Alessandra Benvenuto - Antonio Armano, Il Fatto Quotidiano 23/10/2013, 23 ottobre 2013
LA VITA AGRA DI UN TRADUTTORE
Artefici di un incantesimo. Sono loro gli autori, non di ciò che traducono, ma della magia che consente al libro di rinascere mille volte. Attraversando frontiere spaziali e temporali. Etnologi attenti, linguisti puntigliosi e psicoanalisti raffinati, lavorano per il progresso intellettuale della nazione. Sarà per questo che – tra molti professionisti – la scelta è, ogni volta, spinosa e appassionante. In Italia sono circa 1.500: per il 70% donne. Molti, spiega Sandra Bertolini presidente dell’Associazione Italiana Traduttori e Interpreti, affiancano a questo altri mestieri.
PER ACCOGLIERLI, a Roma, è nata due anni fa la Casa delle Traduzioni che ospita insieme a colleghi stranieri, volumi , corsi e dibattiti. Finalmente si comincia poi a mettere il loro nome in copertina (o almeno) in quarta, come fa Feltrinelli per le nuove traduzioni di classici tascabili: “Ma non è certo una scelta di declassamento – precisa l’editor Fabio Di Pietro – solo di cambio di design grafico”.
Studi recenti come quelli del Ceatl (Consiglio europeo delle associazioni dei traduttori letterari) confermano però che l’Italia si attesta, accanto ai paesi dell’Europa del Sud e dell’Est, agli ultimi posti in termini di remunerazione. Tariffa a cartella: da 3 a 11 euro. Nonostante poi la traduzione sia ritenuta opera d’ingegno e attenga al regime del diritto d’autore, accanto al pagamento a cartella o a forfait – salvo rare eccezioni – non è contemplata percentuale sulle vendite. Formula che, da anni, permane in Giappone, Svizzera, Olanda, Francia e Germania. “Il discorso è biforcuto”, avverte Michele Sampaolo, decano del mestiere. Sul mercato esistono situazioni differenziate. Ma che i conti non tornano lo sanno meglio i signori dell’Associazione Italiana Editori. Pochi giorni fa presentavano, a Francoforte, i dati del loro ufficio studi: saldo negativo del settore per 91 milioni di euro. Tra le finalità dell’Aie: non solo tutela del diritto d’autore ma “lo studio di soluzioni idonee a migliorare nella filiera del libro i rapporti con gli altri operatori”. Eppure, interrogati riguardo la condizione del traduttore, non concedono risposte. O, come fa Alessandro Laterza, chiariscono tranchant: “La soluzione non è pagare meno i traduttori, ma tradurre (sempre) meno”. Infatti, calano anche le traduzioni: dal 24% dei titoli pubblicati nel 2003, oggi non si arriva nemmeno al 20.
Ma se i costi non sono più sopportabili è vero anche che sono i titoli stranieri a rendere di più in termini di copie vendute. La tiratura media dei titoli inglesi è tripla rispetto agli italiani. Non a caso la Francia stanzia ogni anno 1 milione e mezzo di euro per tradurre opere straniere. Qui, per nuove iniziative editoriali, la legge di Stabilità sembra prevedere 120 milioni di euro. Ma l’unica risorsa a cui gli editori italiani possono attingere rimane intanto il finanziamento di enti che promuovono la propria letteratura all’estero (Goethe Institute, Centre National du Livre, e il Pro Helvetia). Alla Buchmesse, si sono fatti così sentire anche i traduttori. Sostenuti da Strade, un sindacato giovane ed energico che dopo aver coinvolto la piattaforma degli editori indipendenti presto – promette – inviterà intorno a un tavolo non solo l’Aie, ma anche i rappresentanti del Mibac.
Nelle relazioni ministeriali sulla performance per il 2012 si legge infatti di obiettivi strategici raggiunti “al cento per cento”. Tra questi vi sarebbero quelli di promozione della lettura di competenza del Centro per il libro e la lettura, presieduto da Gian Arturo Ferrari. Ma è che non si spiega come si coniughi il dato con quello Istat dei 165 volumi pubblicati ogni giorno (negli ultimi 3 anni) in rapporto al numero dei lettori (acquirenti): il 41% della popolazione (contro l’80% dei tedeschi, il 70% dei francesi e il 60% degli spagnoli). Impossibile – sul sito istituzionale – accedere ai dati “risorse” e “trasparenza”.
CERTO È che dei 153 milioni di euro stanziati nel 2012 per il sostegno del libro e dell’editoria, nessuna risorsa risulta investita a favore della traduzione. Solo due le recenti iniziative del Cepell. Il contributo di 30 mila euro per la traduzione parziale in inglese di 50 opere da promuovere al-l’estero. E una banca dati dei traduttori, cui si accede tramite un link attivato sul sito preesistente, costata (nel 2010) ben 56 mila euro. Sulla falsariga di altri paesi, la soluzione sarebbe dunque un Fondo nazionale per le Traduzioni e i Traduttori editoriali. Sulla petizione di Strade, che ne promuove la creazione, Marina Pugliano può già contare più di 2.500 adesioni. Tra i nomi noti, compaiono gli editori Archinto e Bompiani, gli scrittori Magrelli, Magris e Daniel Pennac: medaglia al valore per aver “girato” parte dei suoi diritti d’autore alla traduttrice italiana Yasmina Melaouah.
Intanto domenica si è chiusa, a Urbino, l’undicesima edizione delle Giornate della Traduzione Letteraria, curate da Ilide Carmignani. Occasione d’incontri e idee, tra cui Una Guida pratica per chi non vuole arrendersi. A conferma di quanto sia vero che il mestiere del traduttore è (linfa oltre che) sistema circolatorio delle letterature. E di come – proprio facendo leva sulla forza magica di questo mestiere – ci si debba decidere a utilizzare una tecnica vecchia quanto il mondo. L’apprendimento per imitazione. Osservando i paesi vicini, per cambiare rotta. Senza più piangersi addosso. Evitando di affondare.
Alessandra Benvenuto
PAVESE, BIANCIARDI E GLI ALTRI QUELLI CHE CI SONO PASSATI –
Ma come Busi che ha tradotto per noi Joe Ackerlay, un libro molto arduo, ha un romanzo e non ce lo fa vedere?” Quello di Aldo Busi, che esordisce con Seminario sulla gioventù (Adelphi) dopo avere tradotto testi per la stessa casa editrice, è il caso recente più noto e le parole sopra citate sono di Roberto Calasso. Ora che tutti scrivono, tradurre (il più misconosciuto e malpagato dei lavori culturali) ha assunto un tratto in più di nobiltà? E arrivare al romanzo dopo avere tradotto quelli altrui costituisce punto di distinzione. L’esercizio, ottimo per tenere la mano calda e l’anima e il corpo insieme, non pone, per uno scrittore, il problema della scarsa visibilità. Può darsi che in un secondo tempo l’attività autoriale prevalga. Pavese s’è fatto le ossa durante il Fascismo con gli americani e ha tradotto Moby Dick per mille lire prima di esordire come narratore. E Ripellino, slavista, è oggi conosciuto per Praga magica, più che per le traduzioni di poeti russi o cechi. Il numero dei poeti che traducono poeti è molto alto: Ungaretti si è cimentato coi lirici greci. Silvio Raffo, autore di numerosi romanzi, tra cui La voce della pietra, che diventerà un film di produzione hollywoodiana, è conosciuto soprattutto come traduttore del Meridiano della Dickinson, che sta per essere ristampato in edizione economica coi disegni di Pericoli.
Volgere versi, spiega Raffo, implica una perizia tecnica e una vocazione per la parola che il poeta ha più del prosatore. E se la poesia è tutto quel che si perde con la traduzione solo un poeta può sfatare l’equazione. Così ci sono poeti che traducono la prosa (Caproni, per esempio) ma viceversa? “Senza i traduttori non conosceremmo gli autori stranieri” nota Raffo. E questo potrebbe spiegare lo scarso riconoscimento: non vogliamo ammettere che l’esperienza delle più alte vette artistiche avviene per interposta persona. Lo scrittore italiano che ha sudato più sangue sulle traduzioni è forse Bianciardi che al “lavoro di sterro” ha dedicato La vita agra. Romanzo dove si sente il debito nei confronti dei Tropici di Miller, tradotti per Feltrinelli.
La prima edizione, per timore della censura, è stata stampata all’estero. Talvolta il traduttore che si trasforma in scrittore può finire in tribunale come Luigi Tenconi, che dopo avere tradotto molti classici francesi, ha pubblicato sotto pseudonimo Le memorie di una cameriera, condannato negli anni 50. Nei processi ai libri i traduttori, considerati dei cottimisti dell’arte, se la cavavano sempre. Faccia fede questo.
Antonio Armano