Gloria Satta, Il Messaggero 23/10/2013, 23 ottobre 2013
«LA MIA VITA, UN FILM»
Una ricca famiglia piemontese emigrata in Francia, un’immensa proprietà in vendita, una madre carismatica, una figlia ex attrice nevrotica e suo fratello malato terminale. Sentimenti forti, anche psicodrammi e dolori raccontati con leggerezza: con Un castello in Italia, terza prova da regista dopo E’ più facile per un cammello e Attrici, Valeria Bruni Tedeschi rivela un’altra porzione della sua storia personale. «Ma la realtà è solo uno spunto. Diciamo che questo film è emotivamente autobiografico», spiega l’attrice, anche protagonista.
Applaudito in concorso a Cannes, Un castello in Italia uscirà il 31 con Teodora (che saggiamente propone la versione originale sottotitolata) dopo il successo riscosso in Francia, dove la bionda Valeria è stata paragonata per il suo umorismo a Woody Allen. A Roma con gli altri interpreti (la mamma Marisa nel ruolo di se stessa, l’ex compagno Louis Garrel, Filippo Timi nella parte del fratello Virginio, morto di Aids nel 2006), luminosa e ispirata Bruni Tedeschi racconta la sua ultima sfida.
E’ indispensabile, per lei, parlare del suo vissuto?
«Qualsiasi creazione artistica è autobiografica. Prendiamo Bellocchio: due suoi film tanto diversi comne I pugni in tasca e Il Gabbiano sono ugualmente intimi».
C’è voluto molto coraggio per parlare di eventi personali, compresa la morte di suo fratello?
«Se non avessi coraggio non riuscirei ad andare in profondità, mi sembrerebbe di non onorare il contratto con il produttore. E poi, è divertente avere coraggio. Anche di lasciare allo spettatore un piccolo happy end, un motivo di speranza...».
Che effetto le fa venire paragonata a Woody Allen?
«Mi fa arrossire, mi pare un accostamento esagerato. Allen è un genio, il suo cinema fa bene all’anima».
Nel film manca il personaggio di sua sorella Carla Bruni...
«Ho raccontato il rapporto quasi incestuoso tra un fratello e una sorella ispirandomi non certo alla realtà ma a film come Il giardino dei Finzi Contini e Salto nel vuoto. Un altro personaggio sarebbe stato di troppo. Ma Carla si è tutt’altro che risentita: è entusiasta del mio lavoro».
E’ stato difficile dirigere sua madre?
«Al contrario! E’ un’attrice bravissima, profonda e leggera al tempo stesso. La consiglio a qualunque regista. Anche di Timi sono soddisfatta: non somiglia a mio fratello Virginio ma è profondo, poetico, perfetto nel ruolo».
L’aspetto più difficile?
«Trovare i finanziamenti. In Italia ho avuto un contributo esclusivamente dalla Film Commission Piemonte. Tutti i produttori ai quali mi sono rivolta hanno detto no».
Cosa risponde a chi l’accusa di raccontare un ambiente privilegiato?
«Ascolto con interesse qualunque critica. E rispondo che è vero, parlo della mia classe sociale perché è quella che conosco meglio. Ma nello stesso tempo descrivo l’ambiente agiato dal quale provengo con una buona dose di crudeltà, prendendolo in giro anche attraverso i commenti della servitù. Ma quando arriva la morte, non c’è classe che tenga. E’ una tragedia per tutti».