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 2013  ottobre 23 Mercoledì calendario

LA PASIONARIA ANTI-SILVIO CHE GUARDA ANCORA AL M5S


L’ira del Pdl è motivata: il Pd non poteva fare una scelta più mirata dell’elezione di Rosi Bindi alla presidenza della commissione Antimafia, con i voti di centrosinistra, Sel, Scelta civica e un mezzo appoggio del Movimento 5 stelle, per sollevare l’intero centrodestra, anche nei giorni in cui sempre più sembra vicino alla rottura tra governativi e lealisti. una candidatura indigeribile, per quello che la Bindi rappresenta con la coerente sfida a Berlusconi che conduce da quasi vent’anni. Scambi di accuse, polemiche a distanza, fino a quel terribile scontro dell’8 febbraio 2009, quando il Cavaliere, allora premier nel pieno dei suoi poteri, se ne uscì a Porta a porta con quella battuta su Rosi «più bella che intelligente» e Bindi replicò: «Non sono una donna a disposizione!», con evidente riferimento a tutto il mondo del «bunga bunga» che in quei giorni cominciava a venir fuori. Uno slogan che di lì a poco finì stampato sulle magliette da indossare alle manifestazioni. E a cui il Cavaliere reagì più o meno con gli stessi argomenti un anno dopo, il 19 luglio 2010: «Mi accusano di circondarmi di belle ragazze senza cervello - dichiarò a una manifestazione in cui era circondato da giovani militanti -. Ecco invece qui delle belle ragazze che si sono laureate con il massimo dei voti e non somigliano certo a Rosi Bindi!».

La quale ha sempre condotto la sua battaglia antiberlusconiana con lo stesso impegno con cui s’è dedicata al dibattito interno, chiamiamolo così, anche se sarebbe più giusto parlare di veleni, nel suo partito, di cui è stata presidente, salvo dimettersi dopo la convulsa vicenda della mancata elezione di Prodi al Quirinale. Ed è rimasta quasi la sola, con Anna Finocchiaro, a fronteggiare apertamente Matteo Renzi, mentre leader del calibro di Veltroni e D’Alema, ai primi accenni alla «rottamazione» del sindaco di Firenze, deponevano le armi e decidevano di non candidarsi. Così si capisce perché è stata soprannominata la «pasionaria».
Ma c’è un’altra ragione per cui l’operazione che ha portato all’elezione di Bindi all’Antimafia è vista come il fumo negli occhi dal centrodestra. Non si è trattato, infatti, di un voto occasionale come quello con cui a inizio di legislatura furono eletti Pietro Grasso al Senato e Laura Boldrini alla Camera: tentativi di aprire una breccia nel muro dei 5 stelle, poi rivelatisi velleitari, tanto che Pierluigi Bersani dovette arrendersi e rinunciare al suo progetto di un «governo di cambiamento» insieme ai grillini, e poco dopo le votazioni per la Presidenza della Repubblica andarono come andarono. Anche se non lo confesserà mai apertamente, Bindi, come Prodi, è convinta che quel progetto che non si è realizzato la scorsa primavera non sia affatto da accantonare, e che se allora non riuscì fu anche per i limiti e per la confusione con Bersani lo condusse, senza l’appoggio convinto di un Pd che già pensava a farlo fuori.
La crisi evidente della maggioranza di larghe intese, la rottura interna del Pdl, il destino di Berlusconi che sta comunque andando verso la decadenza da senatore, a giudizio della neo-presidente dell’Antimafia sono tutti fattori che di qui a poco potrebbero riproporre al Pd la sfida di costruire un rapporto più solido con M5s, e in prospettiva anche un governo insieme. Si tratterebbe, in sostanza, di fare più o meno quel che Berlusconi fece vent’anni fa con la Lega di Bossi, accettando gli equivoci dell’alleanza con un partito anti-sistema (il Senatur, nella campagna elettorale del ’94 lo definiva «Berluskaiser», Fini e Bossi praticamente non si salutavano), ma incassando il presupposto di una vittoria elettorale, che giunse puntualmente. Tra Bossi e Grillo, certo, le differenze non mancano. Ma quel che il centrodestra ha capito, dopo il ritorno in campo della «pasionaria», è che la novità esiste: e per la prima volta un’alternativa alle larghe intese comincia a prendere corpo.