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 2013  ottobre 23 Mercoledì calendario

NEL MIO LABIRINTO RITROVO BORGES


Il bambù signoreggia nelle biolche guareschiane. È un ponte fra la Cina e il Parmense, «non si chiama Li Po uno fra i maggiori scrittori d’Oriente?», rammemora Franco Maria Ricci, al secolo FMR, editore, grafico optimus, collezionista d’arte, bibliofilo, un araldo del Bello, un cosmopolita gentiluomo di campagna in posa per Thomas Gainsborough.

Un labirinto di bambù, nel bambù, eccependo al bosso di scuola inglese, sta sorgendo a Fontanellato, nella georgica landa di un signore discendente per li rami di un Lume toscano: «Eleganza e comodi erano i poli del suo privato vivere - così fu ritratto -. Lasciava che chi non voleva la pace avesse la guerra, che i teologi disputassero, i falsi filosofi si dicessero ingiurie, ed intanto solo e tranquillo godeva i suoi libri, gli amici, l’orto e la villa».
Verrà inaugurato nel 2014, in tempo di presepe, il labirinto di FMR. Ora annunciato da un Liber meraviglioso, Labirinti (Rizzoli, pp. 224, € 60), un avant-goût con testi dello stesso Franco Maria Ricci, Giovanni Mariotti e Luisa Biondetti, introdotto da Umberto Eco, quarant’anni dopo l’imprimatur al voyage da Minos a Caerdroia, da Hawara all’Otto e Novecento di Paolo Santarcangeli. Un percorso di tremila metri per centoventimila bambù, pianta prodigiosa, scovata in un vivaio francese: non si ammala, il freddo non la turba, deterge l’aria dall’anidride carbonica. E in più è raffinata, «come i caratteri Bodoni».
Svagare, divertire, esorcizzare, magari solo per qualche ora, molestie e drammi dell’esistenza. Ovvero la civiltà della conversazione innalzata da Benedetta Craveri, per l’Adelphi di Calasso, la forma libro (il catalogo come un unico libro) naturalmente intonata a Franco Maria Ricci. Quel Settecento. Il secolo intensamente suo, per cominciare del suo Bodoni, direttore della Stamperia Ducale di Parma, di cui ristamperà - 1964, l’esordio come editore - il Manuale tipografico. «L’uomo bodoniano che è in me, che auspico rinasca e definitivamente sfolgori, trae conforto giorno dopo giorno ricordando e ricordandosi il classicismo. Bodoni e Canova sono i pilastri della visualità. E Bernini: eccone l’estremo sigillo, il busto di Clemente X».
L’autunno permea Fontanellato. La luce è crepuscolare, nonostante l’immediato pomeriggio. Ma l’oro non è forse nell’ombra, come testimoniavano le pupille apparentemente spente di Borges? «Qui, dove il labirinto va crescendo, gli offrii di dirigere una collana di narrativa fantastica, “La biblioteca di Babele”. Solo un autore mi permisi di suggerirgli, Hoffmann, credendo che lo affascinasse: mi sbagliavo».
Borges tra l’Argentina e Fontanellato. «Lo conobbi a Buenos Aires - risale agli Anni Settanta Franco Maria Ricci -. Mi aspettava alla Biblioteca Nazionale, la canna bianca, avvicinandosi si mise a recitare Dante in perfetto italiano. “Ecco il mio labirinto - si presentò -. Aspetto che arrivi Teseo Perón: che cosa farà di me, mi ucciderà?”».
Borges versus Perón. «Borges era considerato di destra perché accettò di ricevere un premio da Pinochet. Ma ignorava chi fosse il dittatore cileno. Pranzavamo una volta in un ristorante romano, Moravia quando vide Borges si voltò dall’altra parte, a differenza, per esempio, di Arbasino, che non esitò a omaggiarlo. Come la gente di qui. Ai loro occhi il signor Aleph risaltava come la Madonna di Fatima. Lo toccavano, si congratulavano con lui, anche se i più non ne conoscevano l’opera».
Borges che per FMR, novembre 1985, in caratteri va da sé bodoniani, si immerse nel labirinto: «Il labirinto è un evidente simbolo della perplessità, e la perplessità, la meraviglia da cui sorge la metafisica secondo Aristotele, è stata una delle emozioni più comuni della mia vita, come di quella di Chesterton, che disse: tutto passa, ma ci rimane sempre la meraviglia, soprattutto la meraviglia del quotidiano».
Dove concepire un labirinto (sarà il maggiore nell’universo mondo) se non nel Parmense? Tra l’officina esoterica di Francesco Maria Mazzola il Parmigianino, una dubitosa aria verdiana («Non m’inganna quel fioco lume?»), la «vaghezia», la parabola di Alberto Bevilacqua sul grande fiume, sulla sua possanza, che «confonde il diritto e il rovescio».
Quale labirinto? Il cretese a sette spire? Il romano con angoli retti, suddiviso in quartieri? Il cristiano a undici spire, come non riandare a Chartres? FMR ha optato per il secondo, ma corredandolo di bivi e vicoli ciechi, un florilegio di trappole. Dattorno, i talenti che il settantaseienne mecenate ha di stagione in stagione fatto egregiamente fruttare (i dadi che ha fatto sapientemente rotolare). Una dimora in stile neoclassico (con una cappella a forma di piramide, due ristoranti per degustare le indigene specialità, due suite) dove respireranno quattrocento fra pitture e sculture e objets d’art (da Bernini a Canova, da Hayez a Ligabue, da Carracci a Bartolini) e la biblioteca con tre perni: Bodoni («Me ne mancano quattro o cinque, sono i miei unicorni»), lo stesso Franco Maria Ricci (che schiera fra l’altro l’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert, riproposta in diciotto volumi), Tallone, la cattedrale tipografica di Alpignano. Dove, se non qui, di pagina in busto, di tela in passo, attendere che si compia il miracolo? Via via liquefacendo il montaliano smacco, «nascere fu un refuso»?