Salvatore Tramontano, Il Giornale 23/10/2013, 23 ottobre 2013
PER ROSY LA VITA È TUTTA UNA POLTRONA
Finalmente potranno chiamarla di nuovo presidente. Rosy Bindi è l’affermazione della superiorità della sinistra a cui non sfugge mai la poltrona che conta. Per lei la vita è una poltrona. Non importa se di quercia o di ulivo, se scudocrociata o parrocchiale, se di lotta o di governo, rossa o bianca o arcobaleno. L’importante è che lei possa sedere su qualcosa di più o meno autorevole, che le conferisca un tono istituzionale, un vestito, un abito, che la rassicuri sul suo posto nel mondo. Questa volta si è accasata bene, la presidenza della commissione Antimafia è il massimo a cui in questo momento possa aspirare. E la sua soddisfazione è chiaramente alle stelle. Pensate. È riuscita a sopravvivere alla forbice della rottamazione. Per farlo si è catapultata in Calabria, cercando tra gli antenati toscani un dna reggino o cosentino, per restare aggrappata alle poltroncine del potere. Ha tagliato fuori, con un movimento da pivot, tre o quattro magistrati che da anni si battono sul fronte anti’ndrangheta e alla fine è rimasta a galla, con il gusto di poter guardare Veltroni e D’Alema come gente da giardinetti, ex onorevoli, pensionati, gente che al massimo può occupare la poltrona di qualche fondazione.
Vuoi mettere una come lei che ancora può portare sul petto il titolo di presidente? Presidente, non presidentessa, perché lei, la Bindi, non è mica una Boldrini qualsiasi, che per darsi un tono si attacca alle questioni di genere. No, per la Bindi una poltrona da presidente è un’identità forte,è un marchio, un logo, una certezza che ti dà la misura del proprio peso nella società, e non importa se sei maschio o femmina. Quello che conta è la poltrona, e se poi sei donna è anche meglio. Ma questo è un dettaglio. Presidente. Sentite come suona bene? Rosy si faceva chiamare così pure quando occupava la poltrona di presidente del Pd, anche se lo era solo dell’assemblea. Presidente e non compagna, che è una cosa da gruppettare. Presidente e non amica, perché lei sarà pure democristiana, ma gli amici li sceglie con parsimonia. Presidente, che è la vera distinzione tra un politico di razza e un qualsiasi peone. Presidente e non segretario, perché i segretari passano, vedi Bersani, mentre quelle come la Bindi restano, perché è tutta la vita che occupano ogni spazio di potere lasciato libero. Il gioco della democrazia per le Bindi e consimili in fondo si riduce tutto a questo: collezionare il maggior numero di poltrone alla faccia di tutti i rottamatori.
La Bindi, poi, quando sta su una poltrona non è che si mette a fare la super partes. È una che sta sulla poltrona per spaccare, dividere, mortificare gli avversari. Dalla poltrona lei distribuisce patenti di buoni e cattivi, coltiva le sue antipatie, non ha la vocazione dell’arbitro,se ne frega dell’equilibrio, vuole comandare e vincere, possibilmente in modo facile. Rosy Bindi, insomma, rappresenta tutto il peggio che i cattocomunisti possano esprimere. A cominciare dalla certezza arrogante di essere sempre dalla parte del giusto. È per questo che la candidatura della Bindi da parte del Pd assomiglia tanto a una sfida e a una provocazione nei confronti di Berlusconi e di quegli italiani che la detestano. Il Pd ha voluto dare uno schiaffo alle larghe intese. Urlare al Pdl che il governare insieme è un accidente, perché voi siete e sarete sempre nemici. Ma la scelta della Bindi è anche un messaggio per Renzi: non ti aspettare che il futuro sarai tu. Non ti aspettare che il vecchio apparato si faccia da parte. Non ti aspettare volti nuovi. Il futuro è sempre lei, la Bindi. E la sua poltrona.