Claudio Antonelli, Libero 23/10/2013, 23 ottobre 2013
CINA E USA SI SFIDANO A COLPI DI LINGOTTI
Oro contro dollaro. La lotta si fa sempre più dura. Con il rischio che tra i due litiganti vinca lo Yuan, la moneta cinese che potrebbe diventare valuta di riferimento globale. Dopo l’ultimo annuncio di Ben Bernanke (il quantitative easing continuerà fino a che negli Usa il tasso di disoccupazione non sarà sceso sotto il 6,5%) la Fed sta immettendo sul mercato una media di 85 miliardi di dollari al mese. Il che significa che se la disoccupazione dovesse riallinearsi alla quota fissata da Bernanke alla fine del 2014 saranno stati stampati biglietti verdi per 1.500 miliardi di dollari. Un’enormità. Che non solo ha effetti sulle Borse, ma anche, nel medio termine, sul potere stesso del dollaro. Sempre più instabile e debole.
Non è dunque un caso che quasi tutti i Paesi emergenti si siano messi sulla scia dell’oro. Non più da intendere come bene rifugio, ma come elemento stabilizzatore. Una specie di ritorno a Bretton Woods. In salsa asiatica, però. A trainare questa locomotrice monetaria è infatti la Cina. Si calcola che nel 2013 Cina, Russia e India assieme abbiano messo le mani sul 70% di tutto l’oro prodotto. E la Russia già nel 2012 aveva aumentato le proprie riserve aure dell’8,5% portandole a un totale di circa 1.000 tonnellate. E nello stesso periodo Pechino sarebbe arrivata a possedere 3.300 miliardi di dollari in lingotti. A cui nel 2013 se ne sarebbero aggiunte altre 1.000 tonnellate. Il condizionale resta d’obbligo perché i dati non sono ufficiali. Quella che è certa è la strategia adottata.
Per dieci anni, dal 1995 al 2005, la Cina mantiene un tasso di cambio fisso con il dollaro a 8.28 renminbi. Nel 2005 cambia la politica monetaria, ma il dollaro rimane il riferimento. Nel 2008 la quotazione dello yuan passa a 6.84. Nell’inverno successivo, la Cina si trova sottoposta a forti pressioni internazionali per far rivalutare la propria moneta, con - in aggiunta - le richieste del Congresso americano al Tesoro di sanzionare l’avvenuta manipolazione della valuta cinese. La risposta? I titoli di Stato americani perdono troppo valore, secondo i cinesi. Così il premier Wen invita gli Usa a riportare il deficit dentro una “taglia” più appropriata. Sempre nel 2009, il governatore della banca centrale cinese Zhou Xiaochuan, propone la creazione di una nuova moneta composta da un paniere di monete più ampio - con l’in - clusione anche dello yuan - e gestito dal Fondo Monetario Internazionale. Una sorta di moneta alternativa necessaria, a detta sua, per salvaguardare la stabilità finanziaria ed economica globale. Di fatto, il primo atto di sfiducia ufficiale verso il dollaro. E l’anticamera di un progetto pretenzioso e di lunghissimo termine. Ovvero, stravolgere il sistema monetario internazionale e rendere lo Yuan la vera valuta di riferimento. Ciò che per decenni è stato il biglietto verde.
Per questo motivo la Cina sta spostando le proprie riserve in valuta preziosa. Un passaggio troppo brusco al contrario sarebbe devastante. In questo momento la Cina non può permettersi di non sostenere il dollaro perché le proprie riserve sono ancora in stragrande maggioranza legate agli Usa. Ma al tempo stesso a Pechino sanno che dal 1980 al 2008 il dollaro si è svalutato del 60% e che si tratterebbe di un processo irreversibile. Agganciare lo yuan all’oro permetterebbe di completare la rivoluzione monetaria annunciata in sordina nel 2009.
Ci sono però una serie di problematiche a catena che renderebbero il beneficio un boomerang. Il dollaro colerebbe a picco e il debito Usa andrebbe alle stelle. Pechino si troverebbe in poco tempo senza il principale mercato di sbocco senza sapere esattamente quali effetti ci sarebbero sull’euro. O meglio sulle nazioni dell’eurozona con buone riserve auree. Inoltre, l’operazione Yuan è rallentata anche da un problema non secondario.
Il sistema bancario cinese è in grave impasse. Da dati forniti la scorsa settimana dalla Chinese Academy of Social Sciences il mercato delle shadow banks (il mercato nero del credito) varrebbe addirittura il 40% del Pil del Dragone, circa 3500 miliardi di dollari. Convertire la moneta senza aver colmato un tale buco significherebbe lasciare molte aziende cinesi senza credito né liquidità.
Insomma, è ancora presto perché la Cina prenda il potere globale delle valute. Ci vorranno decenni. Salvo che nei prossimi tre lustri le due super potenze trovino un accordo: un paniere misto oro-yuan-dollaro. Conviene a tutti. Soprattutto agli Usa. I quali, per la prima volta, dovrebbero concedere ad altri le chiavi della cabina di regia del globo.