Irene Soave, Vanity Fair 23/10/2013, 23 ottobre 2013
SCUSI, DOTTORE, HA DA ACCENDERE?
[Andrea Vitali]
Una carta d’identità che cade nel fiume. Un bambino che la trova e la dà al papà, il quale non la porta ai carabinieri perché se si sapesse che il figlio piccolo giocava nel fiume, pericoloso, sarebbe «una bella figura di merda in paese». Il mistero di Ilde Ratti, classe 1938: che di quel documento è titolare, e che però nel portafoglio ne ha un altro... Ecco gli ingredienti del 41° romanzo di Andrea Vitali, Di Ilde ce n’è una sola. O meglio, gli «insaporitori». Gli ingredienti di base del «menu-Vitali» sono sempre due: il lago di Como, sulla cui sponda lecchese lo scrittore, 57 anni, vive e lavora come medico condotto, e la provincia italiana di almeno quarant’anni fa. Un mix che gli ha regalato, negli ultimi 10 anni, 2 milioni e mezzo di lettori, con best seller come Una finestra vistalago (il primo, datato 2003, conta 43 edizioni da allora) e Olive comprese. «Non parlo mai del presente, disilluso e triste: preferisco l’Italia da commedia di Guareschi e Piero Chiara. Le storie che ho sempre voluto scrivere, da quando ero bambino».
Ma ha fatto il medico.
«Dopo il liceo dissi a mio padre: voglio fare il giornalista. Lui mi voleva sistemato, e disse no. E io, giù il crapone, obbedii: sì, papà. Ma ho sempre scritto, anche al militare, un anno a non far niente abbozzando racconti su un’agenda. Però vede, la concretezza non mi ha ucciso. Mi ha spronato. Se uno ha un talento, questo esce fuori comunque».
Col senno di poi, avrebbe voluto fare solo lo scrittore?
«No. La prima scuola è la lettura. E io ho il timore che molti “scrittori professionisti” abbiano il mito della scrittura americana, ma non italiana. Mentre uno scrive anche di dove vive».
Lei, sempre della provincia.
«Cioè del 95% dell’Italia. L’hinterland milanese è provincia. Le borgate romane sono di un provinciale pazzesco, abissalmente distanti da Roma. L’Italia è un paese di provinciali».
In che senso?
«Il provinciale è chi vuole andarsene, ma torna subito, deluso di ciò che ha visto fuori. Non a caso le città sono piene di pendolari: migliaia di persone la sera tornano a casa. Perché quando uno supera lo shock di essere nato in provincia ne scopre il bello».
Che sarebbe?
«Condividere una familiarità con i tuoi concittadini. A volte è fastidiosa: bisogna stare attento a quello che fai, ma puoi riempirti la giornata con quello che fanno gli altri. E si vive di chiacchiere, pettegolezzi, racconti. Il motore della mia narrativa».
Lei usa spesso, nei libri, le storie del paese. Si è mai riconosciuto qualcuno?
«È successo una volta sola: ho citato una ferramenta che esiste davvero e mi hanno minacciato di querela, non ho capito perché. In genere mi tengo vago».
Solo quest’anno sono usciti quattro suoi libri. Riesce ancora a fare il medico?
«Mi sveglio verso le cinque e mezza, scrivo fin verso le otto, faccio le visite, vado in ambulatorio e dopo pranzo torno a casa e scrivo. Il tempo c’è. La sera vado a dormire presto, tranne se c’è una partita».
Tifa?
«Il Como. In Serie A solo squadre provinciali, come il Sassuolo: mi fanno simpatia. L’unico altro vizio che ho è il fumo, viaggio sul pacchettino al giorno. Ma come, un medico che fuma, mi dicono tutti».
Stavo per dirglielo anche io.
«Dice un cardiologo mio compaesano: i consigli li posso dare gratis. Il buon esempio costa molto di più».