davo un aiuto".
Subito dopo tocca al legale che assiste a Napoli Silvio Berlusconi, l’avvocato Michele Cerabona. "Discuterò per almeno un’ora - spiega ai cronisti - per noi naturalmente non si configura il reato di corruzione. Non lo dice mica solo la difesa di Berlusconi, ma lo diceva già mesi fa il gip Marina Cimma nella sua motivazione di rigetto del giudizio abbreviato richiesto per l’onorevole Berlusconi".
Alle 16,40 la decisione del giudice: Berlusconi e Lavitola saranno processati. E’ l’esito dell’indagine condotta dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza diretto dal colonnello Nicola Altiero.
Nel tardo pomeriggio De Gregorio parla a Sky tg24: "Credo che questa vicenda acceleri il tramonto di un percorso politico ormai arrivato al redde rationem. Consiglio a Berlusconi di ritirarsi dalla scena politica, liberando l’Italia
e la sua persona da tante infamie. Ho avuto un comportamento che oggi ritengo assolutamente disdicevole, finalizzato a ribaltare il governo Prodi in una sorta di guerra santa denominata dallo stesso Berlusconi ’operazione libertà. Mi sento sollevato da un peso, ho detto la verità. Oggi non rimetterei la mia intelligenza, la mia capacità operativa, le mie conoscenze internazionali al servizio di Berlusconi: quell’uomo non meritava il mio aiuto".
REPUBBLICA.IT - PDL DIVISO SULL’ATTEGGIAMENTO DA TENERE DOPO IL VOTO SULLA DECADENZA
ROMA - I tormenti interni del Pdl sembrano non trovare fine. Nel giorno in cui Berlusconi viene rinviato a giudizio a Napoli, il partito si divide sulla questione della decadenza. Il ministro Lupi nega che la vicenda possa portare a una crisi di governo: "Con il voto di fiducia al governo Letta abbiamo preso l’impegno di andare avanti. L’equazione crisi-decadenza non c’è più". Immediato lo stop di Mariastella Gelmini: "Non si può liquidare così la questione. È un fatto politico". Intanto Brunetta e Schifani attaccano il presidente del Senato, Pietro Grasso, che dagli Stati Uniti aveva aperto all’ipotesi del voto palese sulla decadenza di Berlusconi. "Tutto ciò è sorprendente" ha commentato il presidente Grasso, affidando la reazione al suo portavoce. Nel frattempo a palazzo Madama è arrivata una lettera con minacce di morte indirizzata al senatore Cinque Stelle, Mario Giarrusso, e gli altri senatori che hanno votato a favore della decadenza di Berlusconi.
"Se il voto sarà segreto - aveva detto Grasso in un’intervista -, bisognerà vedere se sarà davvero un voto di coscienza o se dipenderà piuttosto da interessi diversi. Se invece sarà palese, tutto sarà più chiaro". Parole poco apprezzate fra le fila del Pdl. Il presidente dei senatori Pdl, Renato Schifani ha definito "molto grave" quanto detto dal presidente del Senato. "Il Regolamento sul punto chiaro ed inequivocabile - ha detto Schifani -. Sospettare poi che con il voto segreto i senatori possano perseguire interessi diversi rispetto alla propria coscienza è incredibile. Un chiarimento sarebbe opportuno". Renato Brunetta cita Falcone: "Il sospetto è l’anticamera della calunnia", dice riferendosi agli "interessi diversi" di cui aveva parlato Grasso. "Le sue non sono parole da presidente del Senato, ma da uomo di parte, anzi di fazione", conclude. Grasso, ancora impegnato nel suo viaggio a New York, si è detto stupito per la polemica che si è scatenata e ha affidato la replica al suo portavoce: "Era una constatazione ovvia - dice - in cui si sottolineava come il voto segreto possa essere utilizzato seguendo logiche diverse dalla coscienza, come successo in passato". Il riferimento è forse ai tempi di Mani pulite, quando nel voto segreto sull’ autorizzazione a procedere per Craxi nell’aprile del ’93 il leader del Psi venne "salvato".
Ma se nei confronti degli avversari politici i parlamentari Pdl fanno fronte comune, è all’interno che si consumano le divisioni. Ancora una volta lo scontro è fra falchi e colombe. In un’intervista il ministro Lupi ha slegato la questione della decadenza da un’ipotesi di crisi di governo. "Decadenza non significa fine di un ventennio - ha detto -. La leadership non è assegnata da un seggio o da un ruolo. Per altri la legge Severino non sarebbe stata applicata. O comunque non sarebbe stata applicata così. Con Berlusconi - insiste il ministro - si stanno usando metodi mai usati nella storia di questo Parlamento". Metodi che però non porteranno alla fine del governo Letta, secondo il ministro perchè "con la fiducia abbiamo preso un impegno chiaro: attuare il programma e lavorare fino al marzo 2015".
Tra i falchi Pdl, si fa sentire Mariastella Gelmini che, pur rispettando l’opinione di Lupi, afferma che quello della decadenza sia un tema lacerante per i rapporti interni alla maggioranza. "Espellendo Berlusconi dal Parlamento - ha detto Gelmini - si espellono milioni di italiani che lo hanno votato. È gravissimo che lo si faccia senza avere nemmeno concesso un ricorso alla corte Costituzionale o alla Corte europea per verificare l’applicabilità della Legge Severino". Aprire una crisi? "Non sta a me annunciarlo - replica - ma non si può liquidare questo tema come un fatto personale di Berlusconi: è un fatto politico e molto rilevante".
Minacce di morte a Giarrusso e altri senatori. "Chi vive per l’odio e il pregiudizio. Di odio perisce. State pronti che da questa fine non si salva nemmeno il padre eterno". Questo il contenuto della lettera anonima arrivata al Senato e diretta al senatore Mario Giarrusso, dell’ M5s, avvocato antimafia e componente della Giunta per le elezioni. All’interno della busta c’erano anche una fotografia del cadavere di Mussolini appeso a testa in giù e le foto, con nome e cognome, di ogni senatore che ha votato a favore della decadenza di Silvio Berlusconi.
RIEVOCAZIONE DI SEBASTIANO MESSINA
SILVIO Berlusconi le aveva dato un nome in codice che aveva il suono degli ideali e il profumo dei sogni: "Operazione Libertà". Più prosaicamente, Sergio De Gregorio, il senatore dipietrista che si fece comprare al non modico prezzo di tre milioni di euro, ha usato il lessico militare: "Sabotaggio".
Sabotaggio del governo Prodi, buttato giù il 24 gennaio 2008, si scopre adesso, con la corruzione dei parlamentari che erano stati eletti nella sua maggioranza e dovevano votargli la fiducia. Mettendo sul tavolo i soldi, tanti soldi, tutti in nero. Usando segreti giudiziari per destabilizzare un capopartito. Offrendo patti inconfessabili a chi doveva semplicemente restarsene a casa, facendo mancare il suo voto decisivo.
Non è solo uno spaccato sconcertante e scandaloso della corruzione eletta a strumento della politica, quello che affiora dalle carte dell’inchiesta napoletana che coinvolge Berlusconi, De Gregorio e l’editore-faccendiere Valter Lavitola.
È soprattutto l’illuminante radiografia di un’operazione che configura "un attentato alla democrazia", come dice la vittima di quel complotto, Romano Prodi: "Un vero e proprio atto di corruzione che, se confermato, avrebbe certamente cambiato la storia del nostro Paese".
BANCONOTE DA 500 EURO
Volendola raccontare, forse è giusto dunque chiamarla in un altro modo: tecnica di un golpe bianco. Perché leggendo la desolante confessione di De Gregorio - l’uomo che incassava pacchi di biglietti da 500 euro e aveva persino l’ingenuità di domandare "scusate, ma perché me li date in nero?" - scorrendo l’inquietante ricostruzione degli eventi che i magistrati hanno appena consegnato al Parlamento, è difficile sfuggire al sospetto che sedici anni di vita politica italiana, dal primo voltagabbana che nel 1994 consentì a Berlusconi di avere la fiducia al Senato fino all’ultima transumanza pilotata, quella con cui i "Responsabili" evitarono al Cavaliere di cadere alla Camera alla fine del 2010, siano stati inquinati, avvelenati, truccati da un inconfessabile fiume carsico di milioni in nero, distribuiti a piene mani da un uomo che ha sempre creduto che tutti, alla fine, abbiano un prezzo.
L’OPERAZIONE LIBERTÀ
Dei soldi sappiamo già tutto. Quella che De Gregorio, con linguaggio da ragioniere, ha definito "la mia previsione di cassa", era di tre milioni di euro, anche se poi Lavitola gliene consegnò solo due, "in tranches da 200 e 300 mila euro". A partire dal mese di luglio 2006: e la data è importante, perché in quel momento, e ancora per altri due mesi, De Gregorio è un senatore del gruppo di Italia dei Valori. Eletto dai dipietristi, pagato da Berlusconi. Pagato per fare cosa, esattamente? Siamo nel 2006, Prodi ha vinto d’un soffio le elezioni e ha una maggioranza risicatissima al Senato: il margine è di quattro voti, basta che due passino dall’altra parte e il governo cadrà.
Così, racconta De Gregorio, lancia la sua Operazione Libertà: "Era deciso a individuare il malessere di alcuni senatori che potessero determinare l’evento finale". In concreto, spiega l’astuto ex senatore napoletano, io ebbi un compito preciso: "Il sabotaggio del governo Prodi". Avvenne subito dopo la sua elezione a presidente della commissione Difesa con i voti del centrodestra e contro il centrosinistra, che candidava Lidia Menapace. "Allora discussi a Palazzo Grazioli con Berlusconi una strategia di sabotaggio, che io accettai di adottare rimanendo dentro il gruppo di Italia dei Valori". Come? domandano i magistrati. "Attraverso una serie di azioni che avrebbero indebolito sicuramente il governo all’interno della sua eterogeneità". Per esempio? "I metodi erano diversi", risponde De Gregorio. Il principale però era uno: "Procurarsi dei voti in Parlamento".
L’ODORE DEI SOLDI
"Procurarsi" è una parola anfibia, nel terreno della politica. In Parlamento convincere gli altri a cambiare idea, a sposare la propria causa o ad accettare un compromesso, è il pane quotidiano. Ma non è del libero convincimento che il furbo De Gregorio sta parlando. Non si tratta di persuaderli, si tratta di corromperli. Di comprarli a uno a uno. L’operazione è ad ampio raggio, come vedremo, ma De Gregorio si assume il compito di acquistare il voto di un compagno di partito. "Dissi a Berlusconi che forse Giuseppe Caforio poteva ascriversi al ruolo degli indecisi". "Puoi offrirgli fino a cinque milioni" risponde il Cavaliere. Ma l’operazione fallisce: Caforio finge di stare al gioco, registra il colloquio e presenta una denuncia penale. Meno uno.
De Gregorio intanto è stato messo alla porta, e il 24 settembre del 2006 esce dall’Idv. In commissione Difesa fa il sabotatore, bloccando tutte le richieste del governo, ma in aula continua a votare la fiducia. E’ presto per uscire allo scoperto, bisogna aspettare il momento buono. Berlusconi decide di fare una prima prova il 28 febbraio 2007, quando Prodi viene rinviato alle Camere da Napolitano. De Gregorio vota no, finisce 162 a 157: bisogna conquistare ancora tre senatori, per buttare giù il governo. Ci vorranno altri undici mesi, prima che l’impresa riesca.
LA CADUTA DI PRODI
La prima crepa si apre il 16 gennaio 2008, quando Clemente Mastella arriva sconvolto a Montecitorio e annuncia in aula le sue dimissioni da ministro Guardasigilli. Cos’è successo? Ha appena saputo che la procura di Santa Maria Capua Vetere vuole chiedere l’arresto di sua moglie. Chi gliel’ha detto? Non si sa, ma lo scopriremo tra poco. Quattro giorni dopo, Mastella ritira l’appoggio dell’Udeur al governo, costringendo Prodi a presentarsi un’altra volta al Senato per la fiducia, il 24 gennaio 2008. E stavolta viene impallinato: 161 a 156.
Scorriamo l’elenco di chi è passato dall’altra parte: accanto a De Gregorio, e a Mastella, ci sono due "liberaldemocratici", Lamberto Dini e Giuseppe Scalera. E tutti notano l’assenza di Luigi Pallaro, detto "el senador", eletto in Argentina dagli emigrati. Misteriosamente, invece di presentarsi in aula ha mandato uno strano messaggio: "In questo difficile momento di crisi non partecipo al voto per lasciare spazio alle decisioni del capo dello Stato". In Parlamento si sparge l’odore dei soldi. Qualcuno è stato corrotto, accusa il Pd. Ma le prove, dove sono le prove?
LAVITOLA RIVELA IL PIANO
Le prove, i magistrati le trovano in una lunga lettera che il faccendiere Valter Lavitola ha inviato a Berlusconi dalla latitanza in Brasile (latitanza consigliatagli dallo stesso Cavaliere, risulta agli atti), un documento che i magistrati napoletani definiscono "di fondamentale e speciale importanza". Al presidente del Consiglio, il 13 dicembre 2011 il faccendiere latitante chiede aiuto, ricordandogli i debiti che ha verso di lui: "Lei subito dopo la formazione del governo, in questa legislatura, con Ghedini e Verdini presenti, mi disse che era in debito con me e che Lei era uso essere almeno alla pari. Era in debito per aver io "comprato" De Gregorio, tenuto fuori dalla votazione cruciale Pallaro, fatto pervenire a Mastella le notizie dalla procura di Santa Maria Capua Vetere, da dove erano arrivate le pressioni per il vergognoso arresto della moglie, e assieme a Ferruccio Saro e al povero Comincioli "lavorato" Dini. Ciò dopo essere stato io a convincerLa a comprare i senatori necessari a far cadere Prodi".
Ecco cosa prevedeva dunque l’Operazione Libertà, ed ecco chi ne era stato il braccio esecutivo (non l’unico, come vedremo). E’ un millantatore, questo Lavitola? Macché. Come lui stesso ricorda puntigliosamente nella lettera, oltre alla promessa di un seggio al Parlamento europeo o di un posto nel cda della Rai, Berlusconi gli aveva già concesso molte cose: "La Ioannucci nel cda delle Poste (aveva promesso di darle anche la presidenza di Banco Posta, anche se ciò non è stato mantenuto) e il commissario delle dighe (ruolo inventato da me con Masi, quando era a Palazzo Chigi". Non solo, ma il Cavaliere aveva anche messo mano al portafogli: "Un finanziamento all’Avanti! di 400 mila euro nel 2008" e "4-500 mila euro (non ricordo) di rimborso spese per la "Casa di Montecarlo" (...) quando io le portai i documenti originali di Santa Lucia". La "Casa di Montecarlo", come tutti sanno, è il dossier scagliato contro Fini per vendicarsi della sua uscita dal Pdl.
Capire quello che accadde davvero quel 24 gennaio 2008, quando Prodi venne abbattuto a Palazzo Madama con un margine di tre senatori, diventa più semplice. De Gregorio era stato comprato a suon di milioni. A Mastella era stata fatta arrivare al momento giusto una notizia ancora coperta dal segreto istruttorio, spingendolo a rompere con Prodi. Pallaro era stato convinto - non sappiamo con quali argomenti ma possiamo averne un’idea - a restare lontano dal Parlamento proprio nel giorno in cui il suo voto poteva risultare decisivo. L’ex premier Lamberto Dini era stato, per usare l’espressione di Lavitola, "lavorato".
Quanto all’altro "liberaldemocratico" che con la sua astensione ha dato anche lui il suo contributo alla caduta del governo, il senatore napoletano Giuseppe Scalera, leggiamo quello che dichiara ai magistrati uno dei protagonisti dell’inchiesta sulla P3, Arcangelo Martino: "Sica (ex assessore della Regione Campania, ndr) mi disse che Berlusconi doveva a lui la caduta del governo Prodi, in quanto si era adoperato con l’aiuto di un imprenditore ben conosciuto da Berlusconi per convincere, previo esborso di denaro, alcuni senatori a votare contro il governo. Mi fece il nome del senatore Andreotti e del senatore Scalera. Mi mostrò anche dei fogli su cui, a suo dire, vi erano segnati gli estremi dei bonifici". Dei bonifici, però, i magistrati non hanno trovato traccia.
A questo punto, il quadro è nitidissimo. Non serve neanche ricordare le voci di un’offerta di due milioni di euro che si diffusero nel novembre 2007, due mesi prima del colpo di grazia, quando Berlusconi ebbe un lungo incontro con il senatore Nino Randazzo - eletto nel più grande collegio del pianeta: Asia-Africa-Oceania-Antartide - costringendo l’interessato a smentire: "E’ vero, ho visto Berlusconi ma abbiamo parlato solo di Australia. Lui è un incantatore di serpenti". E Randazzo, probabilmente, non si era fatto incantare.
(02 marzo 2013)
IL PATTO SCELLERATO - REPUBBLICA.IT
UN "PATTO scellerato" da tre milioni di euro. Concepito da Silvio Berlusconi per comprare il senatore Sergio De Gregorio. Obiettivo: "sabotare" il governo Prodi.
Sette anni dopo l’insediamento nella primavera del 2006 di quella risicata maggioranza, all’alba di una nuova Repubblica, un parlamentare confessa di aver venduto la propria funzione. De Gregorio, eletto con l’Idv di Di Pietro e poi passato nel centrodestra proprio mentre diventa presidente della Commissione Difesa, fornisce le prove. Mette a verbale la verità: "Due milioni li ho avuti in nero, il resto come sostegno al mio movimento". Intermediario e "postino": Valter Lavitola.
E sottolinea: "Non mi voglio giustificare, so che è un reato". Ma "avevo debiti fino al collo". I pagamenti? "Avvenivano inesorabilmente, mese dopo mese". Dilazionati anche perché, secondo i magistrati, Berlusconi non si fidava. Soldi che, per uno strano giro, dai conti del senatore finiranno anche a gente di camorra.
Ora Berlusconi è indagato dalla Procura di Napoli per corruzione e finanziamento illecito ai partiti. Stessa accusa per il senatore uscente De Gregorio, ormai in procinto di finire agli arresti domiciliari per la precedente indagine sui finanziamenti a L’Avanti!, e il faccendiere Valter Lavitola, in carcere da dieci mesi, che in una lettera rinfacciava all’ex premier il suo ruolo nella compravendita dei senatori. I pm Curcio, Milita, Piscitelli, Vanorio e Woodcock, coordinati dai procuratori aggiunti Cafiero de Raho e Greco, hanno trasmesso ieri al Parlamento la richiesta di perquisizione di una cassetta di sicurezza ritenuta riconducibile all’ex premier. E il nucleo di polizia tributaria della Finanza ha notificato al Cavaliere l’invito a essere interrogato martedì prossimo. De Gregorio, intanto, solo pochi mesi fa, ha cercato di ottenere dall’ex premier ulteriori "aiuti" rivolgendosi a Niccolò Ghedini, a Marcello Dell’Utri e a Denis Verdini. Tutti a conoscenza del denaro che gli era stato versato. Per caso, De Gregorio non è di nuovo in Parlamento. "Il 19 dicembre il partito mi ha chiesto di ricandidarmi, ma io ho rifiutato", assicura. Il Pdl insorge. "È un’inchiesta priva di fondamento, la cassetta è intestata al Pdl", afferma Ghedini.
"Così mi ha pagato con tre milioni".
Dal luglio 2006 fino al marzo 2008, il Cavaliere ha versato tre milioni a De Gregorio. Un milione, "in chiaro", è giustificato da un accordo federativo "tra Forza Italia e il mio movimento Italiani nel mondo". Altri due versati "in nero" e depositati sui conti del senatore. Che racconta. "Ho partecipato all’Operazione libertà diretta a ribaltare il governo Prodi. Già dopo il voto che mi vide eletto presidente della Commissione Difesa, discussi a Palazzo Grazioli con Berlusconi di una strategia di sabotaggio, della quale mi intesto tutta la responsabilità. L’accordo si consumò nel 2006. Il mio incontro a Palazzo Grazioli con Berlusconi servì a sancire che la mia previsione di cassa era di 3 milioni. Subito partirono le erogazioni. Ho ricevuto 2 milioni in contanti da Lavitola a tranche da 200 e 300mila euro". "Ed è qui che entra in gioco Lavitola, che frequentava molto Palazzo Grazioli perché era intimo del senatore Comencioli, pace all’anima sua". De Gregorio aggiunge: "Non sto qui a giustificare di aver ricevuto 2 milioni in nero. Ho commesso un reato. Non mi domando perché Berlusconi affidasse a Lavitola la pratica di consegnarmi il danaro". Ribadisce: " (Quei soldi, ndr) sono una parte del patto scellerato che io fino al 2007 ho accettato da Lavitola. Inutile dirlo, è una mia responsabilità".
"Soldi anche a Rotondi e Mussolini"
Ma De Gregorio dice d’aver nutrito dubbi sulle modalità dei pagamenti. "Io insistetti: ma perché non me li date al partito? Che senso ha questa roba in nero? Mi venne spiegato, dallo stesso Lavitola, che gli altri partiti minori avevano ricevuto somme più o meno uguali, se non inferiori al milione di euro che mi era già stato bonificato". Precisa ancora il senatore: "Ricordo addirittura che fu indicata la cifra di 700 mila euro, e non di un milione, (nell’accordo Italiani nel mondo-Fi, ndr) per non fare irritare Rotondi, la Mussolini e gli altri che avevano ricevuto sostegno dal partito in misura più o meno equivalente a questo contratto".
"Puoi offrire fino a 5 milioni di euro"
"Quando mi sono riavvicinato a Berlusconi abbiamo combattuto insieme una guerra. E di guerra vera si trattava, perché Berlusconi voleva che Prodi, che aveva prevalso per una manciata di voti, ritornasse a casa. Prefigurare dal punto di vista politico la caduta del suo governo non era difficile. Berlusconi era deciso a individuare il malessere di alcuni senatori, di alcuni deputati, che potessero determinare l’evento finale". De Gregorio cercò di portare dalla parte del centrodestra il senatore Giuseppe Caforio. Fu un boomerang. "Dissi a Berlusconi che forse Caforio poteva ascriversi al ruolo degli indecisi e lui mi disse: "Cosa gli puoi offrire?" Risposi: che magari gli diate un finanziamento alla sua forza politica. Allora lui disse: "Puoi proporgli fino a 5 milioni". Ma Caforio mi registrò e mi denunciò". Invece De Gregorio, raggiunto l’accordo, cambiò casacca solo all’ultimo per non destare sospetti. "Avendo fatto quel ragionamento con Berlusconi - racconta sempre ai pm - chiamo il senatore Schifani e gli dico: Renato, se mi votate io accetto i voti e mi prendo la responsabilità di farmi indicare dal Presidente della commissione Difesa".
La strategia del sabotaggio in aula
"Berlusconi aveva promosso l’Operazione libertà per determinare in ogni modo possibile la fine del governo Prodi", dice De Gregorio. "Cosa facemmo noi per far cadere il governo Prodi?"" Era il gennaio 2007. "Ci attivammo, intanto". E quando i pm chiedono, "Noi, plurale maiestatis?", risponde: "Noi come centrodestra". Ed ancora: "Io continuavo in Commissione Difesa a respingere i provvedimenti del governo. Era sicuramente un motivo che indeboliva Prodi".
"Lavitola arrivò con i soldi al Senato"
Uno dei testimoni chiave dell’inchiesta ed ex collaboratore di De Gregorio, il commercialista Andrea Vetromile, offre riscontri significativi al racconto della compravendita del senatore De Gregorio. "Mi risulta che solo Lavitola abbia consegnato a De Gregorio 4-500mila euro nella sede del Parlamento. Assistetti a quell’operazione. Ricordo che stavo con De Gregorio nel suo ufficio, all’epoca era presidente della Commissione Difesa, quando si presentò Lavitola con una borsa che io sapevo essere piena di soldi. Fu lo stesso De Gregorio ad annunciarmi la visita di Lavitola che gli avrebbe consegnato i soldi di Berlusconi quale ringraziamento per il passaggio al suo schieramento politico. Quando Lavitola entrò, dopo i primi convenevoli, mi chiese di uscire. Quando rientrai, la scrivania di De Gregorio era piena di soldi".
Quei soldi finiti alla camorra
Su De Gregorio indaga il pool anticamorra. Negli atti, appena depositati alla Camera, si fa riferimento agli esami di "flussi finanziari per decine di milioni di euro" sui conti di De Gregorio. "Fra le numerose operazioni finanziarie emergevano alcune che apparivano ad un tempo singolari e significative". Quel denaro, erogato dal Cavaliere a De Gregorio, finirà - all’insaputa dell’ex premier - nelle casse di personaggi vicini ai clan. Scrivono infatti i magistrati: "All’origine e alla fine di alcuni flussi economici che passavano attraverso le società e i conti del senatore De Gregorio, si ponevano dalla parte iniziale, di origine, l’allora capo dell’opposizione Berlusconi ovvero la sua formazione politica; e dall’altro, quello di destinazione ultima, soggetti vicini a un’associazione camorristica operante nell’area napoletana".
(01 marzo 2013)