Simone Porrovecchio, l’Unità 22/10/2013, 22 ottobre 2013
L’ALTRA BORSA È IN RETE
ASPETTANDO IL NUOVO FACEBOOK, C’È UNA FEBBRE IN ARRIVO DALLA GERMANIA CHE STA ATTRAVERSANDO LA RETE E SI CONTAGIA CON UN CLIC. Al fenomeno chiamato crowdinvestment, il New York Times ha dedicato questo titolo: «Scommetti Europa, Scommetti». La nuova frontiera è questa: un mercato finanziario a portata di tutti senza l’intermediazione degli istituti bancari. Vediamo di cosa si tratta. Il crowdinvestment in sé non è una novità. Sono anni che gruppi di persone finanziano, soprattutto attraverso iniziative online, progetti culturali o eventi, film, concerti, cd, competizioni sportive.
Solo che prima ci si accontentava di vedere il proprio nome nei titoli di coda o su un cartellone dietro la telecamera. Il nuovo crowdinvestment invece, ricalca perfettamente la dinamica del mercato delle azioni, della compravendita in Borsa. Ma in una nuova forma, specializzata e tagliata su misura per le giovani aziende affamate di investitori.
È in pratica il nuovo canale diretto tra start up fresche di registrazione create dalle menti più brillanti dei Digital Natives, la generazione che con Internet ci è nata, e gli utenti che credono nel progetto, o, per tornare a una parola antica, gli investitori.
In questo modo si diventa azionari della nuova azienda con un semplice clic, comprando azioni. I numeri sono stupefacenti, e parlano di un fenomeno dalle basi solide che comincia ad andare forte. Solo in Germania otto milioni di start up nel 2012 hanno prosperato grazie agli investitori in rete (fonte del Ministero della Tecnologia tedesco). Nel 2011 erano due milioni.
Negli Usa della ripresa targata Obama quest’anno sono state registrate 3 milioni e mezzo di nuove start up baciate dalla Borsa online. In Italia invece il nuovo crowdinvestment è pressocché sconosciuto, «soprattutto per mancanza di fiducia», osserva Florian Nöll della Bundesverband Deutsche Start Ups, l’associazione federale tedesca che si occupa del fenomeno.
Certo, il crowdinvestment a portata di clic può essere lucrativo – o disastroso. E chi perde, perde tutto. Perché attenzione: qui si parla di finanziatori, non di donatori. La speculazione, o il rischio, sono chiari dall’inizio, sono gli stessi aspetti che regolano le Borse. Si acquista qualche centinaio di euro di azioni della nuova azienda di moda o della nuova piattaforma di car e house sharing, nella speranza che i progetti vadano non solo in porto ma a gonfie vele. Chi compra si aspetta di portare a casa una bella fetta della torta.
LO SPECIALISTA
Ralph Beck è professore all’università di Dortmund e il massimo esperto di crowdinvestment in Europa. La novità cruciale? «Gli investitori – spiega Beck – partecipano al progetto con capitale proprio, non capitale di credito, o esterno».
Il contributo tedesco al crowdinvestment di marca europea è la creazione, e diffusione rapidissima, di piattaforme online di intermediazione dove si sviluppano e – se tutto va bene – si concludono le transazioni tra gli utenti-investitori e gli imprenditori. I più forti sul mercato tedesco e inglese si chiamano Seedmatch, Innovestment e Companisto e guadagnano con le provvigioni. E le storie di successo in Germania non si contano già più: Urbanara, per esempio, è una piattaforma online di commercio di tessuti pregiati per moda o arredamento. Il fondatore Benjamin Esser deve arrivare a tre milioni di euro per sviluppare il progetto e metterlo al sicuro. Sulla carta il segmento dei tessuti in rete ha molte potenzialità. Se Esser ce la fa in 17 aste, Urbanara è pronta per investire: in mostre, filiali, tessuti, cataloghi. Se si ferma prima dei tre milioni l’idea è liquidata. Da un lato le storie di rischio e successo programmato. Dall’altro rischio e caduta.
«Stiamo lavorando alle statistiche – annuncia l’economista Beck – ma sappiamo già che tra il 20 e il 25% delle start up fondate con il Crowdinvestment fallisce». L’ottimismo tuttavia corre veloce. Infatti è pur sempre una percentuale assai diversa dagli scenari disastrosi di certe realtà europee offline.
Alcuni dati Ue del 2013: l’80% delle aziende (e non si parla di crowdinvestment) con meno di due anni in Grecia ha dichiarato insolvenza. In Spagna sono il 60%, in Italia il 50%. Su questo sfondo il rischio della raccolta fondi online non solo appare assai relativo, ma addirittura invitante. «Occorrono regole precise e trasparenti. Come ci sono negli Usa. Come funzionano in Germania. Solo così la rete è forte, sicura, affidabile». Senza minimizzare i rischi. In caso di fallimento, questo è chiaro, l’investitore proprietario del pacchetto di azioni, è l’ultimo a rivedere la sua parte. D’altraparte la voglia di rischiare con start up giovani e innovative e piene di potenziale è una febbre che fa bene all’Europa, osserva il New York Times. Guai a sedarla con antibiotici troppo forti, vedi burocrazia e regolamentazioni che affondano il potenziale della rete. Tanto più che le piattaforme intermediarie tra investitore e start up si sono date codici e regolamenti rigidi per quanto riguarda i criteri che le aziende devono rispettare per essere accettate nel gioco.
Le idee, insomma, non solo devono essere ottime, ma praticabili. Una cosa è certa: tutti stanno aspettando il nuovo Facebook o Amazon. Ma intanto il crowdinvestment azionario fa proseliti. E rischia di diventare molto di più che l’ultimo gioco in città. Nonostante i rischi.