Fabrizio Roncone, Corriere della Sera 23/10/2013, 23 ottobre 2013
LA RUSSA: IO E FINI EX GRANDI AMICI. PECCATO, SI È AUTODISTRUTTO
«Sì, certo, ho letto l’intervista che Gianfranco Fini ha rilasciato ad Aldo Cazzullo sul Corriere ... Diciamo che ha messo in piazza un dolore che non fu estremo solo per lui, ma anche e soprattutto per me».
Fini, parlando del libro che ha appena scritto, «Il ventennio», in uscita da Rizzoli, dice di ricordare bene la delusione, il dispiacere che provò quando si accorse che anche lei, onorevole Ignazio La Russa, si era piegato al diktat sulla sua espulsione dal Pdl.
«Quando mi mandò a chiamare, e io andai, subito, perché era comunque ancora il mio capo, gli sconsigliai con forza di andarsene: gli dissi che, al contrario, avrebbe potuto e dovuto mettersi alla guida di un correntone interno. Lui però era determinato: “Sai, Ignazio, è già difficile stare in un partito con Berlusconi, figurati in una posizione di minoranza”. Insistere, sarebbe stato superfluo. Aveva già deciso».
Da Maurizio Gasparri, racconta Fini, non si aspettava nulla. Altero Matteoli era «filogovernativo». Gianni Alemanno non batté ciglio. Il silenzio di Giorgia Meloni gli ricordò Matusalemme. Ma da lei, La Russa, Fini si aspettava molto di più.
«Io avevo due possibili elementi di valutazione, per decidere se seguirlo, o meno: l’amicizia e la politica. Ora, detto che a Gianfranco ero certamente molto legato, lasciando il Pdl avrei però perso altri amici tra cui uno, Maurizio Gasparri, che mi era caro tanto quanto e forse più di Fini... Pensai perciò che la mia scelta dovesse essere di natura strettamente politica».
Continui.
«La verità è che io avrei potuto seguire Gianfranco se avesse rotto con Berlusconi su posizioni di destra, da destra, e non con quella tragica deriva centrista, che la sinistra addirittura salutava con tutti gli onori, in visibilio... Del resto, scusi: chi fu poi il primo capogruppo alla Camera di Futuro e libertà? Benedetto Della Vedova, un radicale, che adesso sta addirittura con Scelta civica. L’ideologo di Fli, ad un certo punto, divenne poi Fabio Granata, uno che a noi, dentro An, sembrava spesso essere uscito da una sezione di Rifondazione...».
(Conoscete Ignazio La Russa: sempre risoluto, mai un tentennamento, sempre con quella sua maschera caratteristica, da militante anche quando era ministro. Stavolta, però, la voce è pacata; l’irruenza cede il passo all’amarezza ).
«Comunque, sì, certo: un rimpianto rimane. Fini poteva essere il leader di un grande centrodestra e, invece, ha deciso di autodistruggersi. Un tempo pensavo che i libri li avrebbero scritti su di lui, mai avrei immaginato che sarebbe finita così, e che a scrivere un libro su Fini fosse proprio Fini. Naturalmente non gli serbo rancore: a Natale ci facciamo gli auguri e lui stesso mi chiamò, quando seppe che stavamo partendo con la bella avventura di Fratelli d’Italia. Però è chiaro: c’è la cordialità di due ex grandi amici...».
La dissoluzione della destra italiana, che voi di Fratelli d’Italia state faticosamente cercando di rimettere insieme, lei davvero crede sia tutta imputabile a Fini?
«Lui era il capo... ma anche noi, e dico noi tutti che gli stavamo accanto, quando portammo An dentro il Pdl, certo commettemmo due errori: non fummo abbastanza scaltri da farci dare sufficienti garanzie e fummo miopi nel prevedere le possibili conseguenze che ciò avrebbe comportato. Con il senno del poi, forse avremmo dovuto batterci per chiedere che Fini guidasse il Pdl dalla segreteria, e che a Berlusconi, con il suo consenso, fosse destinata solo la poltrona di premier».
Fini, nel libro, racconta pure di non averle mai riferito la richiesta di Berlusconi: tagliarsi il pizzetto.
«Poi, però, fu Berlusconi a chiedermelo, personalmente, almeno una decina di volte. E sempre ottenne un mio secco rifiuto. Ma le pare? Io mi taglio il pizzetto perché non piace a Berlusconi? Ah ah ah!... Ma le pare?» .