Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  ottobre 23 Mercoledì calendario

E PIAZZA AFFARI NON TIENE IL PASSO IN UN DECENNIO FA PEGGIO SOLO ATENE


MILANO — In fondo alle classifiche mondiali, superata da tutti i grandi della terra ma anche dai Brics e, negli ultimi due anni, da Messico, Indonesia e Malesia; unica, insieme ad Atene, ad avere una performance negativa negli ultimi dieci anni (dal dicembre 2002 ha perso il 5,6%, contro una crescita del 129% della Germania), battuta dieci volte su diciotto dal rendimento dei Bot: è questa l’impietosa fotografia della Borsa italiana scattata dall’Ufficio studi di Mediobanca. Che certifica ancora una volta, sotto il profilo borsistico, la deriva dell’Italia non solo rispetto ai Paesi maturi, ma anche nei confronti degli emergenti.
Partiamo dalle dimensioni, la capitalizzazione di Borsa: ebbene, tra il 1998 e il 2001 Piazza Affari viaggiava stabilmente tra l’ottavo e il nono posto, battuta ovviamente da Wall Street e da Tokio, ma non certo dalla Russia e dal Brasile o da Taiwan; tutti mercati ormai più grandi di quello italiano, che occupa solo la 23esima posizione, dopo Indonesia e Malesia. Un declino che si conferma anche in termini di performance: dal gennaio 2003 all’ottobre 2013 l’Indonesia ha registrato un rialzo annuo medio del 24,4 % (significa che chi ha investito a inizio periodo ora ha oltre dieci volte di più) mentre Brasilia e Johannesburg hanno recuperato quasi cinque volte l’investimento iniziale. La Borsa italiana, nonostante il recente recupero, segna nel periodo una perdita media annua pari allo 0,5%.
Persino nel lunghissimo periodo, dal 2 gennaio 1928 al settembre 2012, chi avesse investito a Piazza Affari si dovrebbe leccare le ferite: in termini reali (cioè al netto dell’inflazione ma senza reinvestire i dividendi) avrebbe perso il 2,4% ogni anno. Ciò significa che il potere d’acquisto del gruzzoletto iniziale sarebbe sceso dell’88%. Ovviamente il rischio delle medie è sempre quello di Trilussa: e infatti per Generali, Italcementi e Caltagirone dal ’38 ad oggi il rendimento sarebbe positivo, anche al netto dell’inflazione. Infine, ricorda Mediobanca, le più penalizzate sono le banche: dal 2007 ad oggi la capitalizzazione del credito a Piazza Affari è scesa da 214 a 61 miliardi, con un rapporto tra valore di Borsa e capitale netto così basso che le mette a rischio-scalata.