Silvia Nucini, Vanity Fair 23/10/2013, 23 ottobre 2013
CORAGGIO, RAGAZZI: NON SIETE SOLI
[Diego Dalla Palma]
«Ho letto l’intervista di Lapo Elkann e ho pensato: anche lui. Quanti, quanti siamo. E quanti non possono parlare». Il numero esatto non lo sa, ma Diego Dalla Palma ha la sensazione che siano tantissimi i bambini e ragazzi che hanno subito violenza sessuale da parte dei preti. Ne è convinto perché è stato uno di quei ragazzi e perché, dopo averlo dichiarato apertamente (in una nostra intervista che anticipava l’uscita del suo libro A nudo, nel 2010), ha ricevuto tantissime lettere che dicevano: anche io, è successo anche a me, mi sta succedendo adesso.
«Io studiavo alla scuola d’arte a Venezia, padre Ugo veniva tutte le sere, alle nove, per due anni. Sentivo i passi nel corridoio buio, toc toc bussava alla porta, la sua voce che mi chiamava: Dieghino, Dieghino. La sua carne bianca e molle su di me, tantissima carne, un quintale e venti almeno. Io ero già nudo nel letto. Mi spogliavo prima perché così almeno durava meno. Poi mi carezzava, mi diceva: scusa eh, scusa. Voleva baciarmi e questa per me era la cosa più ripugnante di tutte, la sua bocca il suo alito di aglio. Per farsi perdonare mi regalava dei dischi di musica classica, li ho ancora. Nella sfortuna ho trovato una persona non cattiva, non violenta».
Lei e Lapo in comune avete non solo la violenza, ma anche un compagno di scuola suicida.
«Il mio amico si uccise allora, impiccandosi con un asciugamano. Da giorni aveva un’emorragia che non riusciva a fermare, ma a padre Angelo non importava, lo violentava tutte le notti. L’amico di Lapo, ho letto, invece si è tolto la vita pochi anni fa. Il tempo, in queste cose, non serve a niente, certe ferite non passano e se sono profonde ti uccidono. Io me la
porto addosso ancora oggi. Penso con amarezza alla violenza e con compassione a quell’uomo».
Dirlo è un passo importante per guarire?
«No, più che a se stessi, serve agli altri, che possono sentire di non essere soli, e trovare la forza di reagire. Certi ingombri non li togli dalla testa. E non è tanto la violenza fisica, quella passa, come i dolori. È la violenza psicologica. Io mi sentivo umiliato, sgomento di fronte al fatto che questo prete al mattino predicasse la forza della purezza. L’immensa bugia in cui mi trovavo era la cosa più violenta di tutte, la finzione, la falsità».
Ha mai tentato di ribellarsi?
«Allora non si poteva fare, il prete era la persona buona e giusta per definizione, gli scandali della pedofilia nella Chiesa sono cose dei nostri giorni. Mia madre non mi avrebbe mai creduto, avrebbe detto che me lo stavo inventando perché non volevo studiare. Nessun adulto avrebbe capito. Io mi confidavo solo con un ragazzo più grande di me, che si occupava della nostra struttura. Gli raccontavo tutto e gli chiedevo: cosa possiamo fare? Lui mi rispondeva: tra poco è primavera».
Adesso però ci si può ribellare?
«Adesso la società ha preso coscienza che c’è un problema nella Chiesa, allora mia madre mi diceva: “Ti ricordes una roba, Diego: quel che se dise i preti s’è bon”, quel che ti dicono i preti è bene».
Anche i genitori sono più attenti.
«Allora non c’era tutta questa attenzione all’infanzia, quella di un tempo era un’educazione fatta di ceffoni e casualità, tutto era lasciato al caso, eravamo esposti al rischio, alla violenza. Ricordo come ci tenevano lì a vedere l’uccisione del maiale, un rito orrendo, pieno di sangue. Era troppo, allora. Ma anche adesso non mi pare giusto».
Troppa attenzione fa male?
«Adesso c’è una iper attenzione quasi leziosa che toglie la personalità e il senso della sfida, il senso della guerra, che è una cosa che ti insegna a difenderti. Abbiamo saltato la giusta via di mezzo».
Lapo dice che vorrebbe istituire una fondazione. È un tipo di aiuto che ha senso secondo lei?
«Qualsiasi cosa che possa dare uno sguardo, una carezza e un abbraccio ha senso».