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 2013  ottobre 23 Mercoledì calendario

RCS, TELECOM E PIRELLI: I SALOTTI SFASCIATI


L’immagine plastica del disfacimento il “capitalismo di relazione” l’ha offerta ieri mattina all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Bocconi. La prolusione è stata affidata a Vittorio Colao, il manager italiano più affermato al mondo: è il numero uno della multinazionale telefonica Vodafone. Sette anni fa fu cacciato brutalmente dal vertice della Rcs perché fastidiosamente bravo. L’allora presidente della Rcs Cesare Romiti, reso tronfio dalla lungimiranza con cui aveva appena finito di distruggere la Fiat, lo chiamava con disprezzo “il contabile”, per rimarcare quanto fosse poco “uomo di mondo”.
E dunque ieri Colao ha spiegato la virtù della “public company” anglosassone: azionariato diffuso e un consiglio d’amministrazione fatto da manager e non da azionisti. C’era lì il presidente della Rcs, Angelo Provasoli, che subito ha detto: “Dovremmo seguire il suo suggerimento”. Cioè smontare il sistema di potere del Corriere della Sera di cui Provasoli è il garante.
Ma tutto sta cambiando, e Provasoli annusa il vento. Nel 2005 il salotto Rcs resse all’attacco dei lanzichenecchi di Stefano Ricucci. Adesso è in rotta. Il lanzichenecco 2013 è Diego Della Valle che ieri, in un’intervista a Repubblica, ha dato gli otto giorni a quasi tutti. La Fiat a inizio estate aveva rastrellato azioni portandosi al 20 per cento di Rcs. Con quella quota John Elkann pensava di comandare, perpetuando il sistema caro a suo nonno Gianni Agnelli: una quota significativa in mano al Principe o Principino, e intorno alcuni vassalli ricchi e vanitosi, se non stupidi, pronti ad affiancare il potente con le loro piccole quote azionarie per consentirgli di fare il padrone in casa altrui.
Adesso è finita. Elkann, insieme all’altro grande azionista di Rcs, Giovanni Bazoli di Intesa San-paolo, ha passato l’estate a sollecitare improbabili alleanze e si è beccato una sfilza di no. Il patto di sindacato che governava Rcs è scaduto, e adesso le azioni si contano e non si pesano più come insegnava Enrico Cuccia. Della Valle è minaccioso: se Elkann pensa di fondere Corriere e Stampa, “se ne assumerà la responsabilità anche a livello personale”. Insomma, la Fiat peserà per il suo 20 per cento, Della Valle vuol pesare per il suo 8 per cento. E intima prudenza ai suoi nemici storici, il “ragazzino” Elkann e “l’arzillo vecchietto Bazoli”. Della Valle chiede che l’azienda sia gestita per far guadagnare gli azionisti e per dare soddisfazione a chi ci lavora, anziché per solleticare la vanità di uomini di potere vecchi o finti giovani.
Si sfarinano i cosiddetti “salotti buoni” perché la crisi sta imponendo un cambiamento epocale. Alle Assicurazioni Generali l’ad Mario Greco ha detto basta alle “partecipazioni strategiche”. In Mediobanca il numero uno Alberto Nagel, erede di Cuccia e Vincenzo Maranghi, sta smontando il loro sistema di potere un pezzo alla volta. Ha risposto picche a Elkann e ha messo in vendita le azioni di Rcs, da trent’anni protettorato Mediobanca. Pronte ad andare sul mercato anche le azioni Pirelli in portafoglio a Mediobanca (4,6 per cento). Anche lì, come in Rcs, il patto di sindacato si sta sciogliendo. La Camfin di Marco Tronchetti Provera resterà primo azionista con il 26,2 per cento del capitale, ma si sono squagliati gli alleati che storicamente hanno consentito a Tronchetti di comandare con i soldi degli altri: Benetton, Fonsai, Generali e Mediobanca, appunto. In compenso Tronchetti continua a comandare in Camfin nel solito modo singolare : è il secondo azionista dopo il pacchetto Intesa-Unicredit, intervenute con un bel po’ di milioni per difendere Tronchetti dalle insidie del socio Vittorio Mala-calza, che comunque adesso ha più azioni Pirelli di lui. Bazoli e il numero uno di Unicredit, Federico Ghizzoni, cercano di perpetuarsi come “banche di sistema”, principalmente per salvare almeno parte dei crediti a rischio, concessi con troppa generosità in passato agli imprenditori amici. Lo stesso problema che ha Mediobanca in Fonsai, solo che di problema grosso Mediobanca ha solo quello. Infatti è quasi riuscita a liberarsi della grana Telecom Italia, cedendo il controllo della scatola Telco alla spagnola Telefonica.
Ma anche lì sta finendo l’era dei salotti. Marco Fossati, secondo azionista di Telecom Italia con il 5 per cento (Telco ha il 22,5 per cento) ha chiesto un’assemblea dei soci per contarsi: vuole destituire i consiglieri eletti da Telco perché secondo lui non fanno gli interessi dell’azienda ma del singolo azionista Telefonica. Starebbero cioè violando il codice civile. Gli azionisti stavolta si conteranno: la svolta è già in atto, in Rcs, in Telecom, in Pirelli. Il 20 per cento non basta più per comandare.